Expo e fiere? “Non si può improvvisare, il segreto è pianificare tutto”

Expo e fiere? “Non si può improvvisare, il segreto è pianificare tutto”

Quali sono le fasi da seguire per organizzare un evento di portata internazionale? Quanto contano la logistica e la comunicazione? E come attirare gli investimenti? «Alla base di tutto ci deve essere l’individuazione del target», risponde Francesca Golfetto, docente di marketing events & trade fairs all’Università Bocconi di Milano, «e in base a questo deve essere identificato il concept con obiettivi chiari e precisi». Solo così un evento può funzionare e attirare l’adesione di istituzioni di prestigio, che garantiscono credibilità e competenza a chi prenderà parte all’evento. 

Quali sono le fasi da seguire per l’organizzazione di un evento, di una fiera e di una esposizione universale?
Bisogna distinguere tra evento, fiera ed esposizione universale. Sono tre cose ben diverse. L’evento può essere pubblico o privato, sponsorizzato da una o più aziende, e riguarda una singola occasione di tipo culturale, commerciale o celebrativa. La fiera è un evento di tipo collettivo caratterizzato dalla esibizione di prodotti specifici di qualsiasi tipo, dal mobile ai motori, dal vino al caffè. L’esposizione universale, invece, è qualcosa di unico, che ha l’obiettivo di comunicare al mondo che l’area in cui l’Expo avviene è dotata di una certa competenza. Organizzare un’esposizione universale non è un’impresa facile, perché è un evento straordinario diverso da una semplice fiera di settore. Ma non esiste un manuale specifico su quali siano le mosse giuste da compiere. 

Qual è l’aspetto più importante della pianificazione?
L’aspetto più importante è identificare da subito il target, cioè il pubblico di riferimento, e in base a questo il concept. Solo in base al target, cioè in base a chi sono le persone che voglio raggiungere e che tipo di esperienza voglio offrire loro, posso costruire il messaggio. Non a caso molti eventi prevedono ormai anche una parte di “fuori salone” per offrire al proprio pubblico anche delle esperienze precise. Ci sono casi in cui, invece, avviene il rovescio. Si dice: “Faccio la fiera delle patate” o “Faccio la fiera dell’auto elettrica”. Sì, ma per chi? A chi vuoi venderle? Ci può essere anche più di un target, l’importante è che siano definiti. Non posso dire: “Organizzo una cosa, poi vediamo chi viene”. La pianificazione, la progettazione e tutte le attività collaterali devono partire da obiettivi chiari e precisi.

Quanta importanza hanno la logistica e la gestione degli allestimenti?
Sono un aspetto fondamentale. Certo, in base ai numeri che mi aspetto, la gestione degli allestimenti varia. Una cosa è se mi aspetto 40mila persone, un’altra se me ne aspetto 4 milioni. Ciò che conta, in questo ambito, è anche l’accessibilità tramite i mezzi di trasporto, soprattutto per i visitatori che provengono dall’estero. Per quanto riguarda la gestione degli spazi, invece, bisogna decidere se gli allestimenti vengono fatti solo per gli espositori, e quindi sono di tipo business, o per il pubblico, e quindi tipo consumer. È per questo che, spesso, molti visitatori non si trovano bene a girare per gli stand delle fiere e si lamentano. La logistica è parte del messaggio che vuoi veicolare e dipende anche dal target. Ad esempio, se vuoi comunicare “caffè e ananas”, comunichi uno spazio esotico. Se vuoi comunicare “caffè e latte”, ci sarà l’ambientazione della colazione. Allo stesso modo, se gli stand hanno un obiettivo business, il layout deve esser sistemato in modo da mostrare tutti i brand possibili di quel prodotto. Così come noi ci aspettiamo di trovare i cereali sistemati sugli scaffali al supermercato. Se invece ci si vuole rivolgere al consumer, prevalgono di più altri aspetti quali la conoscenza, l’innovazione o l’esperienza del prodotto.

Il settore fieristico italiano è un comparto importante della nostra economia per stabilire contatti face to face con il mercato. In quali acque naviga in questo momento di crisi?
La crisi ha influenzato anche questo settore. Le fiere sono strumenti di comunicazione fondamentali per le imprese, soprattutto sui mercati business, e per questo richiedono un approccio specialistico sia nell’organizzazione che nell’esposizione. Negli ultimi anni in Italia sono stati venduti meno spazi da destinare ai quartieri fieristici. E in questo scenario, si stanno facendo notare i mercati emergenti, che si stanno dotando di spazi innovativi in cui far sorgere le fiere. La strategia per l’Italia sarà quindi quella di organizzare direttamente eventi in questi Paesi, che stanno acquisendo una quota importante del mercato.

Che tipo di investimenti sono necessari per organizzare un evento, un fiera o una esposizione?
Gli investimenti sono i più disparati, dalla spesa in comunicazione, in cui emerge sempre più la necessità di posizionarsi sui nuovi media e sui social network, alla spesa per le imprese che costruiscono gli stand o li affittano. Ovviamente tutto dipende dal budget che ho a disposizione. E anche in questo bisogna esser bravi a pianificare le spese. Nel caso di una esposizione universale, parliamo di un investimento economico macroscopico con una sorprendente ricaduta occupazionale non solo per il luogo che la ospita, ma per tutto il Paese: ci sono gli investimenti delle istituzioni, degli enti locali e degli investitori stranieri in edifici e infrastrutture che poi restano sul territorio e magari vengono riutilizzati anche dopo l’esposizione stessa. Tutto questo, con l’arrivo di molta gente, non fa altro che fare affluire denaro nel territorio dove l’esposizione avviene.  

Quali sono i ricavi?
Nel caso delle fiere internazionali è stato registrato che il ricavato varia da dieci a venti volte il fatturato iniziale dell’investitore. Le fiere sono in grado di alimentare un rapporto di scambio con il territorio ospitante, offrendo visibilità e ricadute economiche importanti. Nel caso delle esposizioni universali, storicamente sono sempre state in perdita. Il problema delle esposizioni universali è che si prevedono sempre milioni e milioni di visitatori, ma non sempre le aspettative vengono soddisfatte. È andata bene all’Expo di Shanghai nel 2010, che ha raggiunto circa 70 milioni di visitatori: molta gente è andata perché incuriosita dalla Cina e da questo gigante economico che cresceva di giorno in giorno. Ad Hannover nel 2000, invece, ci furono meno di 20 milioni di visitatori, probabilmente perché si trattava di una location meno attraente. Questo mostra che la scelta degli spazi e del luogo sono fondamentali. 

Nel caso delle esposizioni universali, quanto è importante l’adesione di enti e istituzioni di prestigio internazionale?
L’adesione di istituzioni scientifiche, come accaduto con il Cern di Ginevra, che qualche giorno fa ha annunciato la sua adesione a Expo 2015, aiuta molto a livello di credibilità, perché mostra che la competenza della città su un determinato tema, in questo caso l’alimentazione e le innovazioni aimentari, viene riconosciuta a livello internazionale. Questo ovviamente attira nuove adesioni e nuovi investimenti da parte di altri Paesi e altre istituzioni di prestigio.

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