Alta Fedeltà#Corrinlibreria, cosa leggere ad agosto

Prosegue la nostra rassegna di libri meravigliosamente atipici da portarsi in vacanza (beati voi!), che si tratti di una pausa relax in un posto esotico o di un salvagente da usare in caso di (emer...

Prosegue la nostra rassegna di libri meravigliosamente atipici da portarsi in vacanza (beati voi!), che si tratti di una pausa relax in un posto esotico o di un salvagente da usare in caso di (emergenza) vacanza con i parenti. Avere un buon libro da leggere è sempre un ottimo scudo in caso di zia che ci propone il terzo piatto di lasagna calda con 40 gradi all’ombra o di cugino di terzo grado che ci domanda incuriosito di (in ordine sparso e a piacere) studi, lavoro, matrimonio, figli, casa, macchina, mutui, abbonamento alla Settimana Enigmistica e discografia di Fedez.

CONSIGLI PRATICI PER UCCIDERE MIA SUOCERA (GIULIO PERRONE). Da non prendere alla lettera! Il nuovo libro dell’editore della casa editrice romana Giulio Perrone è un concentrato di ironia ed attualità. Giulio, infatti, non si prende mai sul serio e, con coerenza, non prende mai troppo sul serio neanche i suoi personaggi.

Eppure, dietro il linguaggio pungente e le situazioni rocambolesche, nella parole dell’autore c’è molto della miseria dei nostri giorni. Leo, il protagonista, è il simbolo perfetto del precario un po’ mascalzone e al quale si può perdonare più o meno tutto. Un precario sia quando si parla di sentimenti (non riesce a definire rapporti duraturi e solidi), sia di lavoro (tra il mestiere del traduttore e quello del lettore per una casa editrice). Il ritratto assurdamente realistico dei nostri tempi: occupazioni a tempo determinato, contratti a chiamata, relazioni con data di scadenza, eterna incapacità di decisione (ma sorprendente abilità nel rimandare). In Consigli pratici per uccidere mia suocera c’è tanto di Zygmunt Bauman, dal concetto di società liquida all’instabilità emotiva: “È la prospettiva dell’invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l’assenza di “novità”. Quella “novità” che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall’infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti “usa e getta”, da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso”.

Non manca, infine, la chiave grottesca a condire il romanzo. Un giorno, il capo di Leo affida un compito strambo ai suoi dipendenti: studiare dei modi per uccidere sua suocera. A chi sarà più creativo, andrà il premio di un’assunzione in pianta stabile. Se non fossimo certi che si tratti di un’opera letteraria, a tratti verrebbe il dubbio che il libro di Perrone sia uscito da una nuova riforma del lavoro proposta dal governo.

L’ALTRO ADDIO (VERONICA TOMASSINI). Ne L’altro addio, Veronica Tomassini affronta con lucido coraggio il lato più oscuro della storia già raccontata in Sangue di cane: se quel primo romanzo affrontava il grande amore, difficile e dolorosissimo, della giovane donna per il bel ragazzo polacco che chiede soldi ai semafori, qui il racconto si concentra su di lui, sulla Polonia sedotta e abbandonata dall’Occidente, su una vita di soldi facili e di rapine, di violenza e d’alcol, e poi sulla fuga in Italia e la vita in strada, la miseria, la tubercolosi. È in sanatorio che lei lo ritrova, e in un monologo affascinante, turbinoso e ipnotico, ripercorre ogni passo dell’inesorabile caduta. Nella prosa angelica di Veronica Tomassini i sentimenti sono carne e sangue, e la carne e il sangue sono purissimi sentimenti.

“Mi sei apparso tenero come un neonato, da accudire, riportare a casa, riconsegnare al mondo nuovamente ridandoti la luce, dopo un rinnovato reiterato travaglio”. Una scrittura elegante e raffinata entra in profondo contrasto con il mondo raccontato dall’autrice, una realtà crudele fatta di sofferenza e sottrazione, ma che trova riscatto nella compassione delle parole di Veronica Tomassini. Non è una lettura semplice ma necessaria, grazie alla quale verremo condotti in una dimensione profondamente diversa dalla nostra, dove la formazione, la crescita vengono plasmate dalle ferite sulla pelle (e dell’anima) e dove il sogno occidentale è una lontana utopia sfocata. Non potremo rivolgere lo sguardo altrove o cambiare passivamente canale.

