Anelli di fumo“Strappare lungo i bordi”: mescolanza di generi e tanta filosofia. Ma il doppiaggio in inglese lascia a desiderare

La serie di Zerocalcare su Netflix è un capolavoro. Non solo dal punto di vista linguistico.

Con la flemma che mi contraddistingue su ogni e qualunque moda, specie quelle televisive, ho finito solo pochi giorni fa di vedere per intero la serie Strappare lungo i bordi di #Zerocalcare. Visti i primi 3-4 episodi avevo già detto alla mia bolla che Michele Rech (questo il vero nome di Zero) è un artista con tratti di genio. Ora che ho visto anche l’ultima puntata posso dire che quest’opera è un capolavoro.

Commentatrici affette da carlocalendite? No, grazie.

 

So, in modo molto distratto, che ci sono state polemiche da parte di commentatrici che soffrono di carlocalendite. Gente che ha bisogno di prendere una posizione eccentrica rispetto alla maggioranza per emergere e distinguersi e far parlare di sé. Mi è venuta un’eco confusa di polemiche riguardo all’uso del romanesco con cui Zerocalcare e Valerio Mastandrea hanno doppiato i vari personaggi della serie. Robetta che non s’è sentita per il napoletano di Gomorra o lo stesso romanesco di Suburra. Se Trilussa e Belli fossero stati vivi, penso che di questo genere di logomachie piccine avrebbero commentato con un monumentale “sticazzi”.
Sul punto non ho molto da dire più di quanto abbiano già fatto su questo giornale l’ottimo collega di blog Dario Accolla su Strani giorni, un pezzo di cui condivido anche la punteggiatura, e ciò che ha scritto sul suo dotto blog Le parole e le cose Massimo Palermo.

Più che il romanesco, è l’inglese a non andar bene.

 

Aggiungo, semmai, che è assai discutibile il tipo d’inglese con cui Netflix ha deciso di doppiare la serie. E’ presentata per il pubblico anglosassone come Tear Along the Dotted Line. A parte che la linea non è disegnata come punteggiata, l’inglese usato è troppo pulitino e formale, quasi per nulla gergale. La versione in inglese ha per altro misteriosamente lasciato non tradotte le seminali scritte sui muri, a cominciare dalla formidabile “Amare le femmine è da froci“, in apertura del primo episodio. E come dice Palermo: “il valore epifanico delle scritte murali nella serie meriterebbe un intervento a parte”, bella, fratè.

Uno “Zerolimestone” con accento posh di Oxridge

 

Un paio di esempi per capirci: quando Zero e Alice sono all’inizio della loro amicizia, l’originale italiano recita “Mo’ per esempio, dal vivo nun se dicevamo un cazzo” e in inglese il doppiatore, con un accento oxfordiano degno di altra causa, dice “To give you an example, although we barely spoke to each other in person” al posto di, chessò, un più prosaico “Now, for example, we didn’t say a fucking word in real life“.

Armadillo in inglese parla coi guanti bianchi

E quando Armadillo aggredisce Zeno nell’originale con un sano “Ma cosa cazzo fai il brillante?” il doppiatore oxridge ci dice “Why are you playing so cool?“. Io sarei andato di “What the fuck are you doing being brilliant?” Ancora, quando Armadillo fa presente in italiano che “Mica hanno scopato Achille e la tartaruga“, la versione britannica opta per un puritano “Achilles and the turtles never got together, you know?” e finisce perfino col tradurre “Vill’Ada” con “Hyde Park“, che nell’economia dell’ambientazione tutta romana della storia fa alquanto ridere.

Una serie che mescola i generi e i registri

 

Ma torniamo alla disamina dell’originale. Cos’è che riesce ad alcuni autori geniali e ad altri no? Un monte di cose, fra cui la commistione dei generi e dei registri. Strappare lungo i bordi inizia come un intrattenimento leggero, ironico e autoironico. Poi si estende piano piano in riflessioni esistenziali che si fanno via via più importanti, fino a creare un nodo interiore che non può non far pensare. E centra così l’obiettivo di ogni opera d’arte: far pensare. Su cosa? Sul senso della vita, direbbero i Monty Python. Non solo “sul disagio esistenziale delle identità maschili e sulla loro precaria educazione sentimentale” come dice l’ottimo Palermo, ma anche su quello.

***SPOILER***

La penultima puntata, con quella battuta lasciata in bocca a Secco riguardo a in quale stanza sta dormendo Sarah, arriva come una mazzata alla bocca dello stomaco dello spettatore. Perché nessuno, di fatto, si aspetta la virata tragica della serie, fino a quel punto.

Se Zerocalcare cita Fichte

L’ultima puntata, poi, è filosofia pura. E’ in bocca a Sarah, che spiega una serie di lezioni di vita che abbiamo tutti – chi più, chi meno – imparato sopravvivendo alle difficoltà della vita. E fa riflettere, perché spesso noi uomini e donne di mezza età siamo portati a fare bilanci e a considerarci non esattamente soddisfatti di ciò che abbiamo raggiunto. E’ lo streben di Fichte, la tensione continua dell’Io verso il non-Io e rappresenta l’essenza dell’Io stesso. E’ la necessità dell’antitesi per la tesi da parte dell’Io puro, per far sì che non venga mai a mancare la molla del desiderio di ciò che ci manca.

L’importanza del desiderio. E del riconoscimento sociale.

Eppure quel nostro modo di riappropiarci del non-Io può portare a un peccato di superbia che molti di noi, più o meno realizzati, non tiene nel giusto conto. Un trascurare che tutto ciò che abbiamo messo sotto la cintura noi, per altri è invece ancora non-Io, è ancora desiderio. E che non tutti riescono a vivere a lungo a forza di vedere il proprio Io non realizzato, non riconosciuto dalla società.

Devo essere sincero: Zerocalcare mi ha sconvolto, con questo suo lavoro. I miei kudos, Michele Rech. E continua così.

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