Il Jobs Act ancora deve essere completato con i decreti mancanti. Ma la domanda sorge spontanea: la riforma del lavoro sarà davvero utile ai giovani italiani colpiti da un tasso di disoccupazione al 41%? L’ultima puntata di Domani Lavoro. 10 domande e 10 risposte per trovare un’occupazione (e tenersela), la guida al lavoro realizzata da Linkiesta e Adapt, si concentra sui i pro e i contro del Jobs Act per i giovani lavoratori. A rispondere alle nostre domande sono i ricercatori del centro studio sul lavoro Adapt. Il contratto a tutele crescenti, dicono, è un’occasione per avere avere un’occupazione stabile, ma chi ci assicura che i nuovi assunti con gli sgravi fiscali saranno i ragazzi alle prime armi?
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Il Jobs Act dovrebbe disboscare parte della fantomatica foresta di tipologie contrattuali di cui si parla spesso. La stretta sulle collaborazioni a progetto aiuterà l’occupazione dei più giovani?
È ancora presto per dirlo e la domanda si presta a risposte su diversi livelli. Una prima analisi generale porta a dire che non è scontato che la stretta sulle collaborazioni, che vengono tentativamente ricondotte al modello subordinato classico del tempo indeterminato o determinato, porti a creare occupazione aggiuntiva e che questa offra benefici ai giovani. Questo perché molte analisi internazionali, tra cui un recente studio dell’Eurofund, sostengono che i contratti subordinati classici non rappresentano molte delle trasformazioni in atto nei mercati del lavoro contemporaneo, che tendono a sviluppare relazioni di lavoro basate su progetti e collaborazioni che terminano quando la mission del progetto viene portata a termine. Per questo motivo una possibile risposta, da verificare quando avremo i dati necessari per farlo, è che una stretta sulla flessibilità in entrata possa condurre a un ulteriore ingessamento del tasso di occupazione giovanile che oggi si attesta su cifre molto al di sotto della media europea.
Diverso è invece il discorso qualitativo per cui si può sostenere che una maggior diffusione del contratto a tempo indeterminato (seppur nella versione a tutele crescenti) aumenti le tutele laddove questo vada a sostituire quelle forme di collaborazione fittizie e irregolari che nascondevano veri e propri rapporti di subordinazione e che, in quanto tali, vengono delle imprese sostituiti con nuovi contratti.
Non è scontato che la stretta sulle collaborazioni, che vengono tentativamente ricondotte al modello subordinato classico del tempo indeterminato o determinato, porti a creare occupazione aggiuntiva e che questa offra benefici ai giovani
L’apprendistato è l’unica tipologia contrattuale riservata agli under 29. Il ritocco da parte del decreto Poletti e dei decreti attuativi favorisce la diffusione?
Non è ancora disponibile un testo definitivo di quello che sarà l’apprendistato dopo il riordino delle tipologie contrattuali. Da quello che si è potuto leggere in questi mesi, appaiono luci e ombre. Buone sono le indicazioni che puntano a rilanciare l’apprendistato scolastico e quello universitario, anche se la strada scelta dal governo non è del tutto coerente. Da un lato, infatti, ci dovrebbe essere una riduzione forte dei costi per le imprese, scorporando dalla retribuzione gran parte delle ore di formazione. Dall’altro, però, il testo depositato in Parlamento aggiunge alcuni passaggi procedurali che appaiono un fardello burocratico inutile. In questi ultimi giorni, poi, si è parlato di estendere l’apprendistato anche agli over 29. Occorrerà vedere nel concreto se e come il governo vorrà dar seguito a questa indicazione. Quel che certo è che in tal modo assisteremmo a un possibile snaturamento dell’istituto che nasce prima di tutto per collegare il mondo della scuola e il mondo del lavoro.
Il contratto a tutele crescenti aiuta davvero i giovani come dicono diversi esponenti del governo?