LONTANO DA TE (ROMINA CASAGRANDE). Sofia, poco più di vent’anni, vive a Londra con la consapevolezza di aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissata: un buon lavoro e un uomo che ama. Eppure, tra le pagine del suo diario, aleggiano un’ombra e un ricordo, scaturiti da una fotografia. È questo l’unico elemento che la tiene ancora legata alla sua amata Toscana. In quell’immagine, un volto: quello di Bianca. Così diversa e al contempo simile a lei. E sarà proprio il desiderio di incontrare di nuovo sua sorella a riportarla nella natia Siena, nel tentativo di comporre il suo “quadro vivente”, la trasposizione dell’Ophelia di J.E. Millais, basandosi sulle fattezze di Bianca che somiglia così tanto alla musa originale dell’artista, la grande Elizabeth Siddal. Giunta a Siena, si troverà immersa in un’avventura dalle mille sfumature, che la porterà a incontrare personaggi misteriosi come Moses, a interrogarsi sul passato e accadimenti che l’hanno strappata alla sua terra. Un percorso difficile, in cui tenterà di riconquistare anche la fiducia di Bianca. Ma prima dovrà affrontare i propri demoni e, finalmente, raccontare la verità sulla notte che le ha unite e divise, forse per sempre.

Una storia ricca di sentimenti e che vede evolvere, oltre la carta, ogni personaggio. Al romanzo della Vita si intreccia quello dell’Arte, in un continuo scambio di segreti, scelte (che avranno, nel bene o nel male, delle conseguenze) e pennellate. Ognuno, secondo l’autrice, ha dei segreti da affrontare e dei demoni contro i quali combattere, scappare non solo è impossibile ma deleterio. Risolvere ciò che sentiamo di spezzato dentro di noi è la chiave per una crescita dell’anima e per tornare ad appartenere alla bellezza del mondo. L’Arte, quindi, non è che una meravigliosa e suggestiva allegoria. Non siamo destinati ad essere semplici personaggi bidimensionali definiti da un sentimento e del passato, possiamo decidere di essere molto di più. Possiamo crescere ed essere finalmente noi stessi.

MI CHIAMO SARA, VUOL DIRE PRINCIPESSA (VIOLETTA BELLOCCHIO). Sara arriva a Milano nell’autunno del 1983 ed ha quindici anni. Vuole essere presa sotto la protezione di Antonio, un deejay bravo a lanciare attori e musicisti di nessun talento. Viene scelta, proprio lei, per dare corpo all’ultima idea di lui: “la rosa di vetro”, una principessa bianca che canta musica elettronica. Così Sara diventa Roxana, una stella del videoclip, con la voce di un’altra al posto della sua. E poi diventa la donna di Antonio, il segreto più prezioso di un uomo adulto. Ma nel frattempo sta crescendo un’altra Sara, una ragazzina curiosa e selvatica, che non vuole dipendere da nessuno. Un’artista. E quando le due metà di Sara entrano in conflitto, solo la più forte è destinata a sopravvivere.

Disagio, formazione, costruzione, distruzione, una favola, una parabola. Violetta Bellocchio ci racconta la storia di un personaggio qualunque, simbolo di un’era precisa e determinata nella sua precarietà, come quella degli anni’80. L’inizio di una sorta di discesa negli Inferi, tra canzoni usa e getta, lustrini, cultura del consumismo, bulimia da acquisti, estetica glam elevata ad arte. A tratti, ci sembra quasi di scorgere l’ombra sbiadita di una delle ragazze di “Non è la Rai” e, proprio per questo, non possiamo che consigliarvi questa lettura. Sarete travolti da un vortice di antipatia, pietà, rifiuto, compassione, nausea ed amore per la nostra protagonista, emblema di un mondo che ha fatto di un sistema tritacarne la sua metodologia sistematica. Del non saper far nulla, l’unica via per emergere. Ma che, nonostante tutto, può offrire una rinascita a chiunque sia disposto ad attraversare a viso scoperto la parte più bassa della propria esistenza, con coraggio.

