Due o tre cose che so del mondoLa chiamano Quarta Rivoluzione industriale, ma non ha nulla della rivoluzione: i regnanti saranno ancora più forti

Hanno chiamato "4.0" l'Industria seguita alla Grande Recessione, quella della "Quarta Rivoluzione industriale", ma non fatevi trarre in inganno: stiamo andando indietro, non avanti. La direzione de...

Hanno chiamato “4.0” l’Industria seguita alla Grande Recessione, quella della “Quarta Rivoluzione industriale”, ma non fatevi trarre in inganno: stiamo andando indietro, non avanti. La direzione dei gamberi, ma con la velocità dei ghepardi.

Tratti distintivi dell’Industria 4.0 sarebbero nuove tecnologie – come cloud, augmented reality, simulation, integrazione orizzontale e verticale, big data e cyber security – e la crescente precarizzazione del lavoro, cosette che in sinergia sapranno farci perdere nel giro di pochi anni 7 milioni di posti di lavoro per guadagnarne 2. Un affarone.

Ma evitare un futuro troppo nebuloso (cloudy, in inglese) non fa parte degli interessi degli strateghi pseudorivoluzonari assoldati dai re, e dunque avanti a testa bassa, come neanche l’uomo del paleolitico.

I governanti ci vorrebbero entusiasti per la ripresa del manifatturiero, ma noi non ci siamo dimenticati che abbiamo solo riagguantato i livelli del 2007 e che l’Italia, nel 2005 quinta potenza manifatturiera mondiale, ora è slittata al settimo posto, superata dalla Corea del Sud e dall’India.

È stato pronosticato che nel 2020 le avanzatissime tecnologie che abbiamo citato consentiranno agli Stati Uniti di riacciuffare il titolo di Paese manifatturiero più competitivo al mondo, sottratto nel 2010 dalla Cina.

Io non lo credo, sostanzialmente non credo che i balzi manifatturrieri possano derivare da gap tecnologici, giacché quand’anche esistessero, verrebbero colmati nel giro di mesi, un anno forse?

Ma in fondo è la solita storia dell’Occidente che non riesce a sbarazzarsi della convinzione di essere intellettualmente superiore, malgrado negli ultimi decenni abbia preso più bastonate di Arlecchino servitore di due padroni.

E pensa di recuperare qualitativamente quanto ha perso quantitativamente. Ma l’economia è fatta dalla domanda e la domanda è un fatto quantitativo. Pensiamo davvero che bastino i brevetti?

La crescita è fatta principalmente dalla domanda interna e la domanda interna si sviluppa soltanto se i redditi sono adeguati al costo della vita e certi.

Peccato si stia andando nella direzione opposta. C’è chi è stato contento del low cost, senza nemmeno capire che se crollava il prezzo dei biglietti aerei era soltanto per permettergli di volare anche da povero.

Ho letto che le assistenti di volo Ryanair devono vendere ai passeggeri profumi e “gratta e vinci”. Che la reperibilità non è remunerata. Che gli stipendi sono da fame.

Penso a tutti i plutocrati che si leccano i baffi, e che già stanno pensando agli aromi giusti per infornaci. E penso a quanta inconsapevolezza ci vuole per non capire che la lotta di classe – non più padrone/operaio, è chiaro, bensì ricco/sfruttato (molti dei plutocrati attuali non hanno nemmeno il rischio di impresa) – è finita solo perché è stata vinta dai più agiati.

Se pialli lo spirito rimane la materia. Rimane il soldo. E la vita diventa l’appagamento di bisogni perpetuamente rinnovati. E per appagarli occorrono sempre più soldi. E tu non li hai ed allora li chiedi: l’invenzione della carta di credito è stata probabilmente il verme nella mela.

Dicono gli uomini pensino al sesso decine di volte al giorno. Forse un tempo. Ora uomini e donne pensano ai soldi, ma a quelli che non hanno. O al sesso a pagamento, che è sempre un pensare prima ai soldi. E se sei italiano e la sventura di non esser dipendente stai a contare i giorni prima che il fisco ti spolpi e rigetti sulla spiaggia come il Leviatano. E guardi la casetta che ti dovrebbe comunicare una minima sicurezza. E pensi che prima o poi si rivaluterà. Che è sempre stato così. Ma questa volta non sarà così.

Il seguente dialogo lo scrisse Vasco Pratolini in Cronache di poveri amanti, che descrive la vita dei proletari fiorentini negli anni Venti tra Palazzo Vecchio e Santa Croce, in via del Corno.

«Sicché sei disoccupato!».

Egli era tutto compreso della presenza di lei, e ne seguiva l’umore con la condiscendenza di un ragazzo che sta entrando in amicizia con una fanciulla che gli piace e che gli si confida. Disse: «Domani entro a lavorare in uno studio d’avvocati. Mi danno trenta lire la settimana».

Ella lo guardò, sorpresa: «Ma il commesso di studio non è mica un mestiere! Quando sarai grande, poi, cosa farai?».

E candidamente egli disse:

«Da grande il mio sogno è fare l’aviatore.

Sembra scritto oggi. La differenza è che oggi ti sottopagano anche a fare l’aviatore.

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