29 agosto 1965, siamo all’Hollywood Bowl, in California. Si esibiscono i Beatles. Nel 2017 è persino possibile vederlo, il biglietto, attraverso una veloce ricerca su Internet. E dice chiaramente: reserved, 4,00$ (il prezzo è di 3,73$, con un’aggiunta di 0,27$ di tasse). I prezzi per quei due concerti del 29 e 30 agosto andavano da un minimo di 3.00$ a un massimo di 7.
La conclusione dei concerti è: da entrambi, i Beatles guadagnano 90.000$ (sui 156.000$ totali), e il 6 maggio 1977 esce “The Beatles at the Hollywood Bowl”, il primo album live ufficiale della band.
(Fonte: Beatles Bible)
Comunque. Cinquantuno anni e circa otto mesi dopo, questa volta siamo in Italia, scoppia lo scandalo del “secondary ticketing”. È il fenomeno di rivendita dei biglietti dei concerti su circuiti secondari online (un esempio: Viagogo). Questi, in primo luogo, incrementano la velocità d’acquisto, inventando così la nuova gara in cui a vincere è il più veloce a cliccare il tasto di rinnovo della pagina il minuto esatto in cui i biglietti vengono messi in rete. In secondo luogo questi circuiti si appropriano non di qualche decina di biglietti, ma di svariate centinaia. In fine, e arriviamo al punto cruciale, i biglietti che spariscono dai circuiti primari vengono ritrovati sui siti di rivendita a prezzi maggiorati, e per i concerti più ambiti i prezzi possono anche arrivare a superare il doppio, il triplo di quello originale.
I riflettori dunque sono stati puntati non per niente su questa (spiacevole) novità. Oltre ai numerosi artisti italiani che hanno riconosciuto il fenomeno attraverso la dissociazione da quest’ultimo (qualche nome: Marco Mengoni, Tiziano Ferro, Giorgia e Vasco Rossi), anche la velocità con cui si raggiunge il sold out ha fatto sorgere dei sospetti (un caso, quello dei Coldplay con due date a San Siro quasi istantaneamente sold out, che ha dato il “la” alla discussione). Preoccupante è stata la stima dell’extraguadagno generato da questo circuito secondario: per fare un esempio, la sanzione inflitta a TicketOne da parte dell’Antitrust è ammontata a 1,7 milioni di euro (TicketOne ha già fatto ricorso al Tar Lazio). Una cifra che significherà pur qualcosa.
Si può dunque dire che il fenomeno del secondary ticketing abbia generato un vero e proprio impero economico dell’extraguadagno.
Cosa si può dire invece dei biglietti del mercato primario?
Va bene, il secondary ticketing è una sorta di bagarinaggio adattato ai mezzi tecnologici di cui oggi tutti possono disporre. I famigerati “bots”, i programmi che accedono ai siti tramite le vie ufficiali e organizzati con lo scopo di ripetere in continuazione compiti specifici (quali, ad esempio, comprare biglietti dei concerti), sono l’arma più utilizzata.
Ma per quanto riguarda i biglietti ufficiali, anche su questo fronte si è riscontrato un aumento dei prezzi, seppure non così marcato. Nel 2010 assistere a un concerto dei Muse a San Siro costava dai 36 ai 45 euro, nel 2016 i prezzi rientrano nella fascia 47 – 70 euro, al Forum Di Assago.
È un dato, questo, che apre svariati argomenti. Nel campo della musica, Internet (sempre lui) è un vantaggio o uno svantaggio per i guadagni? Contribuisce ad aumentare i prezzi dei concerti? Da Napster a oggi, Internet mette la musica letteralmente a portata di mano (tra Youtube, iTunes e Spotify, solo per citare i più famosi), al punto che anche l’album fisico è diventato obsoleto. Da qui la crisi delle case discografiche, che, com’è noto, hanno comunque introiti ben maggiori rispetto a quelli degli artisti, i quali guadagnano prevalentemente proprio sul mercato dei concerti (e del merchandising), più che sugli album fisici (fonte: Tafter Journal). E, tornando ai Beatles, cos’è cambiato oltre alla sproporzione tra salario medio di adesso e d’allora?