LA STORIA DELLE API (MAJA LUNDE). Tra passato presente e futuro, legate dal progetto di un rivoluzionario modello di alveare, le vicende di William, biologo inglese vissuto a metà dell’Ottocento, di George, apicoltore dell’Ohio che si affida alla tradizione per contrastare la misteriosa moria del 2007, e di Tao, giovane madre che, in un futuro non molto lontano, si dedica all’impollinazione manuale in una Cina dove le api e i colori sono ormai scomparsi, ripercorrono il rapporto tra l’uomo e la natura nel corso del tempo. Dall’Europa all’America, quel plico di preziosi disegni, racchiuso in un baule al seguito di una donna sola e appassionata, attraversa terre e secoli con il suo bagaglio di invenzioni e regole, depositario di una conoscenza, e di una speranza, da affidare alle generazioni che verranno. Custode di un sogno che deve diventare tale per tutti noi. La storia delle api, che col procedere della lettura sempre più diventa la nostra storia, è un romanzo epico nel quale, accanto al tema dell’equilibrio ambientale, sono i sentimenti che realmente muovono la nostra vita a determinare l’azione. L’amore soprattutto: per il coniuge, per i figli per cui desideriamo solo il meglio, per la scienza, per la propria passione.

Una storia incredibile, capace di collegare con eleganza ed amore passato, presente e futuro, tra paura e speranza, desiderio di reazione ed incapacità all’azione. A fare da “cornice”, il mondo. Con un naturale (e personale) pensiero alle preoccupanti politiche ambientali del Presidente degli Stati Uniti d’America, Maja Lune genera in noi lettori riflessione, domande e ricerca sul nostro ambiente e sull’essere umano: nel 2006, nel Nord America, è stata riscontrata per la prima volta la sindrome dello spopolamento degli alveari, per il quale intere colonie di api sono morte e non c’è stata impollinazione. L’evento è stato lo spettro di qualcosa di più grande e che, seguendo un effetto domino, potrebbe portare alla mancanza di colture, alla scomparsa del bestiame, alla carestia. La morte delle api significa la morte degli esseri umani.

Dove stiamo andando, quindi? Come stiamo trasformando il nostro pianeta? La nostra impronta è un atto di distruzione nel mondo o una dimostrazione di amore? Grazie alla Lunde abbiamo il tempo per soffermarci a chiedere a noi stessi queste domande, innamorandoci nel frattempo delle sue storie e dei suoi personaggi così lontani nel tempo, ma così vicini nei sentimenti. Puro miele per gli occhi, consigliatissimo.

QUARTO POTERE (PIERLUIGI ALLOTTI). Fondato su una ricca documentazione, il libro propone un’inedita storia della cultura giornalistica italiana, ossia del modo in cui il giornalismo è stato concepito e praticato in Italia dal 1848 all’avvento di Internet. Suoi protagonisti sono giornalisti noti e meno noti, appartenenti a diverse generazioni, dei quali si potranno riascoltare le voci attraverso articoli, carteggi, diari e memorie. Il lettore potrà risalire così alle radici del modello informativo italiano, contrassegnato sin dalle origini da una forte vocazione politica, approfondendo un tema che riguarda da vicino la natura stessa della nostra democrazia.

Non un libro per soli addetti ai lavori, ma rivolto a chi ama leggere ed informarsi, a chiunque voglia ripercorrere la storia d’Italia attraverso la bellezza del giornalismo. Un mondo complesso, nel quale è difficile emergere, dove si è chiamati a perseguire una vera e propria vocazione e a testimoniare il mondo che ci ruota attorno. Una lettura imprescindibile per capire come si è arrivati ai media di oggi, nel bene e nel male, tra fake news e collusione col potere.

LA DONNA AL TEMPO DELLE CATTEDRALI (RéGINE PERNOUD). Il cammino della donna verso l’emancipazione e la parità non è di fatto ancora concluso all’inizio del terzo millennio, nonostante le conquiste degli ultimi decenni. Si potrebbe quindi pensare che in passato, e a maggior ragione in un’epoca lontana e arretrata come è stata a lungo considerata il Medioevo, alle donne fossero riconosciuti ruoli e spazi ancora più ristretti e limitati. Gli studi di Régine Pernoud hanno al contrario dimostrato che in tale periodo le donne affermarono la loro autonomia e stabilirono il loro potere in diversi ambiti della vita, raggiungendo posizioni di assoluto prestigio nella medicina, nella religione, nella cultura e nella politica.

Régine Pernoud è stata una delle più importanti studiose del Medioevo. Prima Conservatore al Museo della Storia di Francia e poi degli Archivi Nazionali francesi, ha avuto il grande merito di riscoprire e rivalutare i cosiddetti “secoli bui” del Medioevo che, soprattutto fra 400 e 1400, hanno dato un contribuito fondamentale alla cultura, all’arte e alla scienza, ben più di quello che si è voluto far credere successivamente. Siamo rimanisti affascinati dal punto di vista dell’autrice: le sue opere permettono di comprendere al meglio l’istituzione della famiglia all’interno della società medievale, capendo così limiti ed apparenti privilegi riservati alla donna. Apprezzando persino il potere politico di alcune di esse. Citando la stessa studiosa, “L’epoca medioevale è completamente estranea alle discriminazioni fra i sessi. Nell’Alto Medioevo vi furono ordini monastici duplici, con edifici, rispettivamente, per i monaci e per le monache”.

