Siete solo invidiosi del mio zaino a razzo di Tom Gauld

vignette belle

Siete solo invidiosi del mio zaino a razzo

Ci sono tanti modi per criticare la realtà: si può scrivere un articolo, un’inchiesta, un romanzo, girare un documentario, un film, scrivere una canzone, comporre una sinfonia, fare un comizio, si può dipingere un quadro, un affresco, un murales, oppure si possono ideare delle vignette, e di tutti i gesti fino a qui elencati, quest’ultimo, anche se potrebbe sembrare il più leggero e futile, a volerlo fare bene è probabilmente tra i più complicati.

Una vignetta che funziona è infatti una vignetta che, in pochi centimetri quadrati di carta, o in pochi pixel, con un paio di battute, in un cambio di situazione o di punto di vista, riesce a far emergere i punti storti del mondo, gli anelli che non tengono, le ipocrisie, i vizi e i cortocircuiti intellettuali del mondo che sta intorno a quella vignetta, che sia il mondo politico, quello culturale o quello sociale, poco importa.

Uno degli esempi più interessanti degli ultimi anni è lo scozzese Tom Gauld, le cui invenzioni, che rispondono spesso alla definizione di «vignette riuscite proprio bene», trovano spazio ogni settimana sul Guardian Saturday’s Review e, ogni tanto, anche su New Yorker e New York Times. Caustiche e ficcanti, le vignette di Gauld ironizzano proprio sui nostri tic culturali, sui cortocircuiti che affollano il mondo letterario e, negli ultimi anni, sono riuscite a guadagnarsi un grosso seguito anche ben al di là del pubblico del Guardian, grazie anche al profilo tumblr e flickr, dove Gauld pubblica regolarmente i suoi lavori.

Se non siete già conoscitori di Gauld, ci sono due modi per farvi capire di cosa stiamo parlando. Il primo è tentare di spiegarvi l’abilità di Gauld nel chiazzare di cattiveria, saracsmo e a volte anche cinismo (qualcosa che spesso ricorda l’umorismo british à la Monty Python) situazione spesso rappresentate con ingenuità e leggerezza, anche di tratto. Ma vorrebbe anche dire perdersi la crema del lavoro di Gauld, e magari anche annoiarsi.

In fondo, la differenza tra criticare la realtà con le armi del giornalismo o della narrativa e criticarla con quelle del fumetto, o meglio, della vignetta, sta proprio in una certa mancanza di mediazione, come se il vignettista avesse un’arma in più rispetto al giornalista, al romanziere o al sociologo: una specie di zaino a razzo che gli permette di volare. Uno zaino a razzo che — come sa bene Gauld — gli invidiamo parecchio.

Per questo probabilmente il modo milgiore per farvi capire di cosa si sta parlando non è raccontarvele, ma farvele vedere, direttamente, senza troppi giri di parole. E quindi, ecco qualche esempio:

Le vignette di Tom Gauld

Due chiacchiere con l’autore

Il tuo umorismo sembra un bel misto di critica e cinismo, con una tocco di ingenuità, come hai trovato la tua ricetta?

L’umorismo nei miei lavori si è semplicemente e naturalmente sviluppato a partire dalle cose che mi piacciono, nell’arte e nella vita, quelle che trovo divertenti. Amo le cose divertenti, quelle che fanno ridere in modo sottile, non quelle hanno bisogno di essere urlate. Per quanto riguarda il cinismo e la critica, diciamo che provo sempre a non essere troppo critico o troppo cinico in quello che faccio. Sono convinto che le storie e le idee siano tanto più divetenti, o tanto più tragiche, anche, se si lavora bene sui personaggi. Credo che la mia raccolta contenga più personaggi ottimisti delusi, o sfortunati incompresi, piuttosto che personaggi cinici o cattivi. Il mio obiettivo principale è intrattenere il lettore, non dare lezioni, e nemmeno educare.

Perché il cinismo sembra essere uno degli ingredienti principali dell’umorismo della nostra epoca?

Il fallimento è più divertente del successo. E proprio per questo, credo, l’umorismo tende verso le cose che vanno storte piuttosto che verso quelle che vanno a finire bene. Non mi piace l’umorismo che è troppo freddo e cinico, mi piace che ci sia dentro un calore, anche se soltanto una goccia. 

Si può scherzare su tutto e su tutti?

Sì, ma credo che sia meglio spendere la maggior parte del nostro tempo prendendo in giro le persone potenti, le istituzioni e le loro idee.

Quali sono i più pericolosi cortocircuiti dell’elite intellettuale dei nostri tempi?

Non so quali siano i più pericolosi, ma quello che mi dà noia di più è la mancanza di apertura mentale, la mancanza di volontà di provare a vedere le cose da un altro punto di vista. Nel mondo dell’arte questo può succedere alle persone che ignorano intere aree e genri senza nemmeno provare a farsi un’idea. Un esempio è lo snobismo verso la fantascienza o i fumetti, o anche quella, opposta, verso ciò che è nuovo, sperimentale, verso arte e idee più complesse.

Come possiamo combatterle?

Io credo che dobbiamo tutti provare un po’ di più e con un po’ più di convinzione a guardare le cose da un altro punto di vista. Ma anche provare, sperimentare qualcosa di nuovo, uscire dal proprio guscio.

Come sarà secondo te il futuro del giornalismo? Con il digitale ci saranno più possibilità per il graphic journalism?

Non ne sono sicuro. Mi sembra che le condizioni dei cartoonist siano in fondo le stesse che dei giornalisti, da un parte infatti il digitale ha reso molto più facile a chiunque vedere i lavori degli altri, farli girare, dall’altra ha reso più difficile essere pagati. Vignette e brevi fumetti come quelli che ho pubblicato io in questo libro funzionano molto bene su blog o su tumblr, ma se posso farli e soltanto perché me li paga il Guardian per pubblicarli in anteprima.

Un’ultima domanda, chi sono i tuoi disegnatori preferiti?

Giusto per fare qualche nome: Edward Gorey, Roz Chast, Dan Clowes, Gary Larson, Saul Steinberg….

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