Bolzano da giorni ha inaugurato la fase 2 plus a differenza di oltre mezza Italia che sta scalpitando ancora nella 2 e vorrebbe fare upgrade verso la fase 2.2 o giù di lì, ma ci sono zone impantanate nella 1.4. In poche parole ci si capisce più nulla e divergono inevitabilmente le analisi: per alcuni osservatori l’ottimismo del governo è “colao” a picco (scusate la battuta) mentre per altri non si tratta di logoramento ma una fase di passeggera e fisiologica fibrillazione. Di concreto è che regna l’incertezza e il nervosismo per quelli che per stessa ammissione del premier Conte sono mesi difficili e non possiamo dargli torto ma tant’è.
Come andrà a finire non è dato sapere ma per adesso di numeri reali (quelli relativi all’economia) ne sono piene solamente le agenzie di stampa e i retroscena e si è esaurito il fervore retorico degli inizi (se ci avete fatto caso il famoso #andratuttobene disegnato dai bambini è già agli archivi e ben riposto dai genitori presi da ben altre esigenze come magari portare a casa il cibo.
Ci sono infatti famiglie che dopo la cantata sui balconi e un obolo generoso alla protezione civile lo hanno pure fatto (raccolti oltre 170 milioni di euro) hanno fatto la loro parte; ma al dare non sta corrispondendo il ricevere. Il problema della ricostruzione del paese si sta in un certo senso italianizzando e con questo termine non si prefigura granché di buono: di mascherine social-cost gli scaffali sono vuoti, i virologi si scannano sulla questione test e tamponi per quanto ciò sia correlato al tracciamento e monitoraggio digitale attraverso l’App tuttavia – anche qui – la tecnologia non è “immuni” da approcci confusi sul come, il quando e chi. Nondimeno sulle risorse per autonomi e aziende, i buoni spesa, i redditi di come-li-volete-chiamare i soldi sono visibili sulle slide nei talk televisivi ma non sono accreditati nel saldo dei conti correnti. Nel frattempo si assiste a cittadini mortificati a comprare “a credito” il pane dal fornaio del paese (la frase è del tipo “poi passo nel tardo pomeriggio, non ho moneta adesso…); spesa immediatamente saldata da chi era in coda e prontamente disposta a risolvere la tristissima situazione.
Così non va, sinceramente parlando. Quel che si poteva giustificare in nome dell’emergenza adesso si fa fatica a tollerare dopo otto settimane nette di lockdown con tutto quel che ne è conseguito per la vita economica e sociale del paese. E su questo bisogna fare autocritica e dare ragione a Matteo Renzi che aveva predetto di fare presto perchè “si era costretti a convivere con il virus”. A suo tempo nemmeno io avevo accolto il suo ragionamento e mi sbagliai. Detto ciò, non mi spiego poi per quale motivo non fu fatta in rigoroso stile grillino l’analisi costi-benefici dinanzi sulle possibili zavorrate della burocrazia italiana, il vero cancro del nostro sistema paese. E se non ci riuscirà la pandemia da Covid-19 a fare repulisti dei lacci e dei rimpalli tra livelli di burocrazia o di strati di norme flipper che si contraddicono tra loro allora davvero siamo a rischio implosione.
Sono tante le domande di queste ore: l’opposizione – ahinoi – fa il suo mestiere e sciacalla quando può buttandola in caciara ma non si spiega questa flemma del governo come se la maggioranza fosse un passante per strada. Le inchieste ci diranno se abbiamo lavorato per il prima, ma non è accettabile che un lockdown sacrosanto per l’emergenza del durante non abbia previsto il lavoro di programmazione per il dopo. E’ il dopo il banco di prova del governo, il crogiolo da attraversare. Non si può annunciare un decreto aprile che a metà maggio cambia nome e dilata la sua stesura e approvazione perchè non esiste un concept di riferimento. Onestamente questo modo di procedere è indifendibile. E se a lanciare l’imperativo (piantatela) oggi è il Fatto quotidiano vuol dire che non lo sento solo io l’audio non troppo criptato del tipo… Palazzo Chigi, abbiamo un problema!