Strani giorniScuole aperte, anche d’estate. Parola di chi non conosce la scuola italiana

Scuole aperte d'estate, dite? Polemica non nuova. Si ha il sospetto che venga tirara fuori – guarda caso tra luglio e agosto, di solito – per far fronte a quella fisiologica penuria di notizie dei ...

Scuole aperte d’estate, dite? Polemica non nuova. Si ha il sospetto che venga tirara fuori – guarda caso tra luglio e agosto, di solito – per far fronte a quella fisiologica penuria di notizie dei giornali in questa parte dell’anno. Per cui nulla di importante, a ben vedere. Possiamo derubricare il tutto a “colpo di sole giornalistico” e chiuderla qui. Sempre che si prenda il discorso per quello che è: una gigantesca bolla fatta col solito nulla e riempita dell’aria del cicaleccio italico, che tanto ci piace esercitare. Se invece mi state dicendo che l’argomento è serio, sono dell’idea che vada affrontato. Ma seriamente. Ovvero, in direzione opposta a quanto si è fatto fino ad ora.

Un primo elemente di riflessione potrebbe essere: quante e quali scuole occorrerebbe tenere aperte d’estate? Perché si ha la spiacevole impressione che i sostenitori di quest’idea avveniristica, talmente all’avanguardia che se ne discute da anni, abbiano messo piede in una scuola, l’ultima volta, ai tempi del ritiro del diploma (sempre che non ci abbiano mandato i genitori). La scuola italiana si regge su un sistema di edifici fatiscenti, freddi d’inverno e caldi d’estate. Edifici dove, per capirci, non ci sono nemmeno i soldi per comprare la carta igienica. Mandare anche nei mesi più caldi – cioè a boccheggiare – ragazzi e ragazze che hanno la colpa di non avere famiglie ricche che li portino in vacanza è da Tribunale dell’Aja.

Per tenere aperta la scuola tutto l’anno occorrerebbe agire preventivamente sulle strutture, magari cominciando a renderle agevoli (e confortevoli) per i mesi più freddi e quindi vivibili anche per quelli estivi. Immagino che il governo non avrà problemi a trovare i fondi per dotare tutte le sedi scolastiche d’Italia di climatizzatori in ogni aula. E poi magari per costruire piscine, sale teatrali, per comprare strumenti musicali e dotarsi di aule dove organizzare concerti, magari. A quanto si legge in giro, infatti, le scuole aperte in estate dovrebbero trasformarsi in centri polisportivi o di intrattenimento culturale: «Penso a corsi di musica, di teatro, ma penso anche ad attività sportive» ha dichiarato di recente Chiara Saraceno a Iodonna, interpellata sull’argomento. Per carità, sarebbe anche un’idea eccelsa, se vivessimo in un fantasy. Per far questo, infatti, occorre denaro e anche molto. E sappiamo tutti quali sono le condizioni delle finanze statali, per non parlare delle politiche dei tagli che hanno caratterizzato la maggior parte dei governi di cui si ha memoria.

Ma la questione da porre sul tavolo non dovrebbe essere neanche questa. E qui si entra in un ulteriore piano della discussione: perché mai le scuole dovrebbero essere il luogo dove far passare il tempo ad adolescenti sfaccendati? La scuola dovrebbe essere il luogo dove si apprende, non il posto dove ingannare la noia. E si apprende, per calendario scolastico, da settembre a giugno. Dopo un anno passato per aule e corridoi, centinaia di migliaia di studenti e studentesse sentono il bisogno di cambiare aria. Se hai insegnato almeno un anno, nella tua vita, sai di cosa sto parlando. E va benissimo il teatro, il corso di flauto traverso e le gare di tuffi, se mamma e papà non ti possono portare in Costa Azzurra, alle isole Eolie o sul lago di Como. Però, invece di trattare la scuola come “refugium sfigatorum” – non è il mio pensiero, sia ben chiaro, ma è così che i sostenitori della scuola aperta tutto l’anno descrivono quel tipo di utenza – dotiamo i comuni di strutture adeguate. La scuola, durante l’anno, può farsi da strumento di raccordo. Ma non deve essere un sostituto di piscine comunali et similia. Ditelo anche alla professoressa Saraceno.

Un ultimo livello di analisi dovrebbe riguardare il capitolo delle “ferie degli insegnanti”. Due o tre mesi, secondo la vulgata. Discorso così volgare, populista e reazionario che non meriterebbe nemmeno un rigo in più. Non voglio tornare sul fatto che la situazione è un attimo diversa da come viene semplificata e che quella dell’insegnante è una professione particolare, che merita situazioni a parte. Faccio solo notare che mentre Saraceno si fa intervistare su cosa dovrebbe fare la scuola aperta in estate, moltissimi insegnanti fanno già i corsi per «recuperare eventuali debolezze scolastiche, così da far risparmiare ai genitori i costi delle ripetizioni estive» (come suggerito dalla stessa sociologa, che evidentemente non conosce il funzionamento della vita scolastica nel nostro paese) o stanno concludendo gli esami di stato. Dopo di che, così come accade nelle domeniche e nei giorni che nel calendario sono segnati in rosso, gli insegnanti non vanno a lavorare semplicemente perché la scuola è chiusa. E nessuno, tra gli utenti del sistema scolastico, vuole tornare in quelle stesse aule e in quegli stessi luoghi dopo un anno impegnativo, dal punto di vista della fatica mentale e dell’investimento psicologico.

Se poi si vuole che la scuola italiana sia uguale a quella tedesca o scandinava, credo di poter parlare a nome di molti e molte docenti affermando che è un’idea eccellente. Bene, bravi, facciamola. Ma allora, rendiamo il nostro sistema scolastico qualcosa di analogo a quei modelli virtuosi e non solo riguardo ai doveri che si esigono, ma anche in relazione ai diritti che spettano: ferie ogni cinque-sei settimane (fino a quindici giorni, come accade in Francia magari?), ruolo sociale di prestigio, stipendi adeguati (dai 2.000 euro in su) e strutture scolastiche – edifici, aule, palestre, piscine, aule musica, teatri, ecc – degne di questo nome. Fino ad allora l’argomento scuola in estate sarà divertissement estivo.

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