Un conflitto in penombra, che in tre anni e mezzo ha fatto più di 57mila morti, causando immani sofferenze fra la popolazione civile. Germania e Danimarca dicono ora di voler sospendere le forniture di armi a Riyad, la Farnesina nicchia. Le ambiguità occidentali, l’impunità saudita e il ruolo dell’Italia
Da dove vengono le bombe che l’Arabia Saudita sgancia su Sana’a e sulle altre città yemenite controllate dai ribelli sciiti alleati di Teheran? Dagli Stati Uniti di Donald Trump, certo. E dal Regno Unito di Theresa May, but of course. Ma anche Francia, Italia e Spagna fanno la loro parte. Parigi e Roma figurano rispettivamente al terzo e quarto posto fra i paesi fornitori di armi all’Arabia Saudita e per ora hanno confermato tutti gli impegni presi con i principi sauditi. E come potrebbe essere altrimenti? Riyad è il principale partner commerciale in Medio Oriente e un blocco della vendita di armi sarebbe troppo costoso. L’appello lanciato dalla Germania dopo l’affare Khashoggi ha per ora convinto solo Grecia, Finlandia, Norvegia, Svizzera e Danimarca, tutti paesi con una scarsa incidenza sui rifornimenti militari a Riyad.
Gli Stati Uniti la fanno da padroni, con più della metà delle commesse militari firmate con gli amici sauditi. E quindi vai con le strette di mano: pochi giorni fa, Donald Trump ha nuovamente relativizzato l’uccisione di Jamal Khashoggi nel Consolato saudita di Istanbul e ha dichiarato che cancellare contratti di forniture per miliardi di dollari sarebbe stupido, un regalo a “Russia e Cina che ne trarrebbero enormi benefici”. By the way, per ovvie ragioni anche Cina e Russia hanno attualmente scarsissimi traffici commerciali con Riyad. Washington al contrario negli ultimi due anni ha firmato con i principi sauditi contratti di fornitura militare per 3,4 miliardi di dollari, raddoppiando durante il conflitto in Yemen il proprio giro d’affari, che precedentemente si assestava intorno a 1,8 miliardi.
Ma gli USA sono in buona compagnia. Negli anni del conflitto in Yemen, l’Arabia Saudita ha raddoppiato la propria richiesta ed è diventata il secondo importatore di armi al mondo, secondo i dati dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI). Il 60% proviene allegramente dall’Europa, soprattutto da ditte britanniche, francesi e tedesche (fino alla decisione di Berlino di sospendere le forniture), ma anche da Italia e Spagna. Fra il 2001 e il 2015 la cifra d’affari delle forniture militari europee verso Riyad ha raggiunto i 57 miliardi di euro: Francia, Italia e Spagna non mostrano segni di redenzione né si dicono disposte a togliere le mani dalla torta.
Sull’onda dei 14 miliardi di euro che i principi sauditi hanno commissionato a ditte francesi, Emmanuel Macron ha confermato nei giorni scorsi la sua visita di Stato di fine dicembre per incontrare Re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman, principe ereditario al trono. Sì, proprio lui, quello indicato dal direttore della CIA Gina Haspel come il mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi il 2 ottobre scorso. C’est la raison d’Etat a oscurare le intercettazioni e a illuminare sul proscenio i nuovi contratti da firmare in Arabia Saudita. E poi non è stato proprio Mohammed bin Salman a spingere Re Salman all’intervento contro i ribelli sciiti houthi?
Dopo aver tergiversato per diverse settimane, anche la Spagna del socialista Pedro Sánchez si allinea alla Realpolitik dei partner occidentali e fa sapere al proprio Parlamento che non intende assolutamente mettere a rischio 6000 posti di lavoro della compagnia Navantia nella Baia di Cadice. La fornitura spagnola di cinque corvette a Riyad è confermata. Prezzo concordato: 2.000 milioni di euro. Il governo di Madrid può serenamente continuare a fare affari con l’Arabia Saudita, primo socio commerciale in Medio Oriente con un interscambio totale di 5.951 milioni di euro nel 2017, e mirabolanti contratti a ditte spagnole come il treno a alta velocità AVE fra La Mecca e Medina e la metropolitana di Riyad.
