Con l’apertura dei servizi più diretti alla persona, nonché dei luoghi di aggregazione per eccellenza (bar e ristoranti), si entra in questi giorni nel vivo di un ripristino progressivo, ma ancora accompagnato da incertezze e timori.
Si riaffaccia una quotidianità fatta di gesti semplici, addirittura alcuni profondamente banali, per mesi sospesi e quasi dimenticati. Come la tazzina di caffè al bar prima di entrare in ufficio o il simpatico e liberatorio pranzo/aperitivo col collega o con l’amico, fonte di ricarica sociale ed emotiva dopo ore di serietà (forse) e di lavoro.
La nuova semi-normalità, fragile e immatura, è qui ora a disposizione fra tante nuove e comprensibili attenzioni, regole e paure.
L’epidemia infatti non si è arrestata, anzi. Vero: al momento, i numeri confermano un andamento positivo verso la diminuzione di contagi e deceduti. Tuttavia, ancora mancano la libertà vera e la vittoria definitiva su questo nemico invisibile e spaventoso. Ancora occorre attendere, pregare e sperare.
Debolezze e meriti allo scoperto
Il Coronavirus ha messo in risalto, e lo farà per diverso tempo, le debolezze e i meriti della nostra società e, più precisamente, del nostro sistema politico, economico e sociale, oggi più che mail alle prese con la sua estrema complessità. Inutile ripercorrere la difficile rete di soggetti e fattori, protagonisti delle intrecciate dinamiche susseguitesi da inizio emergenza. A ragion veduta, saranno sicuramente spiegate e distinte da una parte le decisioni meritevoli, dall’altra le bizzarrie gestionali, a tratti scandalose, di questa crisi. Una crisi che, proprio ora che si riapre, inizia a rivelare tutti suoi molteplici profili.
Vi sono anzitutto le difficoltà sanitarie ed economiche, certamente le più importanti e le più evidenti, sotto gli occhi di tutti, con più di 200.000 contagi dall’inizio della pandemia, di cui oltre 30.000 morti, oltre a milioni di euro sfumati e recuperabili chissà quando. Due contesti altamente provati, vuoi per il fattore umano perduto, a causa della scomparsa incolmabile di persone custodi di affetti e storie, vuoi per il fattore lavoro espropriato dall’esito di tanto ingegno e di tanta fatica.
Impoverimento maggiore, non solo economico
Come se ciò non bastasse, avanza potenzialmente anche una crisi sociale e culturale, pericolosa quanto basta per destare timore fra i più sensibili alle sorti delle comunità. Il coronavirus ha contribuito con forza ad impoverire le frange più deboli della popolazione, creandone anche di nuove, favorendo altresì il rischioso allargamento di quelle sacche di disuguaglianza e di povertà già da tempo presenti (Coldiretti ha recentemente stimato 1 milione di nuovi poveri in Italia, per effetto dell’emergenza sanitaria).
Ha poi creato (o riaperto?) terreni di scontro fra chi occupa i poteri decisionali (Stato vs Regioni ed enti locali), ma anche banalmente fra chi assume un inopportuno atteggiamento di spavalderia e diffidenza nei confronti delle regole e della competenza (ancora una volta!) e chi, invece, le rispetta saggiamente e promuove con dedizione e abilità un sano e ragionato senso di progresso.
Tanti sono, infatti, i “leoni da tastiera” che, pur in questo frangente, decidono di mettere in discussione il sapere, in nome di un relativismo spregiudicato e disgustoso, che evidentemente non conosce limiti.
Questo impoverimento sociale legato alla diffusione della povertà, insieme a quello culturale, più legato a sacche di già nota insipienza, rappresentano ennesimi mostri a cui prestare la massima attenzione per assicurare l’altra ripartenza e per cui saranno necessari sforzi politici, economici ed educativi che siano coraggiosi, disciplinati e condivisi.