Step by Step69°Berlinale. Un mondo tutto da ridere? No, da piangere

Berlino - Dunque, riassumendo: se il cinema ritrae e si sofferma sulle realtà nelle quali viviamo, il quadro che ne esce da questa sessantanovesima Berlinale è straziante. L' affermazione è affatto...

Berlino – Dunque, riassumendo: se il cinema ritrae e si sofferma sulle realtà nelle quali viviamo, il quadro che ne esce da questa sessantanovesima Berlinale è straziante. L’ affermazione è affatto esagerata, poiché essa nasce da una sequela di impuntature, di sequenze a effetto choc, disseminate qua e là, in diversi film in concorso, da sceneggiatori e da registi impegnanti più ad educare alla rassegnazione di massa, che ad immaginare una realtà alternativa che invogli a disperdersi.

Nel film austriaco Der Boden unter den Füßen (Il terreno sotto i tuoi piedi), Caroline, chiamata “Lola”, è il tutore legale della sorella maggiore Conny che soffre di schizofrenia paranoica, e nel contempo è una consulente aziendale di successo. Vive a Vienna , ha più di vent’anni e lavora fino a cento ore alla settimana, comprese le cosiddette missioni “Quarantotto”, turni di 48 ore senza dormire. A malapena usa il suo appartamento, fa la pendolare tra le diverse sedi della società nella quale lavora, partecipa alle cene con i clienti più facoltosi, le avanza pure il tempo per fare la cyclette. A completamento, ha una relazione segreta (ampiamente filmata da Marie Kreutzer la regista del film) con la sua capo ufficio Elise.

La gente abbandonata a sé stessa stordita dal mainstream alla fine intuisce di essere parte di un processo nullificante dinanzi al quale nulla può salvarla

Naturalmente tutte queste attività le sono possibili perché – in ogni sequenza, al massimo ogni due – è con lo smartphone in mano, con il quale ella accede a tutte le informazioni del mondo, comunica con i suoi clienti sparsi in ogni latitudine, esprime le proprie idee davanti ai suoi team presenti nei vari uffici persino in Australia. Il messaggio diffuso è chiaro: con lo smartphone si può fare tutto, o quasi tutto.

Nel reale è veramente così? Sicuramente non è molto diverso, tuttavia poco si riflette – sul film, ma anche senza un film – dell’ansia di emergere che spalanca la porta a una solitudine immensa, del vuoto cosmico di un’immagine di successo che maschera il nulla e perciò è distraente. Si ripiega fluttuando nella rete alla ricerca di un’identità, di relazioni, ci si disperde nelle connessioni sconnessioni. Anche il cinema, i serial televisivi fanno la loro parte. Così operando si eclissa il principio di realtà e con esso la relazione con sé stessi e con gli altri.

La gente che è abbandonata a sé stessa, stordita dal mainstream, alla fine intuisce di essere parte di un processo nullificante, dinanzi al quale nulla può salvarla, sicché non le resta che l’adattamento fatale, la rassegnazione. Se questa è la realtà allora meglio si capisce perchè Matteo Salvini è diventato il profeta (non soltanto in Italia) che anticipa e spia i desideri delle masse per guidarle al libero soddisfacimento dei loro desideri più pressanti, come lo è il radicale blocco delle multitudini sui gommoni.

Catherine Denueve rivela senza sfumature che la cosa che le arreca più fastidio è: “ la maleducazione galoppante e la totale indifferenza verso i drammi altrui…”.

L’esempio italiano è contagioso. Lo conferma l’aumento – in tutta Europa – della domanda di sicurezza divenuta allarmante a quanti sta a cuore la democrazia, sicché l’impegno per trovare soluzioni diverse al problema emigranti lentamente evapora. Pertanto diventano confortanti le riflessioni colte di un’attrice dello spessore di Catherine Denueve quando sostiene, senza sfumature, che la cosa che le arreca più fastidio è, “ la maleducazione galoppante e la totale indifferenza verso i drammi altrui “. “In Europa – precisa – ne stiamo vedendo uno di natura epocale, con la migrazione dei rifugiati in fuga”. Incalza:” Ai cittadini di questi paesi consiglierei di liberarsi dei loro governi. Il primo fra tutti la Polonia.” All’intervistatore che le chiede perché proprio la Polonia, l’attrice esemplifica: “ Ho una cara amica a Varsavia, la quale mi raccontava che ogni rifugiato da quel governo è visto come un potenziale terrorista. Certamente il problema non è soltanto polacco. E’ un po’ ovunque”.

Naturalmente, l’appello della Deneuve è destinato a rimanere racchiuso nelle cronache della Berlinale. Grande risonanza invece ha avuto la pellicola in concorso “Elisa y Marcela” che, racconta la storia della prima coppia omosessuale che riesce a sposarsi in Spagna. Nelle intenzioni della regista è un inno al femminismo, alla libertà di scelta che, per richiamarne l’attenzione s’inventa – dichiara sorridendo proprio così – una sequenza di sesso nella quale le due protagoniste si eccitano a vicenda, usando un polpo, probabilmente per evidenziare che la vicenda si svolge a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento?

E’ difficile sostenere se Isabel Coixet , la regista di “Elisa y Marcela” sia soltanto una spiritosa o dia un altro colpo alla consapevolezza sociale. Perché le considerazioni sulle sortite per molti versi dissacranti come questa, amplificate dal maistream, riversate sugli smartphone, condivise su facebook, raramente si soffermano sulla responsabilità etica, ma su ben altro.

Non è che vogliamo crogiolarci negli atti osceni in luogo pubblico per trarne la morale, piuttosto constatare come il mercato – in questo caso del cinema – indirizzi verso le scelte imposte dalla grande finanza che governa il mondo, la sola che può decidere su qualsiasi cosa le venga in mente. Naturalmente, sono le istituzioni che sostengono quelle scelte e il mainstream che elabora l’illusione che sia la soltanto la gente a scegliere (Salvini e Di Maio). Infatti, una delle tante conferme arriva proprio dalla Berlinale. In molti dei film vi è ritratta una società in un continuo stato d’ansia, di fronte all’ opportunità delle scelte da fare.

Riassumendo, di fronte al profondo disagio, alla sensazione di incertezza, di insicurezza personale, alla certezza che non si può prevedere il futuro, che fare? “Meglio rassegnarsi che discuterne”, è il messaggio diffuso. Cioè l’esatto contrario su cui si regge la democrazia.

Pubblicato su Berlin89.info

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