E l’Italia? Cosa dice la Farnesina dei massacri attuati in Yemen dalla coalizione degli otto paesi del Golfo sotto la guida dell’Arabia Saudita? Il governo gialloverde non ha espresso una posizione ufficiale né sul conflitto in corso né sul presunto coinvolgimento del principe ereditario nell’uccisione del giornalista dissidente. Il nostro Ministro degli Esteri Moavero Milanesi si è limitato a dichiarare che “sta senz’altro valutando” la possibilità di sospendere le forniture di armi al governo di Riyad. Ma 500 milioni di euro di export militare solo per i sauditi non sono pochi, e anche la Farnesina deve farne i conti.
Gran parte della fornitura di queste bombe made in Italy proviene dalla fabbrica d’armi RWM Italia, società del gruppo Rheinmetall Defence. Proprietà tedesca, sede legale a Ghedi vicino Brescia, stabilimento produttivo a Domusnovas, nel Sulcis sardo. Oggetto di un reportage del New York Times, la RWM è da mesi sotto i riflettori, fra le proteste di diversi comitati e movimenti civici che ne hanno chiesto la riconversione ad uso civile. Ma il lucrativo business delle armi tira anche all’ombra del Cupolone e la RWN continua ad ottenere dal Ministero degli Esteri italiano nuove licenze di esportazione di materiali d’armamento. A inizio novembre la direzione aziendale di Domusnovas ha annunciato un ampliamento della produzione di testate e ordigni di medio e grande calibro. In altre parole, l’azienda tedesca non ha alcuna intenzione di mollare l’osso e investe nel Sulcis per aggirare il blocco di armi a Riyad imposto da Angela Merkel nel suo paese.
Basta guardare una cartina del Medio Oriente per capire qual è la vera posta in gioco del conflitto yemenita. L’iniziale scontro fra governativi e ribelli sciiti houthi è ora diventato una guerra per procura fra Arabia Saudita e Iran per il controllo dell’area del Golfo Persico, sulla falsariga di quanto già visto in Siria dal 2011 in poi. La popolazione yemenita, stretta nella morsa dello scontro tra i due poli opposti della polveriera mediorientale è allo stremo. Alle bombe di fabbricazione statunitense ed europea si aggiungono il blocco umanitario tuttora in corso e l’embargo attuato dal governo di Riyad in collaborazione con la flotta USA nel Golfo Persico. I dati forniti dalle organizzazioni internazionali sono allarmanti e più che un conflitto descrivono una vera e propria catastrofe umanitaria, con 14 milioni di persone a rischio carestia, oltre 2 milioni di bambini colpiti da malnutrizione acuta e 85mila bambini morti di varie malattie o di stenti dall’inizio dei bombardamenti. Cifre che gettano un’ombra pesante sulla brutalità del conflitto in corso e sulle ambiguità del mondo occidentale.
L’Italia resta silente, la Francia fa orecchie da mercante, la Germania nasconde la polvere sotto al tappeto, il Regno Unito si affida a blande dichiarazioni di circostanza. Da parte loro gli Stati Uniti continuano a dare armi e sostegno logistico alle azioni della monarchia saudita, sua tradizionale alleata. La quale rifiuta regolarmente di ammettere le proprie responsabilità ogni volta che una bomba di Riyad cade su un ospedale, su una festa di matrimonio o su uno scuolabus. Così, in attesa di una svolta diplomatica difficile da intravedere, la guerra dimenticata nello Yemen continua a fare le sue vittime. Avvolto da un velo d’ipocrisia tutto occidentale, fra richieste di cessate il fuoco e appelli per colloqui di pace, il ricco mercato di armi verso il Golfo Persico segue indisturbato le sue regole.
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