Questa è la storia di un viaggio; la puoi leggere su questo blog a puntate oppure, se preferisci, la puoi leggere per intero qui.
Ofelia a Marrakech – nona puntata (continua da qui)
Parigi, mercoledì 18 luglio 2018
«Hai riposato bene?» mi chiede dubbioso Gaetano mentre facciamo colazione in hotel.
«Ho parlato con Maude quasi tutta la notte, ma devo dire che è stato rigenerante, a parte per le occhiaie. Ci voleva. Avevo bisogno della sua vicinanza fisica. Bella la tecnologia, ma un abbraccio è sempre un abbraccio».
«Come stai?» mi chiede, facendosi più serio.
«Bene, credo» rispondo con sincerità. «Mi sono divertita ieri con Nick. Ero rilassata, senza le difese alzate come al solito. Una serata piacevole. Non siamo scesi troppo sul personale e non ho sentito il bisogno di annullarmi. Non mi sono sentita minacciata. Aspetta, non fraintendere. Non che lui abbia fatto nulla in tal senso, ma sai come sono fatta. Voglio dire che non mi sono sentita forzata a nascondere qualche parte di me. Tu diresti che ho lasciato aperte delle brecce. Soprattutto non ho avuto paura che qualcuno ci infilasse un coltello. Sembra ridicolo, raccontato così, ma Sami mi ha talmente segnata che a volte ho paura che persino, che so, il fruttivendolo sia capace di darmi una pesca con dentro una lametta. Non è granché come esempio, ma credo tu abbia capito. Divento tappezzeria per non dare la possibilità agli altri di colpirmi».
«Sono contento, sai. Quando ti ho proposto di venire a Parigi ho pensato che tu la vedessi come un’ingerenza da parte mia».
«No, al contrario. L’ho apprezzato molto. Come ti ho detto, Parigi è parte di me e così l’arte contemporanea. Amo il lavoro alla galleria, ma avere la possibilità di partecipare direttamente all’allestimento di una tua mostra – una mostra di Gaetano Ferri – mi elettrizza. Gregory è davvero un ottimo professionista. Mi ha colpito».
«Sì, sono stato fortunato a incontrarlo».
«Secondo me siete stati fortunati entrambi. Ofelia a Marrakech ha trovato la sua collocazione?»
«Vedrai tu stessa. Sappi però che abbiamo messo Big Leash un metro più in là, vicino alla finestra, come hai suggerito tu».
«Davvero? Wow, mi sento potentissima».
«Hai portato una ventata di aria fresca, Charlotte. E ti ringrazio. Gregory è fatto a modo suo, ma non ha paura a riconoscere le buone idee degli altri. Mi piace molto anche per questo».
Non dico niente e mi alzo a prendere un’altra tazza di caffè. A volte basta poco per emozionarsi e la stima di Gaetano nei miei confronti mi fa questo effetto.
La giornata passa veloce. Lavoriamo alla mostra, sento Roberta per sapere come va alla galleria, organizzo un paio di colloqui con due potenziali artisti per la tornata di ottobre. Ne abbiamo già nove e ci manca il decimo.
Mentre rientriamo in taxi in hotel per darci una sistemata prima di cena, ricevo una e-mail che mi lascia di stucco.
Charlotte,
ho una proposta per te. Ti sembrerà azzardata, ma ricordi che ieri ti ho parlato del mio probabile viaggio in alcune capitali europee? Ecco, visto che non hai ancora preso impegni per le vacanze (sì, mi hai detto dell’Île d’Oléron, ma non mi è sembrato niente di certo, e sì, potresti anche aver mentito e aver già prenotato un biglietto per la transiberiana), cosa ne dici di accompagnarmi? Un viaggio in macchina senza impegno, senza tabelle di marcia troppo serrate. Voglio fare delle foto per un progetto personale e mi farebbe piacere avere accanto qualcuno con la tua formazione. In più, se posso scendere nel personale, mi sono trovato bene con te. Mi sembri per certi versi simile a me: diciamo socievoli, ma riservati. Avremo i nostri spazi e non saremo costretti a interagire tutto il tempo. Potrei chiamarti, invece di scriverti, ma voglio lasciarti il tempo di riflettere con calma. So che stasera cenerai con mio fratello e Greg, e ci sarò anche io. Non voglio metterti in imbarazzo, semplicemente mi sembra un viaggio che potrebbe funzionare. Ti propongo un aperitivo veloce prima di cena, alle 19 alla Cave di rue Lepic, così risolviamo gli eventuali imbarazzi di cui sopra prima di trovarci con gli altri.
Fammi sapere,
Nick
PS ti allego una foto fatta a tradimento ieri
Rileggo una seconda volta, incredula.
«Tutto bene?» mi chiede Gaetano.
«Nick mi ha chiesto di passare le vacanze con lui. Leggi, è più veloce che spiegarti».
Gli allungo il telefono e intanto penso. Anche se mi sembra una proposta bizzarra, ne apprezzo la delicatezza. Apprezzo pure la faccia tosta, a dire il vero, perché è quella che in generale manca a me. E apprezzo quelle parole, socievoli ma riservati, che mi confermano l’opinione che mi sono fatta di Nick.
«Ma hai visto la foto?» mi chiede Gaetano, quando finisce di leggere.
«No, in realtà no».
«Dovresti farlo, prima di decidere».
