Deborah Harris
WASHINGTON – Deborah Harris vive al 2513 di Naylor Road, zona sud-est di Washington, in una casetta a due piani. «La sto difendendo con le unghie – dice – la prossima udienza in tribunale è a settembre e sarà decisiva».
La casa della signora Harris, single e senza figli, è stata pignorata da Jp Morgan Chase, banca con cui ha il mutuo. «Pagavo 1.050 dollari al mese – racconta Deborah – mai avuto nessun problema fino all’infortunio. Facevo l’infermiera sulle ambulanze, e un giorno sollevando un paziente mi sono rotta la schiena».
Un intervento chirurgico, lo stipendio decurtato, niente più straordinari e festivi. Deborah è rimasta indietro con i pagamenti, poi è riuscita a ottenere in prestito 4.000 dollari e ha chiamato la banca: «Eccomi, saldo tutto!». Ma la risposta è stata chiara: «Non importa signora, la sua casa è stata già pignorata». «Non ci potevo credere – confessa Deborah – perdere la casa, il sogno di una vita, per 4.000 dollari, quattro mesi di mutuo».
Tra il 2008 e il 2010 quasi 3 milioni di famiglie sono state costrette a lasciare la propria casa. La signora Harris non è tra questi, lei ha impugnato il provvedimento e attende il verdetto del giudice. Ma le case abbandonate non si contano, ancora oggi.
Il sito web Realtytrac.com ha statistiche aggiornate al minuto: ora le abitazioni pignorate in tutti gli Stati Uniti sono 1 milione e mezzo. C’è stato un miglioramento negli ultimi due anni, ma l’uscita del tunnel non si vede. A maggio i pignoramenti sono aumentati del 9% rispetto ad aprile, invertendo una parabola discendente che durava da inizio anno. La maglia nera spetta alla California, dove per ogni 288 case ce n’è una pignorata.
Da qualche mese Deborah fitta una stanza di casa sua ad Anthony Proctor, un collega di lavoro. «Era la casa che avevo sempre sognato – racconta Proctor – l’avevo comprata nel 2006 a Waldorf, in Maryland. Anche per me un infortunio sul lavoro ha segnato l’inizio dei problemi. Niente paga per qualche mese, poi i turni ridotti, il taglio degli straordinari e lo stipendio che si riduceva a niente. Nel 2007 mia moglie ha perso il lavoro, e con la casa non c’è stato più nulla da fare».
Dopo il pignoramento, Anthony ha iniziato a trattare con la banca (la Countrywide) e ha scoperto che il tasso di interesse sul suo mutuo era arrivato al 26%. Con i primi ritardi nei pagamenti, la banca aveva aumentato la rata da 2.100 a 2.900 dollari.
«Questa è discriminazione – dice – sei in un momento di difficoltà e la banca che fa? Invece di aiutarti, ti dà il colpo di grazia».
Un’indagine della Federal Reserve, la banca centrale americana, ha scoperto che tra il 2004 e il 2006 i cittadini afro-americani avevano il triplo di possibilità di ricevere un mutuo a condizioni svantaggiose rispetto ai bianchi. Questo a parità di reddito e situazione lavorativa. Sempre nello stesso biennio, all’apice della bolla immobiliare, si calcola che il 55% dei neri e il 45% degli ispanici abbia sottoscritto mutui a tassi elevati. La chiamano discriminazione finanziaria, e a subirne i danni sono quelle fasce di popolazione che qui sono ancora definite “minorities”, minoranze.
Ma come si è arrivati a tutto ciò? E come si fa ad uscirne? Charles Lowery è il responsabile del settore finanziario di Washington della NAACP, un’organizzazione che si occupa dei diritti delle persone di colore, e lavora per rispondere a queste domande. «Sicuramente chi ha sottoscritto mutui a condizioni svantaggiose – dice – ha le sue colpe. Bisognava informarsi meglio sul prodotto finanziario, su come potevano cambiare gli interessi, su tutte addizionali. Ma gli afro-americani sono stati per anni esclusi dal mercato: solo il 45% di neri è proprietario di casa, contro il 70% dei bianchi. Quindi quando il mercato si è aperto, quando le banche hanno iniziato a prestare soldi con i mutui subprime, tutti ci si sono buttati a capofitto».
