Entra in libreria pochi minuti dopo mezzogiorno, è un sabato affollato, soprattuto gente che va. Ribolle stazione Termini di Roma, e la Borri Books con quel filo di aria condizionata è un rigeneratore fisico-intellettuale. Bianco come una federa lavata con perlana, Dario Franceschini veste jeans e polo, passa l’ingresso, oltre il quale incombe cultura per tutti i gusti. Ma il democrat cammina i passi necessari per posizionarsi, come un soldato all’alzabandiera, davanti a un solo libro, il suo: «Daccapo», di cui peraltro si dice anche bene, con quel filo di morbosità sessuale che non guasta. Accarezza il primo della pila, lo sfoglia appena come se quelle pagine, completamente sue, dovessero ancora rivelargli qualcosa. Riguarda la pila, mentalmente la confronta con le altre, alcune decisamente più scarne, altre più corpose. E alla fine, uscendo, stila la sua personalissima classifica di vendita. La solitudine dello scrittore. Quante sensazioni. Quante emozioni. Metterne un po’ nel Pd?
9 Luglio 2011