Nel governo Letta i ministri hanno tutti uguale dignità? Di fronte ad atteggiamenti imbarazzanti, è assicurato a ognuno lo stesso tasso di garantismo? Evidentemente no e tra Anna Maria Cancellieri e ad esempio la “povera” Josefa Idem c’è qualcuno che risulta ipocritamente più uguale di altri.
La storia è questa ed è al centro delle cronache politiche da qualche ora. Secondo indiscrezioni de La Repubblica e documenti pubblicati dall’agenzia di stampa ADNkronos, nei mesi scorsi il Guardasigilli Cancellieri si è interessata delle condizioni di salute di Giulia Ligresti, figlia del costruttore-finanziere Salvatore, finita in carcere per la vicenda Fonsai. E, parole sue, avrebbe “sensibilizzato” il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria ottenendo il trasferimento ai domiciliari della donna per motivi di salute. Non bisogna essere maliziosi per risalire ai legami tra la Cancellieri e la famiglia Ligresti: vengono dallo stesso paese siciliano e il figlio del ministro, Piergiorgio Peluso, è stato un alto dirigente proprio della Fondiaria Sai, da cui si è congedato con una buonuscita di oltre 3 milioni di euro a fronte di pochi mesi di lavoro. In precedenza, lo stesso Peluso, aveva lavorato in Unicredit, uno dei principali finanziatori della galassia Ligresti. Se il legame tra l’intervento del ministro e la scarcerazione almeno finora non è provato, dubitiamo che il ministro faccia queste telefonate “umanitarie”, persino comprensibili a dispetto di una persona amica finita dietro le sbarre, per tutti quei poveracci in cattiva salute che marciscono nelle carceri italiane magari in attesa di giudizio.
Questo è il punto, al netto di eventuali illeciti. E’ giusto che un ministro della Giustizia, di fronte a decine di migliaia di situazioni simili, “sensibilizzi” il Dap solo nel caso di una conoscente? Crediamo di no. Cancellieri è un ministro della Repubblica, ricopre un ruolo pubblico e come tale ha il dovere di separare sfera privata dalla funzione che svolge, seppure a malincuore. Il doppio standard non si può tollerare tanto più da parte di un’autorità responsabile di un settore, quello delle carceri, da anni nell’occhio del ciclone per iniquità, inefficenza, violazione di diritti e garanzie costituzionali. Il che rende ancora più grave l’intervento del ministro.
Nel frattempo il ministro si discolpa, scrivendo una lettera ai capigruppo di Camera e Senato. «Sono pronta a riferire in Parlamento, ove richiesta, per poter dare ogni chiarimento che si rendesse necessario». E ancora, «Non c’è stata, né poteva esserci, alcuna interferenza con le decisioni degli Organi giudiziari. Nella mia comunicazione al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non vi è stato nel modo più assoluto, come ampiamente dimostrato, alcun riferimento a possibili iniziative finalizzate alla eventuale scarcerazione della Ligresti». Lo stesso governo, per bocca di Alfano, ha scelto una linea garantista, in questo frangente le larghe intese funzionano che è una meraviglia. Peccato che la stessa linea non sia stata tenuta lo scorso giugno, quando il premier Letta ha accettato senza battere ciglio le dimissioni di Josefa Idem, all’epoca titolare di Pari opportunità, Sport e Politiche giovanili. Anche lei finita al centro delle polemiche (per presunti abusi edilizi nella sua casa-palestra vicino Ravenna e mancati pagamenti dell’Ici). A differenza di oggi, in quella vicenda più del garantismo poté l’imbarazzo. E il ministro venne congedato con tanti saluti e una pacca sulle spalle. Ex post, verrebbe da dire che se si è intransigenti, lo si è sempre. Se si è garantisti, anche. Perché altrimenti il dubbio viene. Un ministro con poca esperienza è meno tutelato di un collega più famoso, importante e magari vicino al presidente Napolitano? Dubbi, per carità. Che a volte sarebbe meglio dissipare sul nascere…
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