Questo è il primo di due articoli dedicati a spiegare perché i primi tre obiettivi del programma di Fermare il Declino per la prossima legislatura (ridurre il rapporto debito/PIL al 100%, ridurre la spesa pubblica di 6 punti di PIL, ridurre le tasse di 5 punti di PIL) sono perfettamente raggiungibili e in realtà anche superabili. Il secondo articolo verrà pubblicato domani.
L’ultimo rapporto sull’Italia del Fondo Monetario Internazionale pubblicato a luglio fornisce un quadro più fosco delle finanze pubbliche rispetto a quello del Documento di Economia e Finanza che il governo aveva pubblicato ad aprile, principalmente a causa dell’aggravarsi della recessione. Secondo i dati FMI il rapporto debito/PIL dovrebbe salire a 125,8 nel 2012 e a 126,4 nel 2013, per poi iniziare una lenta discesa fino a 119,4 nel 2017. Sono numeri preoccupanti, ma non inevitabili. Mostreremo che, anche usando lo scenario del FMI, gli obiettivi da noi enunciati sono raggiungibili. La questione quindi non è la fattibilità economica ma la volontà politica.
I dati che useremo sono tratti dal country report sull’Italia (si veda in particolare la Tabella 2 a pagina 36 [Nota 1]), uscito lo scorso luglio. Si tratta, a nostra conoscenza, della più recente stima delle prospettive macroeconomiche dell’Italia prodotta da un’istituzione internazionale ufficiale. Si noti che lo scenario pubblicato dal FMI arriva solo fino al 2017. Abbiamo aggiunto il 2018 in modo da coprire l’intero arco della prossima legislatura; per quell’anno, facciamo l’ipotesi che le principali variabili (crescita del PIL reale, inflazione, politica fiscale, tasso d’interesse implicito sul debito) siano uguali al 2017. Ricordiamo che i dati sono considerevolmente peggiori di quelli contenuti nel Documento di Economia e Finanza, che ad aprile prevedeva una caduta del PIL reale di 1,2 punti per il 2012 e una modesta crescita nel 2013. Un’ultima avvertenza: lo scenario del FMI non tiene conto dei debiti commerciali contratti dalle pubbliche amministrazioni (i famosi ritardi nei pagamenti ai fornitori), che non sono conteggiati nel debito pubblico. Non li abbiamo considerati nei nostri conti dato che non siamo riusciti a trovare numeri ufficiali. Alcune fonti non ufficiali parlano di debito fino a 70 miliardi, ma la Corte dei Conti si è espressa in termini assai più prudenti. Vista l’incertezza sulle cifre ci limitiamo per il momento a segnalare il possibile problema.
Se non ci sono ulteriori avvertenze i numeri nella tabella successiva sono espressi come rapporto al PIL dell’anno di riferimento. Il tasso di interesse implicito è dato dal rapporto percentuale tra interessi totali pagati e ammontare del debito. I dati su PIL nominale, l’aggiustamento stock-flow (operazioni straordinarie) e il debito sono espressi in miliardi di euro.
In base a questi dati la spesa pubblica totale è pari al 51,1% del PIL nel 2013, e al 50,5% nel 2017. La pressione fiscale è invece pari al 44,9% del PIL nel 2017 e sale al 45,3% nel 2017. Il peggioramento del quadro macroeconomico rende ovviamente più difficile il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Tuttavia è nostra opinione che anche in questo quadro più pessimistico una decisa manovra contro il debito e a favore della crescita economica possa ottenere importanti risultati. Per qualificare meglio questa affermazione analizziamo cosa può succedere mantenendo inalterate le ipotesi su crescita del PIL e sui tassi di interesse se si pongono in atto le tre seguenti misure, che rappresentano i primi tre punti del programma di
1) Si effettuano privatizzazioni, dismissioni e altre operazioni straordinarie per 35 miliardi l’anno, in ciascuno degli anni dal 2013 al 2018.
2) La spesa corrente primaria viene ridotta di 1 punto di PIL all’anno rispetto alla baseline del FMI fino al 2017, per un totale di 5 punti. In combinazione con il risparmio per interessi dovuto alle dismissioni, questo provoca un calo della quota di spesa pubblica sul PIL di più di 6 punti.
3) La pressione fiscale viene ridotta di 0.83 punti di PIL all’anno per ogni anno dal 2013 al 2018, rispetto alla baseline del FMI. In tal modo nell’arco della legislatura si ottiene un calo di circa 5 punti nell’arco dei 5 anni.
Assumendo che si applichino unicamente queste misure e che niente altro cambi (in particolare che non ci siano effetti benefici sulla crescita del PIL e sui tassi di interesse) otteniamo i seguenti numeri.