Per Lowery la dinamica della discriminazione è chiara: «È successo – continua – quello che si verifica nelle aree residenziali attorno alle basi militari. Sono zone storicamente prese di mira dagli investitori perchè i militari sono giovani e hanno uno stipendio fisso, insomma sono dei consumatori appetibili. Quando è inaugurata una nuova base, nell’area circostante sorgono attività commerciali e di servizi che spesso offrono prezzi e prodotti svantaggiosi. La stessa cosa è accaduta con i mutui. L’industria finanziaria ha individuato un target e l’ha colpito».
Casi come quello di Anthony Proctor hanno spinto il Ministero della Giustizia a fare causa alle banche per pratiche discriminatorie. E, in diverse circostanze, le azioni legali hanno portato ad accordi per rimborsi milionari. L’ultimo esempio e’ l’accordo tra Ministero e Wells Fargo del 12 luglio: l’istituto di credito rimborsera’ 175 milioni di dollari per pratiche discriminatorie sui mutui nei confronti di cittadini afro-americani e ispanici. Dalle indagini è emerso che, tra 2004 e 2009, i neri avevano il quadruplo delle possibilità dei bianchi nelle stesse condizioni economiche di vedersi offrire un mutuo subprime.
L’anno scorso il Ministero aveva raggiunto accordi con altre due banche: Sun Trust ha rimborsato 21 milioni e Countrywide (rilevata da Bank of America) 335, cifra record per le azioni legali sui mutui. Nel caso di Sun Trust, ad esempio, si è calcolato che ad Atlanta il mutuo di un cittadino di colore costava in media, solo in tariffe, 745 dollari in più di quello di un bianco.
In America l’affidabilità di una persona sui pagamenti è misurata da un numero, il “credit score”. È una sorta di voto che ci si porta dietro, che varia con la situazione finanziaria. Se una persona perde una casa la sua affidabilità scende, la banca avrà più cautele nel concedere un nuovo prestito, alzera’ le tariffe da pagare sulla carta di credito e così via. La Federal Riserve ha calcolato che meno di un quarto degli afro-americani ha un “credit score” di primo livello, contro il 65% dei bianchi.
«Il problema delle discriminazioni sui mutui – aggiunge Charles Lowery – dimostra che gli effetti della crisi finanziaria sono tutt’altro che passati, e che ci sono fasce di popolazione destinate a soffrire più di altre nei prossimi anni. I neri che hanno perso la casa ora hanno un’affidabilità finanziaria molto bassa, dovranno pagare rate più alte se gli verrà concesso qualsiasi prestito, ad esempio per le tasse universitarie dei figli. E il credit score è utilizzato anche dai datori di lavoro: un candidato con un punteggio basso è ritenuto meno serio, meno affidabile».
A meno di 100 giorni dal voto, tutti si chiedono se Obama avrebbe potuto fare di più per bloccare la spirale della crisi finanziaria. «Secondo me sì – confessa Lowery – il presidente sarebbe dovuto intervenire con molta più decisione, soprattutto per il problema delle case. E credo ancora che debba fare di più. Sono stati attivati diversi programmi pubblici per aiutare chi ha subito un pignoramento, ma la loro attuazione è troppo lenta».
Deborah Harris dice che voterà di nuovo Obama. «Come posso votare per Romney, uno squalo della finanza. Obama riceve critiche anche dai neri, ma credo che alla fine tutti torneranno a votarlo». E l’affidabilità finanziaria, il “credit score”?: «È così basso che non ricordo nemmeno il numero. Per fortuna c’è un’amica che sta mi sta pagando le rate della macchina, erano diventate così alte che rischiavo di perdere anche quella».