Il sindacato dei vecchi la smetta di parlare di “solidarietà tra generazioni”

Il sindacato dei vecchi la smetta di parlare di “solidarietà tra generazioni”

Ho rispetto e stima per il sindacato, e non c’è bisogno che spieghi perché: basta dire che il mondo del lavoro sarebbe molto più “ingiusto” di quello che è se non ci fosse stato in passato e se non ci fosse anche adesso chi tutela gli interessi dei lavoratori dipendenti. Da alcuni mesi, però, usando spesso il treno come mezzo di trasporto, sono esposto a un messaggio pubblicitario che compare sulle carrozze e che mi lascia perplesso e, anche, amareggiato. Il messaggio è un invito ad iscriversi alla Cisl ed è rivolto ai pensionati. La campagna è articolata in messaggi diversi rivolti oltre che ai pensionati, ai lavoratori e anche ai giovani disoccupati. L’idea che compare in questi messaggi è semplice: il sindacato (cioè, in questo caso, la Cisl) si batte per la solidarietà tra le generazioni. Che bellezza! Cosa c’è di più bello di un legame che unisce le generazioni! Peccato che nasconda un inganno.

Purtroppo non è vero che il sindacato abbia operato, e continui a operare, alla luce del valore della solidarietà tra le generazioni. Se lo avesse fatto, probabilmente non avremmo una situazione in cui i giovani incontrano enormi difficoltà a entrare nel mercato del lavoro, in cui la disoccupazione giovanile raggiunge livelli impensabili in altri Paesi (del Nord Europa) e in cui l’occupazione dei maschi nelle classi di età 35-60 risulta efficacemente protetta dai rischi di disoccupazione. Non abbiamo neppure visto i sindacati in prima linea negli ultimi vent’anni nel promuovere una riforma dei sistemi pensionistici meno penalizzante per i giovani che sono entrati da poco, che entrano ora e che entreranno nel prossimo futuro nel mercato del lavoro. E neppure li abbiamo visti battersi per evitare l’accumulazione di un enorme debito pubblico che, come ormai tutti sanno, è una sorta di prelievo anticipato sulle generazioni che verranno. La generazione dei figli dovrà in un modo o nell’altro pagare i debiti contratti dalla generazione dei padri.

E veniamo alla scuola, la prima istituzione pubblica che i giovani incontrano sulla loro strada. Sbaglio nel sostenere che i sindacati si sono preoccupati più della tutela degli interessi degli insegnanti (talvolta anche di quelli assenteisti), e del personale non docente, che non degli interessi degli studenti? Non parlo dello sperpero delle risorse ambientali che le generazioni del presente consumano sottraendole alla generazioni future, perché questo sarebbe il compito dei movimenti ambientalisti piuttosto che dei sindacati.
Nulla di male fintanto che i sindacati (dei pensionati) tutelano gli interessi di coloro che sono usciti dal mondo del lavoro, nulla di male fintanto che i sindacati (dei lavoratori) tutelano gli interessi dei lavoratori dipendenti. Nulla di male che tutelino gli interessi di quella categoria di lavoratori che sono gli insegnanti. Mi direte, ma la presenza del sindacato confederale ha proprio il compito di comporre gli interessi delle diverse categorie per farli convergere verso l’interesse collettivo. Giusto. Peccato che non ci sia nessuno che tuteli l’interesse delle nuove generazioni, dei disoccupati nei confronti degli occupati. Così come non c’è nessuno che tuteli gli interessi di coloro che nasceranno oggi e abiteranno questo Paese in un futuro veramente prossimo.

Il movimento operaio è nato e si è sviluppato perché ha saputo difendere efficacemente gli interessi dei lavoratori nei confronti degli interessi dei datori di lavoro. Interessi che, entro certi limiti, sono di tipo antagonistico. Nel fare il loro mestiere hanno senz’altro contribuito, con maggiore o minore efficacia nelle diverse fasi storiche, a ridurre, nella lotta per la distribuzione del reddito, le disuguaglianze di classe.