Secondo Pernoud, il Codice Napoleonico segnò un momento di arretramento della posizione civile della donna, rinforzando notevolmente il potere del maschio nella società e rendendo la donna molto più subalterna di prima. Inoltre la Rivoluzione francese, proponendo l’uomo quasi esclusivamente come cittadino, lo ha molto disumanizzato: “Attualmente, in Francia – dove si parla spesso di “diritti del cittadino” e di suoi doveri, come quello di pagare le tasse -, è il modello per definire l’uomo in base ai suoi rapporti con lo Stato. Ritengo molto interessante notare che del cittadino si tratta unicamente in termini di individuo, un’espressione desunta dal nostro Codice Civile, che contempla solamente gli individui – soli e isolati -, senza alcuna prescrizione sulla famiglia“. Illuminante.

THE WICKED + THE DIVINE (GILLEN McKELVIE WILSON COWLES). Ogni novant’anni dodici dei si incarnano in forma mortale. Per due anni vengono amati, venerati, osannati. Poi muoiono. Novant’anni dopo, il ciclo si ripete. Kieron Gillen e Jamie McKelvie ci regalano una saga complessa, mistica, avventurosa ed edonistica, in cui Laura, una ragazzina infatuata della figura degli del del Pantheon si ritrova coinvolta nel disperato tentativo di scagionare Lucifero da un’ingiusta accusa di omicidio, mentre il colpevole si nasconde tra gli altri dei. Tra gli idol del Brit Pop si nasconde un atroce segreto, e Laura – purtroppo per lei – lo scoprirà.

Grazie a Bao Publishing, possiamo finalmente divorare uno tra i titoli Image Comics più interessanti di questi ultimi anni. L’opera di Kieron Gillen e Jemie McKelvie è un frullato pop, uno straordinario tributo a colori alla multimedialità frenetica, alla malattia del consumismo, alla brutalità del “tutto, subito e ora” di questi ultimi decenni, dove la musica è un costante fil rouge, attraverso una propria autonoma coerenza estetica ed intellettuale (esattamente come la letteratura, come i fumetti). I superoi “classici” appartengono ad un’altra epoca, oggi i superoi – secondo gli autori – sono le superstar musicali. Citando lo stesso Gillen: “David Bowie mi ha salvato la vita. David Bowie ha salvato più vite di Batman”.

A sottolineare lo stretto legame tra la graphic novel e la musica, anche la playlist creata dallo stesso sceneggiatore su Spotify. Oltre 300 brani che spaziano ed attraverso tutti i generi musicali, incarnando così perfettamente la natura multiforme della storia. Una natura colorata, differente, caleidostopica sulle note di Kanye West, dei Rolling Stones, di Florence + The Machine e non solo.

La storia si impone da subito, senza scadere in pregiudizi o demonizzazione del moderno, come una trascinante riflessione sulla società di oggi, sull’appiattimento della persona, sulla volatilità dell’esistenza, sull’incapacità di godere di qualsiasi cosa per sempre. Tutto ha una fine, estremamente vicina, perché scopriamo e godiamo di qualsiasi fenomeno culturale a ritmi frenetici, dove è impossibile digerire e far proprio un libro, un film, un disco e l’assimilazione culturale diviene quasi bulimica, violenta. Da non perdere.

PAPER GIRLS (BRIAN K. VAUGHAN, CLIFF CHIANG). Brian K. Vaughan e Cliff Chiang creano una serie destinata a diventare di culto. Cinque ragazze che consegnano i giornali in un sobborgo di Cleveland, una notte, inciampano nel segreto più importante dell’universo, e il loro mondo ne risulta sconvolto. Immaginate un incrocio tra I Goonies, Stand by me – Ricordo di un’estate e La guerra dei mondi e avrete una vaga idea delle atmosfere che vi potete aspettare.

Se avete amato Stranger Things, non potrete non amare queste serie di fantascienza. In Paper girls l’estetica anni ’80 oltrepassa i limiti della cifra stilistica e diviene anche cuore della storia perché, proprio come nei grandi classici del decennio, le fondamenta crescono partendo da un romanzo di formazione dove l’invasione aliena è sì un elemento horror, stra-ordinario, ma anche una metafora della crescita, della solitudine, della paura dell’altro, della necessità di affrontare gli ostacoli insieme per superare un problema.

