Oggi si può essere di sinistra anche senza aver letto Marx e avere odiato i capitalisti. Si può partire da questo per capire perché Matteo Renzi stia mettendo in movimento il Partito Democratico. Non solo perché andare a votare i soliti noti mi angoscia: hanno fatto il loro pezzo di strada con risultati non edificanti e non è solo colpa di Berlusconi. Ma anche perché vorrei in Renzi un elemento di rottura in questo quadro profondamente modificato, dove molti confini sono praticamente scomparsi, dove la via socialista al benessere si è rivelata un flop e dove il discrimine è semmai fra chi è attento al prossimo e chi invece predica un ceco egoismo. Il capitalismo e la democrazia sono per ora il sistema migliore, come insegna una vecchia battuta di Winston Churchill («la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate finora»).
Sostenere questo non è in contraddizione con uno dei testi base della sinistra moderna, quel «Guasto è il mondo» di Tony Judt dove si sostiene la valdità del modello socialdemocratico e se ne auspica il ritorno. Non lo è per almeno tre ragioni. Prima di tutto perché le differenze fra il libro di Judt e le «Lezioni di politica sociale» di Luigi Einaudi sono marginali. Poi perché, quando il sindaco di Firenze rivelerà il suo programma si vedrà che assomiglierà a molte delle sue tesi e infine perché, da quando quel libro è stato scritto nel 2010, ci sono stati molti cambiamenti che ora vanno gestiti avendo ben presente che bisogna tendere verso una società più equa: il problema attuale è lo sgretolamento della società occidentale che va ricostruita facendo il minor danno possibile.
Quando Renzi indica come parole chiave «legalità, meritocrazia ed Europa» fornisce già indicazioni importanti, ma occorre che questi concetti siano poi portati fino in fondo. Ad esempio: la legalità è il presupposto del vivere civile ma questo include il dare piena attuazione alla Costituzione anche quando dice che partiti e sindacati devono essere personalità giuridiche. Ma anche su altri temi ci si aspetta dalle sue politiche un certo grado di innovazione. La cittadinanza ai figli di immigrati nati qua è sacrosanta, ma il diritto di ricongiungimento non deve essere un canale di immigrazione parassitaria incentivato dalle provvidenze dello Stato italiano. Negli Usa un emigrante può chiedere la cittadinanza oppure può cercare di ottenere la Green Card che invece non contempla il diritto di voto ma assicura il diritto di residenza a tempo indetermeninato purché si rispettino le regole del Paese. Da Matteo Renzi ci si aspetta quindi una rigorosa applicazione del principio della «no taxation without representation» che sta alla base della Rivoluzione Americana. Ma anche, sempre per fornire degli esempi, una rivoluzione forte dell’insegnamento, soprattutto di quello pubblico dove una forte enfasi va anche messa sull’educazione civica (è nei primi 5-10 anni di scuola che si formano i cittadini di domani).
In materia fiscale mi auguro che la strada per Renzi sia sì quella di una lotta serrata all’evasione ma coniugata con un taglio severo della spesa pubblica improduttiva nell’ordine del 10% del totale, da effettuarsi in 3-4 anni con determinazione ma senza fare morti e feriti. Coi soldi recuperati dovrebbe quindi subito tagliare le tasse (prima le aliquote più basse e solo poi quelle più alte) rimborsare il debito e avviare lavori pubblici importantissimi, di quelli che solo gli Stati possono portare avanti (dall’alta velocità sulla linea Venezia-Bari alla razionalizzazione della rete aeroportuale), nonché progetti di ricerca con le stesse caratteristiche.
Quanto alle imprese private, bisogna creare uno stato di diritto che consenta all’imprenditore di cambiare ottica: l’impresa deve diventare un soggetto terzo rispetto a chi l’ha creata e deve essere in grado di continuare dopo di lui, possibilmente sviluppandosi. Non è, e non può essere, un metodo veloce per arricchirsi. Invece è, e deve essere, un organismo che produce ricchezza per i singoli e per la collettività, con un occhio particolare all’imprenditore che rischia i suoi capitali. Da questo deriva poi il resto. Da questo deriverà anche una maggiore propensione a investire in ricerca e sviluppo. Poi, certo, anche lo Stato deve fare la sua parte su questo tema. Se gli Usa non avessero finanziato grandi progetti militari non staremmo vedendo la rivoluzione tecnologica che viviamo tutti i giorni: non avremmo neanche Internet.
