Il tornioLa galassia sovranista in Europa. Strategie politiche e retorica strumentale

Con un’accorta gestione della rete inventano crisi migratorie immaginarie, lanciano roboanti campagne su ordine e sicurezza, deplorano ipotetiche “invasioni etniche”, creano minacce inesistenti,...

Con un’accorta gestione della rete inventano crisi migratorie immaginarie, lanciano roboanti campagne su ordine e sicurezza, deplorano ipotetiche “invasioni etniche”, creano minacce inesistenti, generano paure industriali e preparano risposte esagerate. Al solo scopo di strumentalizzare il malcontento e aumentare consensi.

Non è solo il governo gialloverde di Salvini e Di Maio ad aver scelto la strada del conflitto. A tutte le latitudini gli ultranazionalisti si sono già intestati la battaglia per la salvaguardia della sovranità nazionale, in vista delle elezioni europee del maggio 2019. Da tempo affilano le armi e perfezionano le loro strategie. Sanno che sarà un appuntamento cruciale per il destino del progetto comunitario. Di quelli da cui difficilmente si torna indietro. “Le elezioni dell’Europarlamento che si terranno a maggio determineranno quale direzione prenderà l’Europa”, tuona il premier ungherese Viktor Orbán, il teorico della “democrazia illiberale”, quello che pretendeva che Bruxelles pagasse il conto della barriera di filo spinato che il suo governo ha costruito ai confini con Serbia e Croazia. E incita alla lotta per strappare il controllo delle istituzioni europee “dalle mani di coloro che a un’alleanza di nazioni libere vogliono sostituire un impero europeo controllato non dai suoi leader nazionali, ma dai burocrati di Bruxelles”. Insomma, il celestiale ritorno a tante “piccole patrie” per contrastare lo strapotere degli odiati euroburocrati.

L’Europa accusa il colpo, incapace di affascinare, di rilanciare un progetto comune. E allora le forze nazionalpopuliste si gettano nella pugna, armate fino ai denti. Il leader di Fidesz, che si era fermamente opposto al ricollocamento dei migranti sul suolo ungherese, propone ora ai suoi fratelli sovranisti di tutta Europa l’istituzione di un “cartellino rosso”, da brandire in sede europea, per bloccare i dibattiti ritenuti lesivi degli interessi nazionali. “Noi ungheresi la pensiamo diversamente. Abbiamo bisogno di alleati che ci sostengano nei respingimenti. E ne abbiamo bisogno anche in Europa”. Poco importa se sul tema dei migranti il leader ungherese tuteli interessi che sono divergenti, se non del tutto opposti a quelli italiani. Ulteriore riprova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che un’internazionale sovranista, come il Movement assemblato da Steve Bannon, è assurda. I sovranisti sono nati per la guerra e la contrapposizione anti-sistema. Sono fra loro inconciliabili perché l’uno esprime il contrario dell’altro.

Un’Europa sovranista sarebbe la fine non già delle burocrazie di Bruxelles, delle quali non importa a nessuno, bensì della nostra forma di vita europea, tollerante e solidale. “In gioco nelle prossime elezioni non sono sussidi o occupazione, ma la protezione dei nostri valori fondamentali”, ha ricordato Donald Tusk al recente congresso del PPE a Helsinki. E Frans Timmermans ammonisce che in ballo è “l’anima dell’Europa”. Ma non basta una girandola di dichiarazione di europeisti convinti per riconquistare il cuore e la mente di milioni di cittadini delusi. E le tante incertezze sull’articolo 7 del Trattato, sulle procedure avviate a livello europeo nei confronti di Ungheria e Polonia per la sistematica violazione dei valori fondamentali dell’Unione, non aiutano di certo. Risultato: il governo di Orbán continua in modo provocatorio a calpestare lo Stato di diritto senza che si alzi una sola voce ufficiale per esigere l’espulsione dell’enfant terrible dal Partito Popolare Europeo. Nessuna sanzione, solo blandi avvertimenti.

Una battaglia politica destinata a incattivirsi e produrre macerie. Perché non si tratta solo di irresponsabili forze minoritarie che evocano lo spettro della disintegrazione. Gli antichi euroscettici si atteggiano ora a padri fondatori e vogliono occupare il centro della scena politica, presentando piani di rifondazione europea.

Una battaglia politica destinata a incattivirsi e produrre macerie. Perché non si tratta solo di irresponsabili forze minoritarie che evocano lo spettro della disintegrazione. Gli antichi euroscettici si atteggiano ora a padri fondatori e vogliono occupare il centro della scena politica, presentando piani di rifondazione europea. E così, in vista del voto per l’Europarlamento, il ripudio assoluto dell’Unione lascia il posto, nell’immaginario euroscettico e nelle piazze del Vecchio Continente, alla proposta di un’alleanza di nazioni libere. “Il nostro progetto è quello di un’Europa delle cooperazioni”, dice Nicolas Bay in un’intervista a Sonia Mabrouk per Europe1. Il giovane cavallo di razza del Rassemblement National annuncia con giubilo che “il progetto di un’Europa delle nazioni che noi sosteniamo da tempo è ora una realtà concreta in Italia con Matteo Salvini, ma anche in Austria, in Ungheria, in Polonia, dove c’è una forte volontà di difendere le identità nazionali e di farla finita con un’Europa in mano a una Commissione Europea coercitiva, che fa soffrire la gente”.

Per dare la spallata definitiva alle istituzioni di Bruxelles non si invoca più soltanto la fine dell’Europa comunitaria. Fra i piani degli ultranazionalisti c’è anche la trasformazione della dialettica politica in scontro totale, attraverso una sapiente gestione della rete e accorte campagne di disinformazione organizzata. Nella costruzione di un popolo di riferimento su cui dislocare il risentimento verso il nemico – i burocrati di Bruxelles, l’establishment, le banche – l’appello al popolo è fondamentale. Per soffiare sulle ansie e le preoccupazioni dei cittadini lo strumento decisivo da qui a maggio saranno i social media. Il populismo digitale diventa così la nuova arma in mano ai mestatori sovranisti. Attraverso una collaudata fabbrica di trolls e fake news si spinge alla radicalizzazione delle posizioni, alla divisione fra buoni e cattivi, fra noi e loro. A questa campagna mediatica naturalmente si aggiunge la contro-campagna: chi critica il capo va sepolto sotto una valanga d’insulti. Una politica europeista sempre più debole, priva di visione e competenze, condizionata dal populismo digitale, non riesce per il momento a produrre alcuna reazione. All’esterno, antichi e nuovi contendenti osservano interessati l’evolversi della situazione in Europa. Il quadro è inquietante, lo scontro è appena iniziato.

@Luciano Trincia

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