E pensare che Franco Coppi non voleva nemmeno fare l’avvocato. Il principe dei cassazionisti, da poco entrato a far parte anche nel team legale di Berlusconi per l’ultimo grado del processo Mediaset (previsto il 30 luglio, a sorpresa di tutti, di Coppi per primo) aveva un altro sogno: la pittura. Dipingeva quadri – paesaggi a olio, perlopiù – ed era anche abbastanza bravo, a quanto pare. Poi, però, scelse l’avvocatura (che lo annoia tantissimo) come ripiego. Di arte non si vive, o si vive poco.
Ma anche senza passione ha fatto carriera. Dietro ai principali processi degli ultimi trent’anni c’è lui. È Coppi che ha difeso Andreotti nel caso Pecorelli, portandolo all’assoluzione. Ha preso le parti di Antonio Fazio, sullo scandalo Antonveneta. Ma lo si ritrova anche nel caso Lockheed, dove ha salvato l’ex ministro Luigi Gui. C’è da ricordare anche la difesa di Vito Miceli per il golpe Borghese, quella di Renato Brusco per i fatti di via Poma e quella di Nicolò Pollari per il caso Abu Omar. È lui che prende la tutela della vedova Calipari e dei dirigenti della Thyssenkrupp dopo l’incidente di Torino. Si schiera con Piero Angela per l’accusa di diffamazione e dimostra la mancanza di scientificità dell’omeopatia. Difende la segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, per falsa testimonianza, sta con Sabrina Misseri per il caso su Sara Scazzi, si scontra con l’avvocato Carlo Taormina per i fatti di pedofilia di Rignano Flaminio. In tutti questi momenti c’è Coppi, il migliore, a detta di tutti, per decidere le sorti del processo.
Nato nel 1938 a Tripoli per caso (il padre lavorava in Fiat ed era lì per lavoro), si trasferisce subito in Italia. Studia giurisprudenza alla Sapienza, diventa docente e insegna, da ordinario, Diritto Penale fino al 2010. Anche l’insegnamento, insieme alla pittura, è una delle passioni che anteporrebbe volentieri al foro. Ha l’impostazione, del resto, dello scienziato del diritto. Studia carte e fascicoli in cerca di errori di forma, i “vizi” da far valere nei dibattimenti. Non ama entrare nel merito dei fatti, ma della loro cornice legale. Prima di tutto c’è il fascicolo, e poi il caso personale. Anche per questo è un cassazionista puro, aiutato, oltre che da abilità e precisione, dal suo scarso interesse per il viaggio. Non ama spostarsi da Roma e, quando lo fa, è perché lo interesse il caso in esame.
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Un lavoro, insomma, in sintonia con il suo carattere chiuso e austero. Per lui sono prioritari il rispetto delle regole e la moderazione. Condizione che devono accettare tutti i suoi clienti, ma che non tutti riescono a mantenere. All’epoca, Don Gelmini, imputato per molestie, scivolò su un’intervista dai toni accusatori. Ci mise un secondo, Coppi, a smettere di rappresentarlo, nonostante fosse «certo della sua innocenza». Lui fa così: è distaccato, a volte freddo. Sono tantissimi i clienti rifiutati o abbandonati per strada. Basta poco, anche una piccola scorrettezza. È molto duro, attaccato alla sua indipendenza, sa che il suo nome è anche un biglietto da visita nei procedimenti. Per questo detta le regole e non si lascia trascinare da nessuno. Ad eccezione dei suoi cani, ma questo è un altro discorso.
Insomma, l’avvocato Coppi è un uomo austero, lontano dalle tentazioni mondane. Non ama le cene (e si vergogna di dover sempre dire no) e le feste. Si interessa di arte e pittura, si circonda di cani e ama restare in disparte, a lavorare. A parte quello delle cravatte (ne ha una quantità mostruosa) non si conoscono debolezze particolari. Eppure tra le mani di un uomo dallo stile di vita normale e senza pretese sono passati incartamenti e fascicoli di pezzi di storia d’Italia, omicidi e cronacaccia, tangenti, mafia e colpi di stato. A lui si sono rivolti ex presidenti del Consiglio, dirigenti, esponenti dei servizi segreti e della Chiesa. Ha conosciuto storie e segreti, verità e menzogne. Tutte cose, enormi e profonde che custodisce dentro di sé. Le racconta nelle aule di tribunale, le incasella nei commi dei codici. Ma ci si potrebbe chiedere, fosse andata in un altro modo, come le avrebbe dipinte, nei suoi quadri, da avvocato mancato.