Commentatrici affette da carlocalendite? No, grazie.
Più che il romanesco, è l’inglese a non andar bene.
Aggiungo, semmai, che è assai discutibile il tipo d’inglese con cui Netflix ha deciso di doppiare la serie. E’ presentata per il pubblico anglosassone come Tear Along the Dotted Line. A parte che la linea non è disegnata come punteggiata, l’inglese usato è troppo pulitino e formale, quasi per nulla gergale. La versione in inglese ha per altro misteriosamente lasciato non tradotte le seminali scritte sui muri, a cominciare dalla formidabile “Amare le femmine è da froci“, in apertura del primo episodio. E come dice Palermo: “il valore epifanico delle scritte murali nella serie meriterebbe un intervento a parte”, bella, fratè.
Uno “Zerolimestone” con accento posh di Oxridge
Un paio di esempi per capirci: quando Zero e Alice sono all’inizio della loro amicizia, l’originale italiano recita “Mo’ per esempio, dal vivo nun se dicevamo un cazzo” e in inglese il doppiatore, con un accento oxfordiano degno di altra causa, dice “To give you an example, although we barely spoke to each other in person” al posto di, chessò, un più prosaico “Now, for example, we didn’t say a fucking word in real life“.
Armadillo in inglese parla coi guanti bianchi
E quando Armadillo aggredisce Zeno nell’originale con un sano “Ma cosa cazzo fai il brillante?” il doppiatore oxridge ci dice “Why are you playing so cool?“. Io sarei andato di “What the fuck are you doing being brilliant?” Ancora, quando Armadillo fa presente in italiano che “Mica hanno scopato Achille e la tartaruga“, la versione britannica opta per un puritano “Achilles and the turtles never got together, you know?” e finisce perfino col tradurre “Vill’Ada” con “Hyde Park“, che nell’economia dell’ambientazione tutta romana della storia fa alquanto ridere.
Una serie che mescola i generi e i registri
***SPOILER***
La penultima puntata, con quella battuta lasciata in bocca a Secco riguardo a in quale stanza sta dormendo Sarah, arriva come una mazzata alla bocca dello stomaco dello spettatore. Perché nessuno, di fatto, si aspetta la virata tragica della serie, fino a quel punto.
Se Zerocalcare cita Fichte
L’ultima puntata, poi, è filosofia pura. E’ in bocca a Sarah, che spiega una serie di lezioni di vita che abbiamo tutti – chi più, chi meno – imparato sopravvivendo alle difficoltà della vita. E fa riflettere, perché spesso noi uomini e donne di mezza età siamo portati a fare bilanci e a considerarci non esattamente soddisfatti di ciò che abbiamo raggiunto. E’ lo streben di Fichte, la tensione continua dell’Io verso il non-Io e rappresenta l’essenza dell’Io stesso. E’ la necessità dell’antitesi per la tesi da parte dell’Io puro, per far sì che non venga mai a mancare la molla del desiderio di ciò che ci manca.
L’importanza del desiderio. E del riconoscimento sociale.
Eppure quel nostro modo di riappropiarci del non-Io può portare a un peccato di superbia che molti di noi, più o meno realizzati, non tiene nel giusto conto. Un trascurare che tutto ciò che abbiamo messo sotto la cintura noi, per altri è invece ancora non-Io, è ancora desiderio. E che non tutti riescono a vivere a lungo a forza di vedere il proprio Io non realizzato, non riconosciuto dalla società.