TaccolaConsip e musei, i dubbi sul piano da ricavi record

Consip e musei, i dubbi sul piano da ricavi record

Basteranno delle gare più chiare per portare i ricavi dei musei italiani dagli attuali 380 milioni di euro a 2 miliardi di euro? È la domanda che si stanno ponendo in questi giorni gli operatori che operano in concessione nei musei italiani e gli studiosi del settore. E i dubbi sono molti, sebbene accompagnati dalla volontà di aspettare il testo definitivo per dare giudizi.

Al balzo spettacolare dei ricavi, come ha riportato un articolo de la Repubblica, il ministero dei Beni e delle attività culturali intende arrivare tirando fuori dal cilindro un nome inaspettato: la Consip.

La società che fin qui ha garantito risparmi negli acquisti delle pubbliche ammistrazioni è chiamata a un compito del tutto nuovo. Entro la fine dell’anno dovrebbe pubblicare un bando per arrivare, in primavera, a un accordo quadro che sarà il punto di riferimento per tutte le gare successive sul territorio.

L’accordo quadro

L’accordo quadro stabilirà le condizioni di base per prezzi, qualità e quantità a cui si ispireranno le gare successive delle singole stazioni appaltanti. Probabilmente prevederà dei lotti di macroregioni in cui sarà divisa l’Italia. Per ogni lotto tale accordo sarà sottoscritto tra la Consip e “due-tre-quattro soggetti”, fanno sapere dalla Consip stessa. Sarà tra tali soggetti che dovranno andare a pescare le singole stazioni appaltanti (direzioni regionali, soprintendenze ed enti locali) quando andranno a bandire le gare. Anzi, potranno, perché, fanno sapere dalla Consip, non ci sarà alcun obbligo. La società del ministero dell’Economia e finanze non è però in grado di dire se ci saranno dei meccanismi premiali che ne incentiveranno l’adozione.

I contenuti del bando non sono ancora stati definiti. C’è un modello, riferiscono dalla Consip, che è allo studio del Mibact. Tuttavia alcuni punti fermi ci sono. Intanto, si dirà addio alla stagione dello “spezzatino”, cioè delle gare divise per singoli servizi aggiuntivi (bookshop, ristorazione, biglietteria), un modello di affidamento che era stato delineato dalle linee guida del 2011 dell’ex direttore della Valorizzazione del Mibact, Mario Resca (ex McDonald’s Italia e attuale presidente di Confimprese). La parola d’ordine qui è “gestione integrata”, non solo dei servizi aggiuntivi ma anche di quelli di facility management, cioè i servizi agli immobili che vanno dalle pulizie alla sicurezza, passando dalla manutenzione. I soggetti che parteciperanno alla gara per l’accordo quadro non potranno che essere delle grandi Ati (associazioni temporanee di imprese), costituite da società di manutenzione e pulizie e dagli specialisti di librerie, bar e ristoranti e biglietterie. Dalla Consip non escludono che, nei limiti di legge, che si sono fatti restrittivi, sia possibile per le aziende ricorrere a subappalti, per coprire territori lontani dalle loro sedi.

Il piano per i ricavi

Un altro degli obiettivi del progetto della Consip è quello di «valorizzare il patrimonio culturale “minore” del nostro Paese e di aumentarne la fruizione da parte di un pubblico di visitatori che si auspica sia crescente nel tempo», dicono dalla società pubblica. A tale risultato si arriverebbe probabilmente attraverso aggregazioni di sistemi museali, in modo da creare economie di scala.

È questo uno dei tasselli che la Consip immagina per portare i ricavi alla fatidica soglia dei 2 miliardi di euro. Gli altri sarebbero i progetti di valorizzazione che puntino ad aumentare la conoscenza e la frequentazione del sito e quindi ad aumentare il numero di visitatori e gli introiti da biglietti; progetti che fanno affidamento principalmente su una maggiore comunicazione, a partire dall’online. Più persone nei musei e servizi aggiuntivi resi più efficienti porterebbero a più ricavi su questo fronte. La miglior gestione dei servizi di base, dalla pulizia alla manutenzione, e dei servizi di governo (sistema informativo, call center etc) libererebbe invece risorse da usare per la valorizzazione.

A far aumentare le entrare per il pubblico dovrebbe essere soprattutto una nuova suddivisione delle entrate dei siti culturali. Fino a oggi, fanno sapere da Consip, l’amministrazione ricava ciò che residua dalla gestione frammentata dei diversi servizi per i siti culturali, ricavando attorno al 10% del valore potenziale. Con il nuovo contratto, aggiungono dalla società del Mef, al gestore viene assegnata una percentuale fissa del ricavo e il restante rimane all’amministrazione. I ricavi dal progetto di valorizzazione, per Consip, resterebbero quasi interamente all’amministrazione.

Ispiratori di questi rinnovati meccanismi dovrebbero essere le esperienze internazionali. È sulla base di queste esperienze che sono state calcolate le stime dei 2 miliardi di euro.

I dubbi degli operatori

È a partire dalla cifra prevista dei ricavi che si sollevano i primi dubbi degli operatori e degli studiosi del settore. Ma le perplessità riguardano molti altri aspetti: la capacità di rendere davvero redditizi i centri museali minori; la possibilità di ottenere davvero economie di scala; il rischio che alcune gare minori vadano deserte; la conciliazione di tali accordi quadri con la riforma del Mibact. Fino a una perplessità più generale, che riguarda proprio la Consip: sarà in grado di gestire operazioni di valorizzazioni, se finora si è occupata prevalentemente di contenimento dei prezzi?