La risposta a questa domanda è al momento solo parziale ma possiamo già avere alcuni riscontri e valutare possibili prospettive future. Nell’analisi delle Comunicazioni obbligatorie del primo trimestre 2015, arco di tempo in cui si possono valutare le prime ricadute occupazionali della decontribuzione del contratto a tempo indeterminato e (solo nel mese di marzo) del nuovo contratto a tutele crescenti, il ministero del Lavoro illustra alcuni dati interessanti. Il primo è che i giovani under 24 non sembrano beneficiare particolarmente del contratto a tutele crescenti e la fascia che più si vede stipulare tale contratto è quella tra i 25 e i 44 anni. Questo può essere letto, con le dovute precauzioni, come da un lato la tendenza a trasformare contratti che già erano a tempo determinato e che quindi avevano consentito una più o meno lunga collaborazione tra lavoratore e datore di lavoro. Dall’altro possiamo ipotizzare, come la logica economica vorrebbe, che gli incentivi a pioggia favoriscano l’assunzione di coloro che già possiedono le competenze adatte al lavoro per il quale sono stati individuati e che quindi hanno alle spalle diversi anni di esperienza, pena la giovane età. Nei prossimi mesi potremo vedere se questo trend sarà o meno confermato.
Gli incentivi a pioggia potrebbero l’assunzione di coloro che già possiedono le competenze adatte al lavoro per il quale sono stati individuati e che quindi hanno alle spalle diversi anni di esperienza, pena la giovane età
Per chi però si vede il contratto atipico convertito in tempo indeterminato, le tutele crescenti garantiscono comunque l’accesso al mutuo?
Questo tema ha suscitato molto dibattito ed è stato spesso utilizzato come una cartina tornasole dell’efficacia o meno della rinnovata forma contrattuale del tempo indeterminato. Se infatti la tutela dell’articolo 18 viene definitivamente meno, scompare anche la stabilità di un tempo e più elevata è la possibilità di essere licenziati, questo genererebbe una incertezza tale da non consentire alle banche di garantire prestiti. In realtà essendo quello a tutele crescenti il contratto a tempo indeterminato del futuro, poiché applicato a tutti i nuovi assunti (salvo differenti intese tra le parti in sede di contrattazione collettiva) le banche stanno iniziando a dire che i mutui verranno concessi. Si tratterà probabilmente di una questione di tempi di adeguamento degli istituti di credito alla nuova forma contrattuale che spesso oggi non conoscono non tanto dal punto di vista degli amministratori quanto degli operatori delle filiali.
Nel Jobs Act c’è anche un capitolo sulla conciliazione vita lavoro. Aiuta davvero i giovani?
Il decreto su conciliazione vita-lavoro non ha tra i suoi obiettivi diretti quelli di accrescere l’occupazione, tanto meno quella giovanile. Più che sulla quantità del lavoro, il decreto si concentra sulla qualità del lavoro. L’obiettivo è quello di rendere più semplice la conciliazione tra vita privata e vita professionale alle persone che hanno esigenze di cura familiare (neonato, bambino in affido o adottato, parente non autosufficiente etc…). All’interno di questo decreto vi è inoltre una innovativa norma a vantaggio delle donne vittima di violenza di genere. Alcuni limiti però rischiano di renderlo poco efficace: sono norme sperimentali (valide solo per l’anno 2015) e non connesse in un vero e proprio disegno, tanto che, anche tecnicamente, il legislatore ha scelto di intervenire semplicemente raccogliendo emendamenti al preesistente testo Unico su maternità e paternità del 2001.
È stato ritoccato anche il sistema degli ammortizzatori sociali e delle indennità di disoccupazione. I givani saranno più tutelati?
Il riordino delle prestazioni in caso di disoccupazione ha ampliato la platea di possibili beneficiari dell’indennità di disoccupazione poiché sono stati ridotti i requisiti contributivi per l’accesso alla prestazione. Se in precedenza erano necessari 2 anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di contribuzione nei 2 anni precedenti la disoccupazione, ora il lavoratore deve avere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione e almeno 30 giornate di lavoro effettivo. È pertanto evidente l’ampliamento del riferimento temporale da 2 a 4 anni e la notevole riduzione delle settimane di contribuzione richieste.
Questo significa che anche i giovani e le persone con percorsi lavorativi discontinui, anche a causa della crisi economica, con un numero limitato di giornate lavorate nell’ultimo anno prima della disoccupazione e nei quattro anni precedenti, sono in grado più facilmente di soddisfare le condizioni per avere diritto all’indennità di disoccupazione.