E sempre in materia di rapporti fra pubblico e privato va impostato anche il ragionamento sulla globalizzazione. Il processo è irreversibile ma quella selvaggia ha un solo perdente: noi occidentali. La competizione è tale solo se è fra uguali, solo se esiste quello che gli anglossassoni chiamano level playing field, che non significa che tutti abbiano le stesse chance di avere successo, ma che tutti giocano in base alle stesse regole: il migliore deve vincere a parità di condizioni. Per questo dobbiamo competere senza distruggere il nostro settore manifatturiero, per questo, in maniera selettiva, bisognerà avere il coraggio di applicare dei dazi. Senza dimenticare che la nostra economia è fatta anche di agricoltura e che, anche in questo settore, occorre una riforma intelligente, non basata su criteri ideologici ma solo su canoni di efficienza. Anche qui occorrerà del coraggio, perché bisogna favorire, entro certi limiti, la ricostituzione del latifondo, indispensabile per un rilancio del settore in chiave moderna. Questo è un campo in cui l’Italia può giocare un ruolo importante, favorendo anche la tutela del paesaggio. Ma questo è anche un campo di grandi ingiustizie, un campo dove molti lamentano che una mucca europea riceve sussidi per circa due dollari al giorno, una cifra superiore a quella guadagnata da moltissimi lavoratori in giro per il mondo. Va quindi gestita una transizione ad altre forme più avanzate di agricoltura. Disegnando un piano che nel nostro Paese dovrebbe includere anche una politica di rimboschimento dell’Appennino e di consolidamento degli argini dei fiumi e dei torrenti, provvedimenti che costerebbero molto meno dei danni provocati periodicamente dalle alluvioni. E che darebbero anche lavoro a tanti giovani in attesa di collocamento.
Insomma, quello che racconto qua non è un libro dei sogni, ma la base di un Paese dove modernità smette di essere una parola astratta. Un Paese dove la magistratura è dotata su scala nazionale di un settore specializzato in reati finanziari. Un Paese dove cittadini e investitori hanno una certezza del quadro normativo sapendo che si arriva rapidamente a una sentenza non più appellabile, senza che spunti un’altra autorità a cui rivolgersi, un altro Tar di turno che rimette nuovamente tutto in discussione. Una certezza del diritto di un Paese che sta in Europa, in un’Europa che non può stare sola mentre gli Stati Uniti faticano a capire di essere al tramonto. Occorre infatti riflettere anche su un’alleanza fra le due grandi entità occidentali, per tenere testa a India e Cina e al risveglio del mondo arabo.
In Italia non abbiamo bisogno di fare come la Nuova Zelanda che dà la cittadinanza a chiunque apra un’attività ritenuta «benefica per il Paese». Di creatività infatti siamo già pieni e in maniera diffusa. Piuttosto l’attuale, assoluta distanza della politica dal mondo della società civile consente a quest’ultima di esprimersi con maggiore chiarezza su come dovrebbe essere l’Italia dei prossimi 50 anni. Questa maggiore libertà della società civile trova la sua spinta originaria nella presa di coscienza della gravità della nostra situazione finanziaria e nella lotta all’evasione lanciata da Mario Monti che ha dato coraggio ai benpensanti di non vergognarsi più di chiedere un scontrino fiscale o una fattura. Una libertà che ora dobbiamo sapere usare per costruire un Paese migliore e più equo. Si può essere di sinistra anche senza avere letto Marx anche perché molti di questi punti sono necessità largamente condivise. Se Matteo Renzi mette in movimento il Partito Democratico, e attraverso esso l’Italia, dobbiamo però sapere dove vogliamo che ci porti e dove ci vuol portare.
Twitter: @guidorvitale
*fondatore della Vitale & Associati