Oggi 27 gennaio è il Giorno della Memoria e io propongo la mia lettura di La poltrona della SS di Daniel Lee
Il libro
Tutto inizia con una poltrona e con la scoperta di un fascio di documenti personali ricoperti di svastiche nascosti all’interno del cuscino. È da qui che prende le mosse l’imprevisto itinerario di ricerca di Daniel Lee, storico della Seconda Guerra Mondiale, sulle tracce di un oscuro ufficiale delle SS e funzionario del Terzo Reich di Stoccarda, Robert Griesinger – lungo una catena di casi, coincidenze, ostinate perlustrazioni di archivi internazionali e indagini nell’ombra di segreti familiari e amnesie collettive. Un passo da detective story si intreccia con gli snodi dell’investigazione scientifica: ciò che ne emerge è la biografia di un nazista ordinario che affiora gradualmente dall’anonimato mostrando le responsabilità attive, le colpe, le complicità ideologiche e le maschere del conformismo dissimulate tra le pieghe dei silenzi conniventi dei tanti “assassini da scrivania” che operavano nell’atroce macchina nazista. Infine, la storia di Griesinger si incrocia a sorpresa con quella della famiglia dell’autore stesso. E il racconto si fa allora ancora più denso e appassionato.
La mia lettura
La poltrona della SS dello storico inglese Daniel Lee è stata una lettura sinceramente entusiasmante e i motivi, per me, prescindono dalla storia che da sola è in grado di catturare, ho apprezzato molto il modo in cui l’autore ha “interrogato” le sue fonti accrescendone notevolmente le prospettive d’indagine.
Quando si indaga un passato come quello che ci ha lasciato l’esperienza del nazismo, ogni cosa arrivata fino a noi, che sia un documento o un oggetto, si porta dietro sempre tracce dell’agire degli uomini, indipendentemente dall’uso a cui quelle cose erano destinate diventano a tutti gli effetti una fonte e dunque una testimonianza.
Daniel Lee ha preso un pacco di documenti apparentemente insignificanti e ha svolto appieno il compito dello storico, ha ricostruito il senso dell’agire di Robert Griesinger, il materiale che ha lasciato è diventato per Lee (e quindi per noi) testimonianza della storia viva di un protagonista del Terzo Reich di Stoccarda, quei documenti solo per essergli appartenuti sono impregnati del suo pensiero e del suo agire in potenza.
“Io volevo sapere come passava le serate, i film che guardava, i piatti che gli piacevano, cosa leggeva alle sue figlie. Mi sembrava che venire a conoscenza di queste informazioni mi avrebbe detto qualcosa di fondamentale su coloro che avevano perpetrato la violenza nazista – una violenza che aveva devastato la mia stessa famiglia, oltre a innumerevoli altre.”
Questo obiettivo di Lee rende La poltrona della SS speciale, la sua ricerca diventa la nostra ricerca, non dimentichiamo che la storia è fatta della stessa materia della letteratura, la storia è parole, è narrazione in prosa e qui le norme retoriche proprie della letteratura, dei romanzi, sono pienamente adoperate tanto che una storia vera come questa assume i contorni di un romanzo grazie all’abilità narrativa dell’autore.
“La totale ordinarietà di quest’uomo, che esisteva solo in un pugno di documenti amministrativi, lo rendeva ai miei occhi ancora più interessante. Ero determinato a mettermi sulle sue tracce. Volevo vedere se la parabola di un burocrate anonimo potesse rivelare qualcosa di nuovo sulle complessità della vita sotto il regime nazista. Dare il volto di un essere umano a un passato torbido avrebbe magari contribuito a superare i termini tipicamente manichei – così spesso associati al nazismo – di una lotta del bene contro il male, o avrebbe lasciato inalterata questa maldestra dicotomia?”
Daniel Lee, con la sua ricerca, è stato in grado di far rivivere un fantasma, lo ha riportato indietro dal passato sanando la frattura fra il tempo in cui ha agito e quello della scoperta e rielaborazione storica ed è impressionante guardare dall’interno la quotidianità della Germania nazista, lo è per noi e ancor più per l’autore che da ebreo sa cosa vuol dire appartenere ad un famiglia che ha subito la ferocia di quel regime.
Ma cosa succede ad uno storico quando passa cinque anni immerso in una ricerca e in compagnia di persone che di quella ricerca sono, anche se in modo trasversale, oggetto? Entrano in atto elementi di natura più profonda in cui verità ed emotività entrano in relazione.
Quel “nazista ordinario” che è passato inosservato come un personaggio assolutamente secondario, era un personaggio primario nella vita di Jutta e Barbara, le figlie che Lee ha conosciuto e con le quali ha lavorato per ricostruire l’immagine di quest’uomo.
“Aver trascorso tanto tempo con Jutta e Barbara ha reso più indistinti i confini abituali tra lo storico e la sua materia. Anelavano a tutti i dettagli che avrei potuto fornire loro, per aiutarle a costruirsi l’immagine di un padre che conoscevano e ricordavano appena. In quanto storico ebreo della Seconda Guerra Mondiale, proveniente da una famiglia profondamente segnata dai disastri e dalle atrocità di quel conflitto, sentivo la forte ambivalenza del mio ruolo.”
Come direbbe lo storico francese Paul-Marie Veyne:
“gli storici raccontano avvenimenti veri che hanno gli uomini per attori, la storia è un romanzo vero”
e La poltrona della SS è un incredibile romanzo vero che vi consiglio sinceramente di leggere.
La Poltrona della SS. Sulle tracce di una vita nascosta di Daniel Lee
Traduttore: Conte Fiorella
Editore: Nottetempo
Collana: Narrativa
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 21 gennaio 2021
Pagine: 400 p., Brossura € 20,00