Il rapporto debito/PIL arriva quindi a 100,71 nell’anno terminale della prossima legislatura, molto vicino all’obiettivo di 100. Quello che ci preme osservare è che tale risultato viene raggiunto senza fare alcuna ipotesi eroica sugli effetti delle riforme riguardo alla crescita o riguardo alla credibilità del paese nel pagamento del debito pubblico (che si riflette in minori tassi di interesse). Le due ipotesi principali sono quelle di poter disporre di entrate straordinarie da dismissioni e privatizzazioni per 35 miliardi l’anno per 6 anni e di riuscire a ridurre la spesa primaria di 5 punti di PIL in 5 anni. Spiegheremo nel prossimo post perché la prima ipotesi è plausibile, e dedicheremo poi una serie di interventi aggiuntivi alle problematiche di riduzione della spesa (ma potete già cominciare dall’articolo di Lanfranconi sul benchmarking rispetto alla Germania). In effetti, a nostro avviso si può e si deve fare di più; ma qui vogliamo solo mostrare che gli obiettivi da noi proposti sono raggiungibili anche sotto ipotesi pessimistiche.
Per avere un’idea di dove si possa giungere con ipotesi solo leggermente più ottimiste sui tassi di interesse o sui proventi delle entrare straordinarie, considerate il seguente scenario:
a) Il costo del servizio del debito si stabilizza al livello del 2015, ossia a un tasso di interesse implicito pari al 4,90%. Se si pongono seriamente in atto a partire dal 2013 politiche efficaci di riduzione della spesa e maggiori introiti per dismissioni e privatizzazioni è ragionevole attendersi che il mercato del debito sovrano reagisca favorevolmente. Pur con un certo ritardo, dovuto alla necessità di convincersi che esiste effettivamente la volontà politica di proseguire il risanamento, almeno a partire dal 2014 la situazione dovrebbe migliorare. Tenendo conto dei ritardi con cui si incorporano nel bilancio le variazioni dei tassi di interesse è realistico pensare che gli effetti si avvertano a partire dal 2016, se non prima.
b) Si riesce ad aumentare le entrate straordinarie di 5 miliardi l’anno, per un totale di 40 miliardi l’anno dal 2013 al 2018. Nel prossimo post spiegheremo perché questo obiettivo è plausibile.
Si noti che continuiamo a fare l’ipotesi che non ci sia alcun effetto sulla crescita del PIL delle riforme e dell’abbassamento della pressione fiscale.
Si può verificare (i conti appaiono nel foglio di calcolo scaricabile) che la sola riduzione dei tassi di interesse consentirebbe di arrivare nel 2018 a un rapporto debito/PIL inferiore al 100% (per la precisione, 99,62). L’ulteriore effetto dell’aumento di gettito delle dismissioni porterebbe il rapporto ulteriormente più in basso, sotto il 98%.
In altre parole, è possibile raggiungere l’obiettivo di un rapporto debito/PIL inferiore al 100% nell’arco di una legislatura, anche assumendo che fallisca l’obiettivo di stimolare la crescita. Inoltre si può osservare che a quel punto la situazione fiscale del paese sarebbe sostanzialmente risanata. A partire dal 2016 avremmo un avanzo di bilancio (un ”superavit”, che è sempre latino ed è l’opposto di ”deficit”). Assumendo per gli anni successivi al 2018 una crescita del PIL reale media di 1,2% annuale e un’inflazione media di 1,5% il rapporto debito/PIL scenderebbe rapidamente sotto l’ottanta per cento durante l’arco della legislatura successiva, senza ulteriori entrate straordinarie, dando spazio a ulteriori riduzioni delle tasse.
Ovviamente noi siamo invece convinti che la riduzione della pressione fiscale, accompagnata dalle altre riforme da noi proposte (si vedano i punti da 4 a 10 della proposta di Fermare il Declino), aumenterà la crescita di lungo periodo dell’economia, e che questo avverrà già a partire dalla prossima legislatura. È importante semplicemente tenere dritta la barra del timone e continuare nell’opera di risanamento delle finanze pubbliche e di liberalizzazione.
[Nota 1] Gli unici dati che non appaiono nel report del FMI sono quelli relativi all’aggiustamento stock-flow. Si tratta di una componente che va aggiunta alla somma del debito dell’anno precendente più il deficit di bilancio per ottenere il debito corrente. Questa componente comprende componenti quali la differenza fra cassa e competenza, le variazioni dei depositi presso la Banca d’Italia e altre poste straordinarie quali proventi di privatizzazioni (che diminuiscono il debito), aiuti straordinari al sistema bancario, aiuti ai paesi in difficoltà tramite partecipazione ai vari fondi europei. Per le cifre di questa componente, che può essere ottenuta residualmente date le cifre del FMI sul rapporto debito/PIL e sul deficit, abbiamo usato i numeri apparsi nel del Documento di Economia e Finanza (Tabella III.9, pag 26 del Programma di Stabilità; i dati appaiono in rapporto al PIL, li abbiamo moltiplicati per il PIL per ottenere i valori in miliardi di euro) fino al 2015 e al rapporto Astrid per 2016-2017. Per il 2018 si è ipotizzato un aggiustamento stock-flow nullo nello scenario di base.