È la settimana del voto in Commissione sulla decadenza di Silvio Berlusconi, si vota mercoledì, poi, entro un mese, toccherà esprimersi all’aula di Palazzo Madama, che ratificherà l’espulsione del Cavaliere dal Senato. E già il Parlamento si avvolge nelle spire confuse della lotta di fazione.
Beppe Grillo vuole il voto palese, chiede di cambiare in fretta il regolamento parlamentare per spintonare fuori Berlusconi, mentre il Pdl resiste e il Pd si accoda fragile al Movimento 5 Stelle. Ed è uno strano marasma, un fatuo agitarsi, che allude alle elezioni anticipate o forse soltanto al tanfo di decomposizione organica del cadavere della Seconda Repubblica. Così, mentre suonano tutti gli allarmi di sistema e l’economia tracolla senza margini di ripresa – con le previsioni di (de)crescita che per il 2013 oscillano tra il -1,3 e il -1,7 per cento – questa settimana la politica costringerà ancora l’Italia a saltare nei suoi cerchi di fuoco.
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A giorni alterni Berlusconi suona i corni della guerra elettorale, poi tocca a Matteo Renzi (“se andiamo a votare li asfaltiamo”), mentre Giorgio Napolitano fa sapere che di elezioni non se ne parla nemmeno. Sospeso in un dibattito involuto e ombelicale, ogni giorno il brulichio selvaggio del cambiamento costringe questo martoriato Paese a misurarsi con una tensione senza orizzonte. Il Parlamento consuma le proprie energie nella battaglia finale del Ventennio berlusconiano, il governo è paralizzato dalla necessità di non scontentare nessuno, e ogni mattina l’Italia celebra il giudizio universale.
E dunque adesso pare che Berlusconi non voglia più la crisi di governo, ma si prepari alle dimissioni dal Senato, pronto a galleggiare pericolosamente all’interno della grande coalizione, malgrado le vistose ammaccature giudiziarie, i litigi furiosi, l’odio personale e politico, le cannonate che presto lo renderanno anche ineleggibile. Ma, si sa, il Cavaliere potrebbe anche cambiare idea ancora una volta e tornare repentinamente bellicoso, a seconda degli interessi dell’ultim’ora. Dunque nulla è come appare, si cammina sulla sabbia, è tutto un gioco di scommessa.
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Tuttavia è il Pd che adesso, improvvisamente, sembra attraversato dalla voglia di elezioni. Ed è una altalena inafferrabile. Renzi appare ottimista, sente la mela del potere a portata di mano, il giovane sindaco pensa di aver già vinto il congresso del suo partito e dunque vagheggia per sé la poltrona di Palazzo Chigi, malgrado i sondaggi non gli attribuiscano affatto una vittoria netta, ma delineino piuttosto un altro pareggio, un’Italia ancora ingovernabile, sconnessa, sotto botta, sempre divisa in tre: Pd, Pdl e Grillo.
E dunque si consumano le schermaglie pre-elettorali, il pazzo teatrino non si ferma più, un giorno è l’uno, un giorno è l’altro degli attori sul proscenio politico a gridare al voto!, al voto! E tutto si attorciglia con la coda finale dell’anomalia berlusconiana, con l’ultimo tragico capitolo, quello della cacciata dal Parlamento, quel voto d’espulsione che molti vorrebbero consumare con il rovente cipiglio della vendetta e non con la freddezza d’un civilissimo atto parlamentare.
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Un terremoto continuo. La politica italiana si guarda l’ombelico, mentre il governo di Enrico Letta è impossibilitato a governare dal caos che lo circonda e l’economia precipita senza scampo nel sottoscala d’Europa. Come si guida il Paese nel marasma d’una politica involuta? Il debito pubblico ha superato il 130 per cento nel rapporto debito-Pil senza prospettive di rientro. La disoccupazione è in crescita, l’occupazione in calo, le finanze pubbliche a un passo dal diventare incontrollabili malgrado l’affettato ottimismo del ministro Fabrizio Saccomanni. Ma il grande dibattito della settimana nel nostro Paese è su come espellere meglio Berlusconi dal Senato: voto palese, o voto segreto? Che Dio ci aiuti.
Twitter: @SalvatoreMerlo