L’anno della capra inizia in Paolo Sarpi

L’anno della capra inizia in Paolo Sarpi

Il Capodanno cinese – né potrebbe essere altrimenti – a Milano si festeggia in Paolo Sarpi. Si tratta dell’ex Borgo degli ortolani, ai confini col centro storico: una zona compresa tra via Paolo Sarpi, via Bramante e via Canonica, chiamata Chinatown per praticità, perché suona bene, e anche per dare a Milano una parvenza metropolitana. L’espressione però non è del tutto calzante, perché il quartiere in questione presenta caratteristiche peculiari che lo differenziano da tutte le altre Chinatown del mondo.

Le Chinatown più note infatti – quella di San Francisco, fondata ai tempi della corsa all’oro, le sei newyorkesi (tra cui quella di Manhattan), che insieme costituiscono la comunità cinese più numerosa fuori dall’Asia, e le Chinatown europee di Londra e Liverpool – hanno tutte dei tratti in comune che le caratterizzano. I residenti sono quasi tutti cinesi, i negozi molto vari e per lo più al dettaglio, e il tessuto urbano è personalizzato da elementi architettonici identitari, come le porte orientali che segnalano l’ingresso nel quartiere. Tutto ciò non vale per la zona Sarpi-Canonica, nella quale circa il 90% dei residenti è italiano, le attività commerciali gestite da cinesi sono prevalentemente all’ingrosso e per lo più orientate sull’abbigliamento e le case sono quelle della vecchia Milano – in giallo lombardo, con cortili e ballatoi. (Recentemente è stata avanzata la proposta di inaugurare una porta orientale in occasione di Expo, che non ha mancato di sollevare controversie).

Ma è tuttavia nelle strade di questo quartiere, dove i cinesi festeggiano il Capodanno, in cui, per l’occasione, confluiscono centinaia di milanesi, non per fare acquisti o per mangiare la pizza da Giuliano, ma per assistere a uno spaccato di multiculturalità cittadina. Ho pensato che fosse una buona opportunità per saperne di più sul quartiere, così, nei giorni immediatamente precedenti, ho contattato l’associazione italo-cinese shoulashou–diamocilamano, che da alcuni anni coordina l’organizzazione del Capodanno, e la fondazione ACRA-CCS, che insieme all’associazione Mowgli organizza passeggiate guidate in alcune zone multietniche di città come Milano, Genova, Roma e Firenze. E che proprio in occasione del Capodanno aveva predisposto un giro lungo Paolo Sarpi, organizzato per il giorno prima della grande parata.

Il ritrovo è al civico 1 di via Paolo Sarpi. Piove, ma la via decorata a festa con le tradizionali lanterne rosse fa davvero pensare alle Chinatown di Londra e New York. La passeggiata inizia dai giardini dedicati a Lea Garofalo, per poi risalire tutta via Sarpi, che dal 2011 è interamente pedonale. Il tour prevede diverse tappe in alcuni dei negozi più caratteristici: un’occasione per raccontare e dare delucidazioni sulla cultura cinese. Il luogo che sembra più ispirare la nostra guida, Ding, è l’Oriente Store, all’incrocio con via Bramante: una storica bottega su due piani, che vende mobili, vestiti e oggettistica tradizionale e che per la sua ecletticità offre diversi spunti aneddotici (da una scatola smaltata, per esempio, Ding ci racconta dei 56 gruppi etnici riconosciuti in Cina). Molto apprezzate dal gruppo sono le tappe a sfondo culinario, come l’International Store (uno dei tre della via: minimarket stipati di prodotti alimentari tipici, noodles in scatola, ma anche frutta e verdura esotiche) e la pasticceria Hao Li Lai, dove ho acquistato degli ottimi biscotti ai cipollotti.

Durante il giro, apprendo anche un po’ di storia del quartiere. I primi cinesi arrivarono a Milano negli anni ‘20 dalla regione dello Zhejiang – già durante il fascismo la zona era infatti chiamata “quartier generale dei cinesi” – e si stabilirono nelle allora periferiche via Canonica e via Paolo Sarpi, utilizzando i vecchi cortili come laboratori per le attività tessili, in particolare la lavorazione della seta per la produzione di cravatte. Un secondo, consistente afflusso si è avuto a partire degli anni ’90 e l’economia di Paolo Sarpi si è aperta alle agenzie immobiliari e ai negozi hi-tech. Dai primi anni 2000 si è assistito invece al boom del commercio all’ingrosso, le cui operazioni di carico e scarico hanno originato negli anni alcune tensioni tra la comunità cinese, i residenti italiani e l’amministrazione comunale (è cosa nota la breve rivolta della comunità cinese del 12 aprile 2007) e che l’amministrazione ha tentato di risolvere rendendo la zona prima a traffico limitato e poi del tutto pedonale, cercando di delocalizzare i grossisti nelle vie limitrofe.

