E(li's)booksLa Siria di Khaled Khalifa. Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città. Recensione

La Siria, quel piccolo Paese che tutti vogliono controllare.

Ho già parlato dell’ultimo libro di Khaled Khalifa proprio QUI oggi vado a ritroso, vi racconto del romanzo precedente: Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città.

Il libro

È uno sconosciuto che ci parla: è nato ad Aleppo nel 1963, il giorno stesso del colpo di Stato militare che porta al potere il partito Baath, da cui emergerà nel 1970 il regime personalistico di Hafez al-Asad. La coincidenza storica diventa presagio di un destino che il narratore considera ipotecato dal parallelismo tra la sua vita, personale e familiare, e quella del partito Baath. Il narratore, suo fratello Rashid e le sue sorelle Sawsan e Su’ad sono figli di un’epoca in cui “se dici che il basilico è caro questo significa per gli informatori che ti lamenti della politica del partito e se dici che pensi alla morte, significa che non ti piace vivere sotto la pressione dell’autorità del partito”. La vita è possibile solo per chi viene a patti con il partito, cedendo qualcosa di sé. Una saga familiare che scorre dagli anni sessanta fino al duemila e strappa il velo sui sistemi di paura e controllo di Assad.

La mia lettura

In questi giorni è nelle sale cinematografiche il documentario che il regista Gianfranco Rosi ha presentato a Venezia77, Notturno, nel quale racconta anche la Siria, le sue madri che piangono i figli torturati fino alla morte, i pazienti di un manicomio che mettono in scena la guerra tra i ribelli siriani e i terroristi dell’ISIS, assolutamente da vedere perché aiuta a prendere consapevolezza di quanto oramai da anni accade in certi territori.

Il romanzo di Khaled Khalifa, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, racconta, attraverso le vicende di una famiglia di Aleppo l’origine del regime di Assad, ci fa comprendere come già a fine anni Sessanta il terreno fosse fertile per lasciare che il regime si consolidasse fino alle estreme conseguenze che oggi conosciamo bene.

Il declino e la disperazione della famiglia coincide con quello della città, il bavaglio imposto dal regime ai cittadini porta all’annullamento delle relazioni sociali, al sospetto, all’annichilimento, al senso di vergogna che finiscono per provare constatando la desolazione che li circonda, la corruzione a cui non riescono ad opporsi, nel romanzo i personaggi si vergognano di loro stessi, di quello che la dittatura li ha fatti diventare.

E’ bellissimo il simbolismo che Khaled Khalifa attribuisce alla foto di famiglia che i protagonisti tengono ancora appesa in casa, la famiglia di fatto è sfasciata da tempo eppure quella foto campeggia sul muro a ricordare il passato:

la foto di famiglia, appesa nel salone, era diventata per noi un peso, una menzogna oscena che non potevamo più nascondere”.

E’ doloroso per il lettore assistere a quel senso di vergogna che caratterizza praticamente tutti i personaggi del romanzo: si vergognano Sawsan e Rashid, quest’ultimo addirittura cercherà una identità nel modo più “estremo” e disperato senza riuscirci, Jean che è il maestro di Sawsan si vergogna a vedere quanto i suoi colleghi siano compiacenti col regime, la madre di Sawsan e Rashid prova vergogna per aver messo al mondo una figlia con problemi mentali, Nezar si vergogna della sua sessualità …

E’ destinata ad autodistruggersi la famiglia e la colpa principale è, probabilmente, da attribuirsi al terrore che li attanaglia, lo stesso terrore che attanaglia la Siria dopo tanti anni di dittatura.

Terribile è  il senso di attesa che si avverte leggendo, l’attesa della morte, unica e sola in grado di liberare tutti da quel senso di vergogna ma l’agonia è lentissima e lo capiamo da alcuni personaggi che fin dalle prime pagine sembrano essere in fin di vita e invece sopravvivono per tutta la storia.

Il titolo del romanzo, Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città, cita un episodio che risale alla insurrezione di Hama (1964), quando la città provò a ribellarsi ai militari che avevano fatto il colpo di Stato nel 1963, l’esercito aveva assediato il centro abitato e stava per bombardare, il comandante delle forze governative durante i negoziati minacciò: “Quando avrò finito con voi, in città non resterà più neppure un coltello”.
E’ un quadro triste che dipinge con toni accorati, talvolta ironici perfino, Khaled Khalifa, come si fa a non comprendere il sentimento di paura di questo popolo? Una paura paralizzante che ti convince a rimanere fermo, a non rischiare anche se ti rendi conto che il rischio è non liberarsi più dal giogo della dittatura.

Cosa voleva significare l’autore con i fallimenti di tutti i suoi personaggi? Sicuramente il senso di impotenza che i siriani provano ma è anche vero che alcuni personaggi come Sawsan, sembrano essere invincibili a loro modo, sono disperati eppure lottano ancora e ancora.

Un romanzo magnifico perché magnifica è la prosa di Khaled Khalifa, è un romanzo struggente, coinvolgente, da leggere.

Khaled Khalifa – Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città – Bompiani

Traduzione: Maria Avino
Brossura con sovraccoperta € 18,00 Pagine: 288

 

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