Legge di stabilitàSpending review, anche Renzi ha fallito

6 miliardi invece che 10 di revisione della spesa, un taglio delle imposte finanziato a debito: altro che “segno più”

Tra voci e smentite circa le possibili dimissioni di Roberto Perotti, l’economista che insieme a Yoram Gutgeld si occupa della revisione della spesa pubblica (o spending review) per il Governo, quel che c’è di certo è che anche la Legge di Stabilità presentata il 16 ottobre ha partorito un topolino. Degli annunci trionfali e ambiziosi di Renzi e dei suoi ministri di solo pochi mesi fa rimane ben poco, e ci dovremo accontentare, sembra, di tagli per circa 6 miliardi di euro, o meno dello 0,5% del Pil.

Chi preferisce guardare il bicchiere “mezzo pieno”, sarà certamente soddisfatto della sostanziale riduzione delle centrali di acquisto e l’introduzione, come regola, dei costi standard, una delle principali raccomandazioni del precedente commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, dimissionario dopo solo un anno in carica. In molti, preferiranno invece guardare il bicchiere “mezzo vuoto”, perché anche questa volta il nostro paese rimanda provvedimenti indispensabili e urgenti.

Per far ripartire la crescita della nostra economia c’è bisogno di una scossa che deve partire da una riduzione sostanziale e permanente della pressione fiscale e da uno spostamento della tassazione da impresa e lavoro a rendite, immobiliari e finanziarie, e consumi

L’Italia non cresce oramai da quasi venti anni, e l’ultima severa crisi ha sollevato il velo su un’economia sempre più in difficoltà. Le ragioni della crescita anemica sono molteplici: livelli di capitale umano inferiori a quelli di tanti altri paesi sviluppati, fisco esoso e concentrato su lavoro e imprese, debito pubblico molto elevato, istituzioni pubbliche (giustizia, mercato del lavoro, amministrazione pubblica, scuole e università) inefficienti, sistema creditizio che eroga finanziamenti non sempre secondo le logiche di mercato.

Bisogna sicuramente dare credito al governo Renzi di essere intervenuto su alcune di queste aree (in primis, mercato del lavoro e scuola). Tuttavia, per far ripartire la crescita della nostra economia c’è bisogno di una scossa che deve partire da una riduzione sostanziale e permanente della pressione fiscale e da uno spostamento della tassazione da impresa e lavoro a rendite, immobiliari e finanziarie, e consumi. Perché un intervento di riduzione della pressione fiscale sia percepito come permanente è indispensabile che sia accompagnato da una riduzione della spesa pubblica. Su questo fronte il Governo Renzi, come molti dei precedenti, ha purtroppo fallito.

Non solo i provvedimenti di riduzione della pressione fiscale vanno nella direzione sbagliata – riduzione delle imposte immobiliari invece che sui redditi da lavoro e impresa -, ma sono anche finanziati, sostanzialmente, a debito e quindi non saranno percepiti come permanenti.

Il fallimento del Governo Renzi, e dei vari commissari alla spesa pubblica che si sono alternati in questi ultimi anni, ci ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto difficile sia intervenire sugli interessi corporativi che intrappolano la nostra economia

Il fallimento del governo Renzi, e dei vari commissari alla spesa pubblica che si sono alternati in questi ultimi anni, ci ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto difficile sia intervenire sugli interessi corporativi che intrappolano la nostra economia. Nel corso degli anni, gruppi coesi e in grado di esercitare una pressione politica efficace, hanno basato il proprio benessere e sopravvivenza sulle inefficienze della spesa pubblica, e quindi sulle spalle dei contribuenti. Gli interventi di riduzione di spesa a spettro limitato sono tipicamente inefficaci: il gruppo di volta in volta colpito monta, infatti, campagne di stampa che tendono a descrivere la sua attività, o servizio erogato, come indispensabile e di livello elevato rispetto a standard internazionali, e i gruppi per quella volta, invece, risparmiati tendono a supportare pubblicamente quello meno fortunato convinti di ricevere un simile supporto se mai in futuro ce ne fosse bisogno.

Per ridurre con successo la spesa pubblica è molto meglio un intervento ad ampio raggio accompagnato da una riduzione simultanea delle tasse. In questo caso, nessun gruppo di interessi potrebbe fare la parte dell’unica vittima, e i contribuenti supporterebbero le scelte del governo perché avrebbero un immediato beneficio economico.

Basterebbe chiedere ai cittadini romani quante ore di lavoro l’anno perdono per l’inefficienza di Atac per comprendere che i benefici per il paese di un recupero di efficienza in questi settori avrebbe un effetto dirompente

Alcuni obietteranno che i tagli di spesa portano a una contrazione del prodotto. Ma questa tesi non convince: a parità di saldi di bilancio, una riduzione della spesa pubblica accompagnata da una riduzione delle tasse comporta uno spostamento di risorse tra diversi gruppi dell’economia. È possibile che i contribuenti decidano di spendere parte del maggiore reddito netto in beni esteri, mentre, in genere, la spesa pubblica tende a essere concentrata sul prodotto domestico e non sulle importazioni. Tuttavia, questo potenziale, piccolo, effetto negativo sarebbe controbilanciato dal recupero di efficienza e dalle minori distorsioni prodotte dal sistema fiscale. Altri, obietteranno invece che i tagli di spesa possono portare alla perdita di posti di lavoro.

Questa è una possibilità. Se, per esempio, le varie partecipate del settore del trasporto pubblico fossero gestite con logiche di mercato, probabilmente, alcuni perderebbero il proprio lavoro. D’altronde quando si parla, per l’Italia, di bassa crescita della produttività del lavoro si intende anche questo: risorse, come capitale umano e finanziario, allocate in maniera inefficiente. Basta, però, chiedere ai cittadini romani quante ore di lavoro l’anno perdono per l’inefficienza di Atac, l’azienda del trasporto pubblico della capitale, per comprendere che i benefici per il paese di un recupero di efficienza in questi settori avrebbe un effetto dirompente.

Una richiesta quindi al governo Renzi: ci dica chiaramente quali i suoi obiettivi di riduzione della spesa pubblica, per macro aree (pensioni, acquisti di beni e servizi, etc.), nei prossimi tre anni. In questa maniera, sarà possibile poterlo giudicare in base al raggiungimento, o meno, di questi obiettivi e valutare l’effettiva credibilità dei tagli di tasse in programma.