Il primo aspetto problematico è quello dei ricavi. A oggi gli incassi lordi del sistema dei musei statali sono pari a 126,4 milioni di euro (2013), mentre quelli dai servizi aggiuntivi si fermano a 46 milioni, dei quali circa 6 vanno effettivamente nelle casse dello Stato. Ai 380 milioni si arriva aggiungendo tutti gli altri musei pubblici, regionali e comunali, dove i servizi aggiuntivi sono spesso nulli. «La previsione fatta da Consip sul valore dell’operazione, valutata ben 2 miliardi e mezzo, ci sembra molto ottimistica, visti i dati di partenza che vedono i musei statali produrre un fatturato di soli 120 milioni di euro», dichiara Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, associazione degli operatori ai servizi museali.

«Quello che non convince – aggiunge Guido Guerzoni, progessore di Museum Management all’Università Bocconi – è che probabilmente hanno fatto un benchmark con i Paesi stranieri, tarandosi su quelli più grandi e pensando che si possa applicare anche ai musei più piccoli, i quali però sono molto diversi, a partire dai costi». Una perplessità ulteriore riguarda il silenzio, finora, sugli investimenti che sarebbero necessari per accompagnare i progetti di valorizzazione dei musei.

Anche il contenimento delle spese è un osservato speciale. «Bisognerà aspettare il piano definitivo per giudicare – premette Guerzoni -. Alcuni aspetti saranno fondamentali per il giudizio, come capire in che misura pensano di abbassare i costi. Nel facility management c’è poco da limare rispetto ai contratti attuali. Inoltre il rischio è che imponendo certi standard ai musei minori ci siano diseconomie di scala piuttosto che economie di scala. È molto diverso pulire otto grandi musei rispetto a 80 piccoli».

Sulla possibilità di ricavare reddito dai centri minori, i dubbi vengono da chi ha esperienza diretta, come Alberto Rossetti, direttore generale di Civita, società concessionaria che gestisce un’ottantina di musei, a partire dagli Uffizi, e organizza mostre. «Le dinamiche che conducono i visitatori verso i centri maggiori e li tengono lontani da quelli minori obbediscono quasi a delle leggi idrauliche e sono difficilissimi da cambiare, sarebbe necessario uno sforzo immane. Anche quando è possibile aumentare il numero di visitatori nei musei minori, è difficile che ne venga un beneficio economico. Noi in Toscana abbiamo decuplicato le visite in un museo minore, aumentando di un euro il costo del biglietto di un museo maggiore vicino e dando con questo la possibilità di visitare il centro più piccolo. C’è stato un forte beneficio per il territorio, ma non un aumento sensibile delle entrate. Pensare che la moltiplicazione dei ricavi verrà dai centri minori mi pare un “sogno di mezza estate”».

Rossetti aggiunge che «il modello di gare non ci è noto», ma pone alcuni dubbi sulla pertinenza della Consip in questo campo. «Non ho un pregiudizio, ma spero non intenda applicare il modello tradizionale con cui opera, perché sarebbe negativo. La valorizzazione dei beni culturali richiedere una strategia non è infatti riconducibile all’individuazione di standard di costo, per singoli servizi». Una preoccupazione condivisa da Patrizia Asproni. «Per la Consip lavorare sul tema delle concessioni di valorizzazione è una novità – commenta – . Non sappiamo quindi come riterranno di procedere per allargare il mercato e comunque rendere sostenibile il settore, dato che l’accordo quadro non sarà limitato ai musei statali ma comprenderà anche i musei comunali e regionali e i siti archeologici. La nostra preoccupazione è soprattutto che se si crea una short list di imprese vincitrici di un banco che riguarda macro aree, questo possa essere penalizzante per le piccole e medie imprese che contraddistinguono il settore».

A questa obiezione, dalla Consip si risponde facendo notare che in Italia il settore del facility management è già concentrato tra 4-5 aziende e che anche i servizi aggiuntivi vedono la presenza di pochi operatori specializzati.

Per Guido Guerzoni la preoccupazione è anche un’altra: cosa impedirebbe alle aziende selezionate nella short list di disertare le gare minori, se non prevedessero ritorni sufficienti? Anche la centralizzazione a livello macro-regionale degli affidamenti potrebbe creare dei problemi, perché, ad esempio, «un’impresa di pulizie potrebbe avere costi molto maggiori se dovesse fare centinaia di chilometri per raggiungere il museo». La soluzione dei subappalti, per ora solo teorica, porrebbe invece problemi, per il professore della Bocconi, perché eroderebbe i margini, renderebbe più difficile controllare la qualità e, in tutti i casi, sarebbe limitata dai vincoli normativi.

Le ultime domande le pone ancora Patrizia Asproni. «I bandi di gara si sovrappongono alla nuova riforma del Mibact che vede 20 musei con autonomia gestionale e manager a capo degli stessi. Come si concilieranno questi cambiamenti?». E ancora: «Si parla anche di affidamenti da parte del Mibact alle proprie società in house (Ales e Arcus, ndr). Vorrei qui ricordare le raccomandazioni della Ue al proposito, che vede già l’Italia in procedura di infrazione proprio per l’eccessivo utilizzo e creazione di società in house. Bisogna trovare un modello di governance che valga sia per i grandi musei che per i piccoli musei. Come altrimenti potremmo supportare lo sviluppo del settore?» .

Dubbi a cui dovrà rispondere la Consip da qui alla presentazione del bando. Nel frattempo, tutti gli osservatori sono concordi su una cosa. Il periodo della concessione in proroga dei servizi, che i musei italiani sperimentano da anni, dopo l’ondata di ricorsi che ha bloccato le gare bandite nell’era Resca, deve finire. «Auspichiamo che si giunga a una soluzione – commenta Rossetti -. Lo stato di continua proroga impedisce di avere certezze e varare investimenti». 

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