Inoltre, accanto all’indennità di disoccupazione per il lavoratori subordinati, è stata istituita una indennità di disoccupazione per i collaboratori coordinati e continuativi (che sostituisce la precedente una tantum per i lavoratori a progetto). Anche questo strumento di sostegno al reddito consente di tutelare i giovani che siano impiegati sulla base di questa tipologia contrattuale e che possano soddisfare i requisiti richiesti.
Il Jobs Act entra in vigore nella sua totalità proprio nel mese in cui si entra nel vivo del lavoro stagionali. Le condizioni per i giovani che lavorano d’estate (o l’inverno) sono migliorate?
Pur non trattandosi di interventi stravolgenti, ma della conferma di novità già preesistenti, in linea generale il decreto sulle tipologie contrattuali consolida le normative sul lavoro stagionale. Gli interventi più rilevanti sono in materia di contratto a tempo determinato e lavoro accessorio (i cui spazi vengono ampliati con l’elevazione del limite di reddito per singolo lavoratore a 7.000 euro). Si tratta di eccezioni rilevanti, poiché il contratto a tempo indeterminato, per quanto sgravato dei contributi e senza articolo 18 (il nuovo tutele crescenti), non può in nessun modo sostituire il rapporto a termine nei casi di stagionalità (ristorazione, hotellerie, turismo ecc…) che hanno per esigenze evidenti un limite temporale ben preciso e non variabile.
Cos’è il contratto di ricollocazione?
Il contratto di ricollocazione è destinato a tutti i lavoratori in stato di disoccupazione, quindi anche ai giovani che abbiano appunto acquisito lo stato di disoccupati presentandosi presso i servizi competenti e rilasciando la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di ricollocazione. Il contratto di ricollocazione è una misura di politica attiva del lavoro che ha lo scopo di favorire il rapido ritorno nel mercato del lavoro dei lavoratori disoccupati attraverso servizi di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro.
Il contratto di ricollocazione destinato ai lavoratori in stato di disoccupazione al momento è finanziato da risorse molto esigue che non possono coprire più di qualche migliaio di lavoratori
Come si può accedere al contratto di ricollocazione se perdo il lavoro?
Il primo passaggio è la definizione del profilo personale di occupabilità del lavoratore ovvero valutare la sua maggiore o minore difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro. Sulla base di questa valutazione viene definita la dote individuale di ricollocazione che appunto sarà tanto maggiore, quanto maggiore è l’intervento necessario nei confronti del lavoratore per incrementare la sua occupabilità e favorire l’inserimento del mercato del lavoro.
La dote individuate è “spendibile presso i soggetti accreditati” ai quali il lavoratore beneficiario potrà rivolgersi per ottenere l’assistenza intensiva nella ricerca di un lavoro. Il lavoratore e il soggetto accreditato sottoscrivono il contratto di ricollocazione nel quale sono definiti gli interventi previsti per l’assistenza al reinserimento nel mercato del lavoro sono:
– assistenza nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore,
– iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato.
Il lavoratore ha il dovere di porsi a disposizione e collaborare e partecipare attivamente alle iniziative organizzate a favore del lavoratore.
L’agenzia privata accreditata avrà diritto a riscuotere la dote individuale per la ricollocazione soltanto a seguito dell’occupazione del lavoratore destinatario delle iniziative di ricollocazione.
Il dubbio principale su questo contratto è che al momento è finanziato da risorse molto esigue che non possono coprire più di qualche migliaio di lavoratori.
Ai giovani che possiedono un certo spirito imprenditoriale è favorito l’esercizio del lavoro autonomo, magari con partita Iva?
Il Jobs act riguarda solo perifericamente il lavoro autonomo. Gli interventi più importanti sono stati introdotti con la legge di stabilità e sono stati poi corretti visto il malcontento del cosiddetto “popolo delle partite iva”. Il regime dei minimi innovato dal governo era infatti penalizzante rispetto al precedente che è stato infine mantenuto come opzionale. Fino ai 35 anni, entro i 30mila euro lordi l’anno di fatturato e solo per primi 5 anni di attività, si può godere quindi di una condizione fiscale di favore (aliquota al 5%).