PromemoriaTrump e l’America che cerca il respiro

L'america dopo quattro anni di Trump cerca il respiro per il futuro e ritrovare la sua vocazione di società libera ed inclusiva. Come finirà?

A pensarci bene da yes we can a I can’t breath l’involuzione è notevole ed il salto nel buio vertiginoso; e non ci sta solo una successione alla Casa Bianca ma anche un’inversione di prospettive dove ci si chiede se l’america sarà il paradigma di un sogno o sinonimo di incubo.

Sta probabilmente qui il punto di rottura per la società americana, il suo break-point più alto in tutta questa eruzione di rabbia e violenza nelle strade,  con  Donald Trump chiuso nel bunker e con la bibbia in mano (e chiusa).  Un presidente che nel momento in cui dovrebbe riconciliare la nazione,  si lascia inghiottire nelle viscere nere della sua casa bianca, intima ai governatori di non essere pappe-molli, invita la polizia alle rappresaglie e cinguetta “law and order” non  riferendosi presumibilmente  alla nota (e splendida) serie televisiva.

Visti così non sembrano gli Usa eppure è accaduto per davvero.

Che il magnate presidente  sia stato  una iattura della storia contemporanea  non ci piove per moltissime ragioni,  e tuttavia l’esasperazione che ha innescato la morte di George Floyd ci suggerisce considerazioni ulteriori e mi soffermerei proprio sul termine “breath”, quel respiro cortissimo quasi giunto all’asfissia sociale e morale degli americani  dopo quattro anni di presidenza Trump muscolare, umorale, spesso abrasiva,  sicuramente anti-europea e filo non-si-è-mai-capito-cosa, in costante e labirintico sali e scendi su quasi tutte le questioni geopolitiche globali.

La rabbia di questi giorni  – per altro diffusa in molti stati anche con base elettorale repubblicana  – ha fatto emergere  le contraddizioni di un gigantesco inganno venuto a galla pian piano ed esploso con gli ultimi episodi di strisciante ed esibito razzismo da tratti neo-nazisti  ed  alimentato dall’emergenza del Covid-19 con il crollo dell’economia interna e 40 milioni di disoccupati senza un futuro per risposte serie per il domani. In buona sostanza, quando si è capito  infatti che great america non indicava fare grande l’america ma fare l’america dei grandi (e pochi) ricchi allora sono cadute via via dagli occhi del popolo americano le cataratte dell’illusione e si allargava il divario tra il presidente e la società su molte questioni (dall’uscita degli accordi di Parigi sul clima fino all’amuchina in flebo nella lotta al covid passando per i dazi alla Cina e l’ostilità all’Unione Europea e alla Nato senza farsi mancare nulla contro le Nazioni Unite).

Tornando al piano economico, quando si è capito che  il crollo delle tasse ha reso più ricchi i già ricchi ma non è stato capace di costruire tutele e protezione sociale per tutta la collettività (gestione della salute nella lotta al coronavirus su tutte)  allora ci si è sentiti abbandonati, direi truffati moralmente.  Si è adempiuto il triste presagio di Sofocle per cui finita una grande illusione si ricade in un dolore più grande. La morte di George Floyd è diventata così l’innesco di una frattura globale dentro la società americana in un bellum omniun contra omnes che ha accecato gli animi, ha fatto perdere il controllo delle azioni  come le armi puntate di un videogioco pericoloso diventato un incubo reale.  Il sogno di una società inclusiva  è andato a ramengo ed ha provocato  una crisi istituzionale con gli stati (dis)uniti svuotati di obiettivi ed una critica interna al mondo conservatore statunitense

Oggi l’America sente il bisogno di pacificazione per ritrovare persino  il senso delle sue autentiche radici religiose, contraddette dal un  presidente che tiene come clava la bibbia chiusa,  sigillata e muta quando viene ostentata ma non  meditata. Sfugge che questo atteggiamento è – in se stesso – una condanna di antica profezia quando le parole sapienziali non producono il bene che proclamano ma diventano un’arma di propaganda fondamentalista, un peso da mettere come giogo sul collo degli altri.  Sono pagine nelle quali vi leggeremo dentro l’invito alla legge vissuta appieno quando è scritta nell’intimo del cuore, un cuore però fatto di carne e non indurito come pietra.

E nel caso di chi guida le sorti di una nazione questa responsabilità dovrebbe essere un imperativo etico dal quale non prescindere e che si declina nel costruire soluzioni e non chiudersi nel bunker del proprio egoismo ipertrofico.

hoping the worst is over…

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