L’aspetto più divertente e più immediato concerne quindi il gioco di riferimenti e citazioni: l’abbigliamento, le biciclette, i Guns ‘n’ Roses, la rivista Heavy Metal, The Elephant Man di David Lynch. Ma è solo una superficie da grattare, proprio come lo è la provincia americana nella poetica del cinema di Lynch (basti pensare anche solo a Twin Peaks): la piccola società americana dove realtà ed apparenza non coincidono, dove il grottesco riesce a spostare per un attimo il nostro sguardo dal vuoto e dalla tristezza della quotidianità.

Paper Girls è un suggestivo (e meraviglioso) esempio, assieme a Stranger things, Donnie Darko, Drive e lo stesso Lynch, parafrasando Fredric Jameson, della nostra incapacità di produrre una rappresentazione estetica coerente del presente, sostituendolo così con immagini stereotipate di un passato più o meno idealizzato e sviluppando una sorta di nostalgia collettiva.

MERAVIGLIE MUTE (MARCELLA TERRUSI). La storia degli albi illustrati senza parole – i silent book – è frutto del coraggio di editori, autori e artisti che offrono all’infanzia nuove possibilità di visione. Illustrazione, pittura, fumetto, fotografia, cinema, letteratura, pantomima, musica confluiscono nel linguaggio narrativo dei libri per immagini. I libri muti concorrono così a educare il nostro sguardo, ci invitano a provare meraviglia e spaesamento, dispongono nuove immersioni nell’immaginario e al contempo determinano un nuovo rapporto con la parola. Il volume, in un pionieristico lavoro critico, rielabora riflessioni, ricerche internazionali, esperienze condotte con lettori di ogni età. Con più di cento immagini a colori, si propone come strumento di educazione estetica e poetica per tutti.

Per capirne di più – e coglierne l’arte -, vi consigliamo il nuovo saggio di Marcella Terrusi, dove l’autrice ci aiuta, attraverso oltre cento immagini a colori ed esperienze pratiche, a ripensare al significato dell’immaginazione e della fantasia tra “discorsi”, “trascorsi” e “percorsi”, fornendoci anche una importante bibliografia da, eventualmente, approfondire. “La libertà di sperimentazione in questi libri – scrive Terrusi – è una garanzia di diritto: la loro molteplicità si oppone all’omologazione del pensiero, è resistenza attiva all’impoverimento del linguaggio, contrasta i meccanismi di indifferenza e separatezza fra le persone, la chiusura delle frontiere e delle prospettive del sogno, in favore di aperture e nuove esplorazioni capaci di mostrarci come l’immaginario collettivo contenga al suo interno infinite possibilità di guarigione, crescita e trasformazione”.

COME MI VESTO OGGI? (INES DE LA FRESSANGE, SOPHIE GACHET). Dopo il successo planetario de La Parigina – Guida allo chic, Ines de la Fressange e Sophie Cachet ci presentano il look book della Parigina, una guida di stile in cui con il loro irresistibile humour ci consigliano gli outfit più adatti situazione per situazione. Si va dalla cena fra amiche rigorosamente vietata agli uomini in cui si può anche indossare una tuta da meccanico con un sandalo basso, tanto lo scopo non è far conquiste, all’appuntamento col banchiere quando sei al verde per aver esagerato con lo shopping: un po’ di scollatura per ingraziarcelo ma evitiamo la borsetta costosa che potrebbe tradirci! Gli ingredienti usati in queste ricette sono tutti capi accessibili che sicuramente abbiamo già nel guardaroba, a volte basta poco per creare un look stiloso, una collana portata a mo’ di cintura, un trench con sotto solo la biancheria intima, appunto quel tocco di classe che solo la Parigina ci sa dare.

Libri così non possono mancare in nessuna libreria. In primis, già per come sono confezionati e pensati ci faranno fare subito una splendida figura. E poi, vogliamo mettere il bello di “barare” e farci consigliare ogni giorno, a costo zero, dalle nostre personal shopper del cuore? Un libro delizioso che non fa solo scena, ma estremamente utile e perfetto anche per quella nostra amica che odia leggere ma che al libro “che fa arredamento” non rinuncerebbe mai (o per l’eventuale vicino di ombrellone un po’ a corto di galateo della moda).

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