Attualmente, nel quartiere Canonica-Sarpi vivono meno di 1.000 cittadini cinesi, ossia meno del 10% degli immigrati cinesi a Milano. A fronte di una quasi totalità di residenti italiani (bassa è anche la percentuale di residenti di altre nazionalità), sulle circa 750 attività commerciali presenti nel quartiere circa 600 sono di gestione cinese (60% commercio all’ingrosso, 23% vendita al dettaglio e 18% servizi). Un’altra peculiarità della zona è la forte presenza di botteghe storiche, che sopravvivono ai mutamenti del quartiere. Tra i negozi tipici, i grossisti di abbigliamento, i rivenditori di parrucche colorate e di bigiotteria, rimangono infatti aperti almeno cinque negozi e locali con alle spalle più di 50 anni di attività, come ad esempio le Cantine Isola, bottega del vino aperta dal 1988.

Il tour si conclude con un pranzo al ristorante Nuova Viscontea, che a dispetto del nome è cinesissimo, tant’è che l’unico inconveniente, a fronte di buon cibo a prezzi economici, è la difficoltà di ordinare al primo colpo con cognizione di causa. Il proprietario è molto attivo nell’organizzazione del Capodanno e si occupa di rifocillare i partecipanti alla parata. Noi abbiamo optato per la specialità della casa: la cosiddetta “pignatta mongola”, conosciuta in tutto il mondo come hot pot, in Giappone come shabu shabu, ma che il Nuova Viscontea chiama più didascalicamente “fonduta cinese”. Si tratta di un pentolone di brodo bollente (piccante o non, a seconda dei gusti), mantenuto caldo da un fornelletto (come la fonduta, appunto) in cui è possibile immergere e cuocere una quantità sterminata di ingredienti freschi: verdure, carne, pesce e farinacei. È un piatto molto conviviale e secondo me il brodo piccante è particolarmente appetitoso.

Durante la passeggiata ho raccolto informazioni anche sul Capodanno, che è una delle più importanti feste tradizionali cinesi ed è chiamato anche “Festa di primavera”. Si basa sul calendario lunare, nel quale i mesi iniziano in concomitanza con ogni novilunio. Perciò, la data d’inizio del primo mese – e dunque del Capodanno –, coincidendo con la seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno, può variare di circa 29 giorni: fra il 21 gennaio e il 19 febbraio. Le leggende che si legano a questa festa sono numerosissime: secondo una di queste, l’origine del Capodanno è da imputare a un antico mostro di nome Nian, che ogni 12 mesi usciva dalla sua tana per andare a caccia di umani e l’unico modo per scacciarlo era spaventarlo con rumori (da qui i tamburi e i fuochi artificiali) e con il colore rosso.

Di solito i festeggiamenti durano due settimane, e per i cinesi è una grande occasione di riunire la famiglia – come ci spiega Ding – per cui nei giorni precedenti e successivi si assiste a un grande viavai di spostamenti per tutta la Cina. La festa vera e propria però si concentra in pochi giorni cruciali, come la vigilia del Capodanno – primo giorno di festa, in cui si mangiano i tradizionali ravioli – e la grande Festa delle Lanterne, che invece chiude il ciclo festivo. A Milano però, a parte alcune iniziative, la festa vera e propria è rappresentata dal giorno della parata, che quest’anno si è svolta domenica 22 febbraio.

I festeggiamenti si aprono, la mattina, con una serie di spettacoli in piazza Antonio Gramsci (e, contemporaneamente, con gare di corsa come il “km cinese”); segue un fisiologico saluto delle autorità cittadine e infine, alle 14:30, la grande parata lungo via Paolo Sarpi: «colorata, chiassosa e molto popolare, come nelle campagne cinesi», commenta Lidia Casti, dell’associazione Diamocilamano.

La parata è effettivamente un momento molto concitato: sfilano i due dragoni (uno animato da italiani e l’altro da cinesi), i leoni, più di 400 tra artisti e figuranti in abiti tradizionali, e le scuole di arti marziali, che eseguono anche piccole dimostrazioni. Il tutto attira una gran folla di cittadini italiani, i quali, dopo aver pranzato in uno dei ristoranti cinesi della zona, si accalcano nella via, tutti (o quasi) muniti di dispositivi per immortalare l’evento, tant’è che a tratti è più facile vedere ciò che accade negli schermi degli smartphone altrui.

Se la sfilata segue un percorso piuttosto lineare lungo via Sarpi, i due dragoni hanno invece un itinerario più complesso: devono fare visita in tutti i negozi che si sono prenotati per un rito propiziatorio. I negozianti sollecitano la visita del drago per ottenere fortuna negli affari e in salute, e in cambio offrono una busta rossa contenente dei soldi, che andranno a confluire in una grossa scatola. Alla sua uscita dal negozio, il drago viene salutato con coriandoli e botti.

Forse anche meglio della parata sono però le ore immediatamente precedenti, che ci offrono una via Sarpi che non è quella laboriosa di tutti i giorni, ma una via domenicale e festosa, non ancora invasa dal turbine della parata e con una folla di spettatori ancora contenuta, in cui è possibile scorgere i figuranti che si preparano, mangiano e si fanno fotografare, non ancora del tutto entrati nel personaggio.

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