Ma le disuguaglianze di classe non sono le uniche forme di disuguaglianza sociale. Ci sono le disuguaglianze etniche, le disuguaglianze di genere e le disuguaglianze di generazione, che si intrecciano con le disuguaglianze di classe, ma non sono la stessa cosa. Per lottare contro queste forme di disuguaglianza il sindacato ha dimostrato molto minore efficacia. In particolare, in Italia, nell’ultimo mezzo secolo, non ha tutelato gli interessi dei giovani. Non si può fargliene una colpa. È la cultura del Paese che non è in grado di mettere a fuoco, di concepire l’idea stessa di equità tra le generazioni. Per due ragioni: la ristrettezza degli orizzonti temporali e il familismo.

La ristrettezza degli orizzonti temporali è un tratto caratteristico della tarda modernità. Paradossalmente, epoche di grandi cambiamenti sono schiacciate sul presente e non lavorano in vista delle generazioni future. Da questo punto di vista, i sindacati sono anche loro vittime dello spirito del tempo. Sul familismo, invece, c’è qualche responsabilità in più. Non si possono difendere le pensioni dei nonni e dei padri argomentando che servono per contribuire al mantenimento e allo studio di nipoti e figli, anche se è senz’altro vero ed è proprio quello che succede.

È vero che i giovani beneficiano di forme di redistribuzione filtrate dalla famiglia, ma così ne soffre la loro autonomia, non è consentito loro di crescere e di assumersi delle responsabilità adulte. Non è vero che i giovani restano a lungo in casa perché fa loro comodo farsi mantenere fino a oltre 30 anni da nonni e genitori. Qualche “figlio di papà” c’è senza dubbio, ma molti, se appena potessero, troverebbero un lavoro, andrebbero a vivere per conto loro, da soli o con partner e magari deciderebbero pure di fare un figlio o una figlia. Una politica del lavoro, una politica della casa, una politica dell’infanzia che favorisca i giovani e le giovani coppie (sposate o non) non sono nell’orizzonte del Paese e, tanto meno, del sindacato.

O, meglio, lo sono a parole, nelle campagne pubblicitarie all’insegna della “solidarietà generazionale”. Un vero e proprio ribaltamento ideologico che serve per nascondere la realtà e cioè una difesa degli interessi delle classi d’età adulte e anziane laddove questi confliggono oggettivamente con gli interessi delle classi giovani. Intendiamoci, non metto assolutamente in dubbio la buona fede. Sono sicuro che chi ha pensato a quella campagna pubblicitaria crede sinceramente che non ci sia contraddizione tra la difesa dei pensionati e le rivendicazioni in nome dei giovani. Il guaio è che quando si finisce per credere nella propria propaganda, l’inganno non viene meno, ad esso soltanto si aggiunge l’autoinganno. Si diventa vittima delle proprie acrobazie ideologiche.

Queste riflessioni sono state scatenate da un cartellone pubblicitario della Cisl (ma le considerazioni svolte non escludono anche le altre confederazioni). Il loro intento non è quello di attaccare il sindacato, soprattutto in una fase in cui è bersaglio di altri assai minacciosi interessi. Vorrei solo contribuire a una riflessione su un tema che ci coinvolge tutti e nei confronti del quale non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità.  

*Già professore ordinario di Sociologia all’Università di Pavia dal 1967, presiede presso lo stesso ateneo il Centro di Studi e Ricerche sui Sistemi di Istruzione Superiore (Cirsis). È stato Max Weber Gastprofessor ad Heidelberg, L. Leclerq Professor presso l’Université Catholique di Louvain-la-Neuve, Fellow presso l’Institute for Advanced Studies di Budapest. È membro dell’Academia Europaea e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Ha svolto e coordinato per l’Istituto Iard diverse indagini sugli insegnanti italiani (Il Mulino, 1992 e 2000). Ha diretto la rivista il Mulino ed è stato presidente dell’associazione omonima, di cui è tuttora socio.

X