Emmanuel Macron asfaltato sugli Champs-Élysées, Angela Merkel in prepensionamento, Theresa May ancora in piedi per grazia ricevuta, Pedro Sánchez alla guida di un governo di minoranza sotto scacco dall’exploit dell’estrema destra in Andalusia. Leader europei allo sbando, che rischiano di rendere possibile al premier italiano Giuseppe Conte l’unica impresa di cui tutti lo credevamo incapace: brillare di luce propria e presentarsi alla pari di fronte agli omologhi europei.
Theresa May gira l’Europa come una Madonna pellegrina e si presenta in ginocchio oggi a Bruxelles in cerca di grazie e concessioni che sa già di non poter ottenere. Delle sorti del Regno Unito in preda agli spasmi della Brexit non interessa più a nessuno, ciò che conta è prevenire il rischio di contagio sulla già fragile architettura europea. Sorriso di circostanza e porte sbarrate, come già visto due giorni fa a Berlino, quando Angela Merkel assisteva impassibile davanti alla portiera dell’auto su cui viaggiava The Prime Minister, portiera difettosa che non aveva alcuna intenzione di aprirsi. Cos’altro potrebbe fare d’altronde la Cancelliera tedesca? Valigie ormai pronte, dopo le ultime sconfitte in Baviera e in Assia non vede l’ora di passare il testimone alla sua pupilla Annegret Kramp Karrenbauer e ritirarsi a Ischia per la stagione di bagni termali.
La mediocrità trionfa in Europa. Anche Emmanuel Macron abbassa la maschera e si rivela a reti unificate davanti a 23 milioni di Francesi un adolescente gâté in crisi d’identità, non più capace di affascinare il suo popolo di riferimento con una visione e un progetto per la Francia e per l’Europa. L’unica risposta credibile alla collera dei gilets jaunes, quella che tutti si attendevano per salvare le briciole del suo quinquennato, non è arrivata lunedì sera. Sopprimere l’anno scorso l’imposta di solidarietà sulla fortuna è stata un’ostinazione che gli è costata cara, non reintrodurla ora in questo contesto di crisi sociale e elargire a pioggia 12 miliardi di euro in deficit rischia di infiammare tutta l’Europa.
Capi di Stato e di governo imbambolati si riuniscono oggi a Bruxelles per l’ennesima foto di gruppo di quello che sembra sempre più un carrozzone del Circo Barnum, fatto di nani, saltimbanchi, giullari e ballerine. Leader europei disorientati e disorientanti, gruppi dirigenti in evidente stato confusionale, la cui attenzione è rivolta ormai quasi esclusivamente agli equilibri interni dei paesi che governano. Beatamente assopiti ognuno sul divano di casa propria dormono sonni tranquilli, mentre alle loro spalle l’astuto felide dal passo felpato del populismo europeo affila le armi per l’Europa prossima ventura.
Storicamente la costruzione europea si è fondata su due solidi pilastri: l’alleanza franco-tedesca come motore per le successive integrazioni nazionali e il blocco dei popolari e dei socialisti europei a garanzia degli egoismi nazionali. Pilastri rappresentati fisicamente per intenderci da Robert Schuman e Konrad Adenauer negli anni Cinquanta, da Helmut Kohl e François Mitterand negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Uomini che conoscevano a memoria la loro parte, che sapevano che un leader non è chi comanda e si consuma nell’esercizio del potere. Un leader ha una visione, un progetto a cui condurre il proprio popolo di riferimento.
Con i principali attori in caduta libera, oggi questi pilastri sono intaccati alla base e l’Europa appare in bilico. I tradizionali equilibri popolar-socialisti sono saltati, la delusione percorre il Continente, le classi dirigenti si mostrano incapaci di orientare azioni e opinioni dei cittadini europei, di suggerire alla società una direzione di marcia coerente, capace di durare nel tempo. Offuscata dalla rivolta e dalle proteste che coinvolgono la Francia profonda, l’Europa offre il fianco all’agguerrito fronte eurocritico, fermamente intenzionato a marcare, nel futuro Parlamento europeo prima e nella Commissione poi, un elemento di discontinuità rispetto al precedente modello che appare in crisi.
Una battaglia politica che ha il sapore del redde rationem, destinata a incattivirsi e produrre macerie, perché condotta da un fronte eterogeneo di forze politiche che non agitano più la bandiera del liberi tutti, della fuoriuscita dall’Unione, ma vogliono ora occupare il centro della scena politica, presentando piani di rifondazione europea al solo scopo di renderla più fragile e ipnotizzata, per dominarla dall’interno. Leader politici di spessore, in grado di intestarsi la partita della riscossa, per ora non se ne intravedono all’orizzonte. Ciò che invece è sotto gli occhi di tutti è lo scaltro felide dal passo felpato e dagli artigli retrattili del populismo europeo. Come nel quadro di Guillaume Corneille, il felino è in agguato e ci attende al nostro risveglio.
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