Il cuore delle società aperte sono le città: il 50% del Pil mondiale viene prodotto in appena trecento aree urbane del pianeta. E’ nelle città che si concentrano le attività economiche più strategiche e il lavoro con il maggior valore aggiunto. In Europa, Londra, Berlino, Barcellona, Parigi non sono soltanto bei posti da visitare, ma fondamentali hub dello sviluppo umano, sociale, economico e culturale.
Un ruolo simile dovrebbe svolgere, in Italia, una città come Roma. Il sindaco di questa città è chiamato a governare un sistema complesso, ad esprimere una visione di sviluppo, a dimostrare raffinate capacità manageriali, a rappresentare un esempio per tutta l’Italia.
Bilancio desolante della giunta Raggi
Purtroppo, il primo bilancio dell’attività di governo della sindaca Virginia Raggi – a nemmeno un anno dal suo insediamento – è desolante. E non parliamo soltanto della gestione dei rifiuti, in questi giorni al centro dell’attenzione di tutta l’opinione pubblica nazionale.
In questi primi mesi di attività, la drammaturgica crociata dei grillini contro l’intreccio perverso di mancanza di trasparenza, cattiva amministrazione e cattiva classe dirigente delle precedenti sindacature si è risolta in farsa.
Il balletto delle nomine, delle dimissioni e degli scandali nella Giunta Raggi, tutto svolto in un clima di opacità totale, ha toccato punte di rara comicità. Uno spettacolo intollerabile che lascia la Capitale in uno stato di abbandono.
Gestione dilettantesca del bilancio
In più, la gestione concreta del bilancio appare dilettantesca. Tutte le emergenze di Roma – dal rientro dal deficit all’incapacità di ricavare risorse proprie da canoni, imposte e tariffe, al disastro delle maggiori partecipate pubbliche romane – stanno ancora tutte lì, pur avendo superato lo scoglio dell’approvazione di un bilancio che l’organismo di revisione economico-finanziaria aveva in un primo momento bocciato.
Resta la sostanza di un gruppo dirigente improvvisato e incompetente, disunito e rissoso, impreparato a fronteggiare le responsabilità della sfida del governo metropolitano.
Servono misure impopolari
I grillini avevano annunciato il cambiamento. Ma per cambiare Roma serve anche adottare misure impopolari per ridurre il peso delle piccole ‘caste’ che regolano da anni la vita della città, all’interno dell’amministrazione pubblica, delle partecipate e delle categorie commerciali. Ricordiamo tutti l’esempio dei tassisti.
Il sindaco di una città moderna avrebbe dovuto aggredire l’immobilismo della rendita, regolare meglio il mercato evitando abusi e favorendo meccanismi compensativi, ma anche aprirlo per liberare nuove risorse ed energie al fine di migliorare il servizio per i cittadini.
La Raggi, viceversa, è scesa in piazza per manifestare con i più facinorosi. Uno stile di governo squisitamente populista, orientato alla conservazione delle rendite di posizione e connivente con l’irresponsabilità di intere categorie. Qualcosa di simile è accaduto anche con ambulanti, vigili e dipendenti Atac.
Manca una visione di sviluppo della Capitale
Cambiare significa anche sostenere una visione di sviluppo con programmi ambiziosi e degni di una capitale europea e mondiale. Per esempio quello dello Stadio della Roma a Tor di Valle.
Nel progetto in cambio della possibilità di costruire lo stadio, la Roma si era impegnata a realizzare, a sue spese, il nuovo quartiere degli affari, il prolungamento della metro B, la riqualificazione della stazione di Tor di Valle, il nuovo parco fluviale di 63 ettari con chilometri di piste ciclabili, il ponte pedonale sul Tevere per collegare la stazione della Magliana con il parco fluviale, la costruzione del nuovo svincolo sulla Roma-Fiumicino, la riunificazione della via Ostiense e della via del Mare, e la messa in sicurezza idrogeologica della zona.
Occasioni fallite
Insomma, un progetto di riqualificazione quasi incredibile a credersi, frutto di negoziati e partnership tra imprese private e amministrazione cittadina, che avrebbe potuto garantire crescita economica e occupazionale senza spreco di denaro pubblico. Sappiamo com’è finita. Il progetto è stato affossato dalla nuova giunta capitolina, per motivi per lo più ideologici, e lo sviluppo della Capitale è stato ancora una volta mortificato.
Occasioni fallite, mancanza di visione, impreparazione al potere: ecco cos’è il M5S a Roma. L’esperienza di governo della Capitale – che nel frattempo affoga nei rifiuti – ci addolora, ma almeno ci insegna qualcosa: governare è una cosa seria e non si può improvvisare. Bisognerà ricordarsene in vista delle prossime elezioni nazionali.