Non aprite quelle porteIl disagio in treno dalla A alla Z: L di limonare

Milano, una sera di febbraio, un giorno uguale a tanti altri. Aspetto il treno per tornare a casa dal lavoro e il treno, come al solito, non arriva. Cinque minuti, dieci minuti, un quarto d’ora di ...

Milano, una sera di febbraio, un giorno uguale a tanti altri. Aspetto il treno per tornare a casa dal lavoro e il treno, come al solito, non arriva. Cinque minuti, dieci minuti, un quarto d’ora di ritardo. Mentre la muffa comincia a ricoprire il mio corpo, una voce metallica annuncia un convoglio in arrivo. Non è il mio.

Per un attimo accarezzo l’idea di mettermi a piangere – sono stanca, c’è buio, vengo da una giornata difficile cominciata con soppressioni varie per un guasto agli impianti nella stazione di Sailcavolo e, per citare uno dei film più amati della storia del cinema, in Europa la gente muore di fame –, ma un rigurgito di dignità mi impone di tenere duro e mi suggerisce che, se proprio devo sfogarmi, è meglio battere con violenza sui tasti di un computer che inondare la banchina di lacrime.

Nasce così questa raccolta di istantanee, una sorta di dizionario semiserio dalla A alla Z (qui le altre lettere) delle mie disavventure in treno: sono le gioie (poche) e i dolori (tanti) dei miei spostamenti quotidiani, le delusioni e le insidie, le astuzie per non soccombere di fronte ai disagi. Perché anche se partire è un po’ morire, sopravvivere – per fortuna – si può.

L di limonare

Credo di aver raggiunto l’apice del disgusto personale in treno un paio di anni fa, quando, presa dalla voglia di qualcosa di buono ma di Ambrogio (e di limousine) sprovvista, ho aperto la confezione di mango a cubetti che avevo in borsa e ho tentato di buttare il coperchio nel cestino. Dico tentato perché, quando ho alzato lo sportellino di chiusura, davanti ai miei occhi è comparso un preservativo usato in tutta la sua esuberanza.

Ora, viva l’amore, per carità, e viva l’amore protetto. Viva pure il fatto che il frutto della passione, in quel caso, era stato debitamente raccolto dal proprietario e non sparso in giro. Ma all’improvviso il mio mango non mi è sembrato più così appetibile e la mia mano, che aveva incautamente sfiorato la gioia altrui, si è messa a gridare aiuto e a ravanare nelle borse degli altri passeggeri in cerca di un disinfettante senza che io potessi fare niente per fermarla.

Va beh, capita. Diciamo così. Anche se in treno sarebbe meglio non lasciare troppo DNA, che poi magari arriva Horatio Caine e ti accusa dell’omicidio del controllore; bisognerebbe essere discreti e ricordarsi che alcune attività porno o pornosoft, come il limonare rumorosamente, andrebbero svolte in luoghi più consoni.

Esatto, il limonare rumorosamente. Perché il pendolare lo sa, specie se percorre ogni giorno una tratta altamente frequentata da studenti universitari: il limoneur compare quando meno te lo aspetti. Sale sul treno sotto mentite spoglie, quelle di un giovane tutto libri e compostezza, poi, una volta accomodatosi con la fidanzata – o il fidanzato – comincia a esibirsi in giochi di lingua, mani e risucchi.

Giochi di mani, giochi da villani si diceva ai miei tempi, ma dei giochi di lingua cosa si sa? Sono concessi in treno? E se sì, fino a che punto? E ancora, il capotreno deve distribuire palette in modo che i passeggeri possano dare un voto alla performance?

Ma, mentre gli astanti si chiedono attoniti come possano due lingue fare tanto rumore, ai limoneur tutto questo non importa. A loro interessa – probabilmente a ragione – solo l’amore e non certo il bon ton. Bon ton che, tra l’altro, sconsiglia vivamente di limonare in allegria per cinque buoni – anzi, ottimi – motivi:

1. da una grande salivazione derivano grandi responsabilità e non sempre si ha a disposizione una bavaglia;

2. il sonoro che spesso accompagna le gesta dei limoneur – smack, slurp, sdeng – non è sempre musica per le orecchie del pubblico in carrozza;

3. per le mani che corrono disinvolte sotto i vestiti hanno inventato i divani, le automobili e persino i motel;

4. leccarsi vicendevolmente le dita rafforzerà anche il sistema immunitario, ma dato che nessuno ha mangiato patatine al formaggio, ci si può tranquillamente accontentare di godere solo a metà;

5. le conseguenze del godere – sebbene a metà – sono sovente più consone a un set cinematografico con Rocco Siffredi che a un treno Milano – Lecco, per quanto il nome possa ingannare.

Quindi, cari limoneur rumorosi, fossi in voi, sarei un po’ più cauta. Ma forse sono solo una vecchia rancorosa nemica dell’amore.

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