Incuriosita, riprendo il telefono e sullo schermo ci sono io, seduta nel giardino d’inverno. Io, con la testa alta, le spalle dritte e un mezzo sorriso che mi rende un po’ strana ma sicuramente viva. Io, non Ofelia. Io, Charlotte, in mezzo a quella bellezza che rende bella anche me. Credo me l’abbia fatta quando mi ha raggiunto prima di andare via.
«Sei a tuo agio» mi dice Gaetano. «Come mi hai raccontato stamattina, non hai le difese alzate. Sì, vedo brecce ovunque in questa foto: il tuo sorriso, quel mezzo occhio con la luce dentro. Penso che dovresti partire. Lasciarti andare. Sfruttare il momento e approfittare di questa conoscenza. A volte le persone arrivano nei modi più strani. E non intendo potenziali compagni o potenziali amanti, intendo un amico, un collaboratore. Avrai i tuoi spazi e, se a un certo punto ti stancherai, potrai sempre tornare a casa. Ti confesso che ieri, quando sei andata via, ho chiesto a Gregory informazioni su di lui. È come appare da questa e-mail».
«Matto?» tento di smorzare.
«Quello lo siamo tutti. È un solitario, questo non lo si può negare. Gregory mi ha detto che lo è sempre stato, ma non è uno di quelli che odiano il mondo e tu sai rispettare lo spazio altrui. E poi è stato sincero, trasparente. Suvvia, Charlotte, smollati».
Rido per la frase di Gaetano, che tutti i torti non ha, e seguo l’istinto, anche se sono confusa.
Alle 19 in rue Lepic.
A più tardi,
Charlotte
Non so se accetterò la proposta, ma voglio valutarla. Un giro in macchina per l’Europa con uno sconosciuto, io, che non ho mai nemmeno fatto l’autostop. Potrebbe essere interessante.
Arrivo al locale poco prima delle sette; Nick è già lì e le mie abitudini francesi riaffiorano tanto che mi viene spontaneo dargli due baci sulle guance.
«Scusa» gli dico subito dopo, «la bise, dopo tredici anni a Parigi, diventa parte integrante di te. Prometto di non farlo mai più».
«Stai dicendo che accetti?»
Non rispondo. Ci accomodiamo al bancone e prendiamo due calici di vino. Vorrei mangiare qualcosa, ma l’aperitivo parigino prevede al massimo delle noccioline, e solo se si è fortunati.
Ho pensato a lungo alla proposta di Nick. Ci ho pensato mentre mi spogliavo, mentre facevo la doccia, mentre mi vestivo, mentre mandavo un messaggio veloce a Maude. Ho pensato tutto e il contrario di tutto. Ho valutato qualsiasi opzione possibile, nemmeno mi avesse chiesto di partecipare a una missione nello spazio.
«Cosa hai in mente?» chiedo per prendere tempo.
«Sto raccogliendo del materiale per un progetto personale sulle grandi città. In realtà è ancora tutto nebuloso nella mia testa e non ha un taglio preciso. So quello che non voglio fare, ovvero la streetphotography. Troppo inflazionata e soprattutto non voglio dover chiedere liberatorie alle persone. Perché sorridi?»
«Perché hai detto una cosa bella, a cui tengo molto. Ogni giorno tantissime persone si ritrovano condivise a loro insaputa sui social network da pseudofotografi che non si curano di chiedere loro il permesso e questa cosa a volte mi spaventa, perché non è sempre lusinghiera».
«Sono d’accordo con te, e infatti mi piace fotografare animali e lande desolate. Ma, viaggiando molto, ho cominciato a raccogliere materiale anche sulle città. Immortalo quello che mi colpisce l’occhio, non importa se è una cosa di nicchia e o una cosa super commerciale. Fino a un paio di mesi fa l’ho fatto in modo distratto, ma a maggio sono stato sul Baltico per un lavoro e al ritorno mi sono fermato a Berlino un paio di giorni, approfittando del fatto che Greg fosse lì a trovare la famiglia. Greg è il migliore amico di mio fratello, sembrano quasi fratelli loro stessi, ma anche io sono molto legato a lui. Insomma, per farla breve, vedere la città attraverso i suoi occhi, ascoltare i suoi aneddoti – che avevo già sentito, ma non lì, non direttamente nei posti dove le cose sono successe – mi ha aperto gli occhi e ho capito che forse, oltre alla natura, mi piacerebbe raccontare anche altre storie. Da quel momento mi frulla in testa questo progetto senza forma».
«Sarà anche senza forma, ma credo di averne capito il senso. Mi piace. E mi piace quando le cose non sono sterili, quando non sono solo un mero ritratto della bellezza, ma comunicano qualcosa. Per restare nel mio campo, ci sono opere imperfette che hanno una potenza comunicativa devastante e opere che sono la quintessenza della perfezione che invece non dicono niente di niente. Ovviamente, per fortuna, ci sono anche opere perfette che ti fanno rimanere a bocca aperta, come l’arte classica con certe sculture che mozzano il fiato, ma questo è un altro discorso. Quello che voglio dire è che personalmente ritengo importante trasmettere delle emozioni e che mi piacciono molto le cose che racchiudono in sé un piccolo racconto».
«Quindi vieni con me?» lo dice sorridendo, con un tono scanzonato e per nulla insistente.
(continua)