“Tutto dipende dal valore percepito,” risponde Marco Morini, proprietario e della piattaforma online TeamWorld, specializzata nel campo della musica e del cinema. “E’ sempre molto difficile saper dare un valore a un prodotto o a un servizio. Se il prezzo dei concerti è salito bisogna anche tenere conto della percezione dei concerti da parte delle persone. Non bisogna generalizzare il fenomeno del mercato secondario e dire che i promoter, data la situazione, se ne approfittano. Questo è uno dei pochissimi settori in cui la domanda supera abbondantemente l’offerta”.
Ed è vero: la domanda, quando si arriva a parlare di concerti (attenzione, non di album fisici), non riesce mai a essere pienamente soddisfatta. Ci sono sempre le prime lamentele per quanto riguarda il costo del biglietto, ma una volta messi a disposizione dell’acquisto pubblico l’ira si rivolge contro il fattore “numero”. Non ci si pone più il problema che tre concerti fa lo stesso biglietto costasse 10€ in meno. Chi vuole assistere a un’esibizione dal vivo è disposto a pagare questi prezzi. A volte anche di più. Secondo alcuni (Claudio Trotta, intervista per La Stampa, 2016) nel 2019 la musica dal vivo potrebbe diventare un bene di lusso.
“Se lo dice Trotta ci credo,” continua Morini, “TeamWorld lavora con le case discografiche, non conosciamo in modo approfondito la situazione dei concerti. Secondo un mio parere personale ci sono artisti e gruppi, un’esigua minoranza, che faranno show talmente ambiti da potersi permettere di alzare l’asticella. Per quello che posso dire in merito al concerto di un artista nella media, non penso possa determinare un rialzo vertiginoso dei prezzi nei luoghi più comuni per uno show, come un palazzetto.”
Abbiamo scoperto allora che un aumento dei prezzi non sfrutta chissà quale dinamica complessa. Semplicemente, si regola di conseguenza alla domanda (oggi in crescita). Una regola di mercato basilare.
Sembra che neanche il secondary ticketing c’entri qualcosa, “Il mercato secondario non si rivolge all’utente medio. Questa questione è sorta in primo luogo sui social, dove molte persone, subito dopo l’uscita dei biglietti, corrono a gioire o a sfogarsi, dove ognuno deve dire la propria. A mio parere l’argomento viene gonfiato e diventa una materia di dibattito e di polemica. Quando un artista si esibisce, i palazzetti non sono mai vuoti”. Anche se, in fondo, non sarebbe poi così fantascientifico pensare che il secondary ticketing, per questa sua diffusione, faccia da ottimo grafico per decidere che prezzi fissare l’anno successivo e quanto le persone siano disposte a pagare un biglietto (anche qui: non scopriamo l’acqua calda). D’altra parte però sembra che ci sia qualcos’altro, qualcosa di nuovo e importante che spinge le persone a spendere non 50 o 60 euro sul mercato primario, ma 200 o 300 su quello secondario. Si è aperta un’altra parentesi, questa volta che prende come protagonista la musica in senso “assoluto”. La musica è veramente ancora il fattore centrale o il pubblico vuole vedere, piuttosto che ascoltare?
“Il modo di ascoltare la musica è cambiato radicalmente negli ultimi anni, così com’è cambiato il mondo. Negli ultimi anni è anche crollato il download illegale. Non ce n’era più bisogno. Cos’è diventata oggi la musica? Io direi: un’esperienza, un fenomeno sociale. E’ vero, l’album fisico è diventato un oggetto obsoleto, banalmente perché mancano anche i mezzi materiali per i CD. Ci sono i telefonini, e avere la musica a portata di mano è più facile. Quindi anche la percezione del concerto è mutata: è un luogo d’incontro e socializzazione.”
Il polverone che è stato sollevato con la scoperta di questo secondo, vasto circuito ha fatto sì che si ponesse l’accento anche sulla differenza tra la percezione della musica adesso rispetto a quella di una volta. Per concludere il cerchio è giusto domandarsi se, adottando le giuste contromisure, ci si possa aspettare di vedere rientrare il mercato secondario, oppure se la situazione d’oggi (con Internet di mezzo) rende la cosa più difficile del previsto. “Le misure preventive più efficaci sono la riduzione del numero di biglietti acquistabili per persona, la limitazione dei “bots” e, soprattutto, l’adozione del sistema dei biglietti nominali. In futuro è molto probabile che verranno stabilite delle leggi in merito alla questione. Il messaggio è stato ricevuto”.