Negli ultimi mesi ho letto quasi unicamente saggi storici di autori come Harari, Ferguson e Diamond. L’effetto ottenuto è stato un grande rasserenamento e la capacità di mettere i problemi in prospettiva: non stiamo affrontando fenomeni particolarmente nuovi o perniciosi, cambia magari la scala, ma demagogia e corruzione, disuguaglianza e burocrazia inefficiente, sono sempre esistiti. La storia ci insegna parecchio su che cosa ha funzionato e che cosa no nell’enorme possibilità combinatoria che si apre nell’auto-organizzazione delle società umane. Sappiamo che le società si schiantano se soffrono di una cattiva governance, di una burocrazia inefficiente e di un sistema economico dove manca la fiducia reciproca. La Rivoluzione francese è stato il prezzo pagato da un sistema di governance inefficiente, una burocrazia corrotta e una prolungata incapacità di gestire il debito pubblico: vi ricorda qualcosa?
Il destino dell’Italia è segnato ma, al contempo, storicamente, è uno dei paesi che ha dimostrato una più solida resilienza. Fare previsioni spetta ad astrologi e indovini, ma visto che è iniziato l’anno mi piacerebbe giocare un po’ e immaginare soluzioni impreviste per provare a ridurre la decadenza del Belpaese. Oltre che dagli storici, ho imparato qualcosa dai miei tanti errori, e vorrei provare a capitalizzarlo. Come buon proposito del 2020 non intendo concentrare più l’attenzione su una singola policy o su un singolo problema: non ha senso quando l’ecosistema non è in grado di appoggiarlo, di coltivare un confronto pubblico decente. Oggi vince chi urla di più, e non sono in grado di urlare.
Governance
Avere incompetenti al Governo fa male, ce ne siamo accorti. Ma fa molto male anche averli in azienda, dove assegnare la corsia preferenziale a chi disturba il meno possibile crea enormi conseguenze negative in termini di scarsa innovazione e incapacità di prevedere le crisi. D’altronde, prendersi responsabilità ha un costo molto elevato se occorre andare contro la struttura di potere: perché evidenzia delle debolezze, perché richiede approfondimenti per sostenere le ipotesi contrarie (l’onere della prova è sempre dell’innovatore), perché porta a mostrare le incapacità dei superiori, che potrebbero non capire le critiche o le debolezze scovate (dato che avrebbero dovuto scovarle loro e non l’hanno fatto). Quindi meglio che la carriera la facciano persone che tendono a prendersi meno responsabilità possibili, e l’errore diventa tale solo quando è talmente grave da non essere più mascherabile in alcun modo. Abbiamo così una classe politica scarsa, manager poco lungimiranti, burocrati inefficienti.
Il mio primo sogno? Cambiare il modo in cui si seleziona la classe dirigente, costruendo un processo che consenta di avere una valutazione seria senza creare legami di raccomandazione. Si tratta di un’innovazione anche tecnica, a cui stiamo lavorando nell’associazione Copernicani, ma ha bisogno che adottiamo consapevolmente un principio preliminare: battiamoci perché i migliori arrivino nei posti chiave, anche se potremmo non essere noi. Potranno essere boomer, uomini o donne, italiani o stranieri: purché siano bravi, purché migliorino il nostro Paese. Il grande scoglio con cui ci siamo scontrati come millennials è proprio questo: vogliamo cambiare le cose se siamo noi a guidare. Negli anni ho incontrato decine di aspiranti leader incapaci di fare gioco di squadra, ognuno in cerca della propria visibilità e poco incline alla collaborazione. Questi leader sono affascinanti ma tossici: lasciamoli perdere.
Benessere
Siamo un paese destinato a uscire dal novero delle potenze. Siamo già in declino ma, nonostante tutto, si vive ancora bene. Un po’ perché capitalismo e benessere psichico non paiono andare a braccetto: la solitudine è molto più forte nei paesi ricchi, l’individualismo rovina le relazioni mentre consumismo e narcisismo vanno a braccetto. Un po’ perché una serie di circostanze fortunate rendono la vita in Italia più piacevole: un ottimo clima, un paesaggio bello e variegato, impreziosito da secoli di storia, cibo buono e via, anche ottimi alcolici. In realtà il benessere è un asset di valore straordinario, che dovremmo comunicare meglio, al fine di attirare turisti e nuovi residenti. Ma ci sono molti passi in avanti che si possono fare, affrontando il benessere psicologico dei cittadini in maniera aperta e propositiva.
L’assistenza psicologica dovrebbe essere un diritto universale, di facile accesso, vissuta in modo trasparente, senza doversi nascondere. Possiamo insegnare ai bambini a relazionarsi meglio, imparare dalle esperienze estere più interessanti, come le lezioni di empatia in Danimarca, e non pensare solo alla competizione ma anche alla crescita emotiva, utile anche agli adulti che faticano a relazionarsi. Le leggi a estensione dei diritti civili sono a costo zero: sull’eutanasia, sul riconoscimento delle esigenze sessuali dei disabili, sulle adozioni da parte di genitori dello stesso sesso. Possiamo realizzare innovazioni legali capaci di generare potenti effetti culturali.
Chi siamo? Che cosa vogliamo?
Nei momenti di crisi, i paesi che si salvano hanno trovato nella propria identità una forza che ha permesso loro di accettare sacrifici davvero sovrumani. Il nostro Paese presto o tardi dovrà fare i conti con i suoi innumerevoli problemi socio-economici e non possiamo pensare che l’identità che alcuni propagandano si possa costruire solo per differenza, dicendo che non siamo africani, ebrei, musulmani, massoni, poteri forti ecc. In passato il fascismo e il razzismo non hanno prodotto né sviluppo né pace, sono un vicolo cieco. Ma l’alternativa manca: in periodi eccezionali non possiamo limitarci a definirci democratici e liberisti. Eppure, finora non è emerso nessuno in grado di dirci chi siamo – veramente. Nessuno capace di raccontare un grande progetto, ma solo tanti slogan più o meno efficaci. Dipenderà, ancora una volta, dalla storia particolare di un’Italia invasa decine di volte da popoli diversi, crogiolo di etnie e lingue variopinte. Mi auguro che nessuno voglia riprodurre l’effetto grottesco che ho provato a Skopje, in Macedonia del Nord, in cui i palazzi appena costruiti si rifanno al mito ellenistico. Ossia: lasciamo pure in pace i nostri gloriosi antenati romani. L’Italia nella sua storia è stata terreno di sperimentazioni, di particolarismi, di innovazioni: i piccoli comuni medioevali e rinascimentali hanno testato forme di auto-governo interessanti (come nella Firenze che sorteggiava in shortlist i propri rappresentanti), inventato buona parte della finanza (a Genova, in Toscana, in Lombardia), rinnovato l’architettura, la filosofia, prodotto artisti straordinari. Se un’identità comune c’è, è proprio nell’essere figli di una culla di caotiche innovazioni socio-culturali, quindi un paese più proiettato al futuro e alla sperimentazione di quanto oggi non riesca a esprimere. Un paese che ha raccontato per anni il piacere di vivere, e che ha saputo cavarsela sempre, con autoironia e creatività. Tutti valori che mi pare meritino di essere conservati, trasmessi ed esposti orgogliosamente al mondo.
ANDREA DANIELLI