Riforma OrlandoBambini dietro le sbarre, la fine silenziosa dei tribunali dei minori

L’unica eccellenza della giustizia italiana, invidiata dall’Europa, rischia di sparire. A scapito della specializzazione di un settore molto delicato che finirà nel calderone confuso del sistema giudiziario italiano

Nel malandato panorama della giustizia italiana, i tribunali per i minorenni sono il fiore all’occhiello (forse l’unico) che tutto il mondo ci invidia. La Comunità europea ha imposto agli Stati membri di replicare il sistema italiano entro tre anni. E persino in Francia ci stanno copiando: in autunno arriverà addirittura una delegazione d’Oltralpe per studiare la nostra sospensione del processo con messa alla prova. Ma forse all’autunno i tribunali per i minorenni italiani non ci arriveranno nemmeno. Nella legge delega sulla riforma del processo civile, la presidente della Commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti ha presentato un emendamento, approvato a fine gennaio, che prevede l’abolizione dei tribunali e delle procure per i minorenni e la sostituzione con sezioni specializzate all’interno dei tribunali ordinari. In Europa dicono di fare come noi, e noi facciamo il contrario.

La riforma ora dovrà essere discussa al Senato. Ma la novità non piace a nessuno: né agli avvocati, né ai magistrati, né al terzo settore. In pratica tutti quelli che lavorano con i minori sono contrari. Perché, dicono, così si perde la specializzazione di questi tribunali, diluendola nel mare magnum caotico della giustizia italiana. Un adeguamento al ribasso, insomma, fatto per razionalizzare le risorse a scapito dei bambini.

Ad abolire i tribunali per i minorenni (29 in tutta Italia, con tre funzioni: civile, amministrativa e penale) ci aveva già provato nel 2003 l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli, provocando la reazione accesa dell’opposizione. Poi un anno fa in Parlamento si è cominciato a pensare a un ddl di riforma della giustizia minorile, coinvolgendo gli addetti al settore, tramite l’accorpamento delle competenze su minori e famiglia in un unico Tribunale della famiglia. Proposta che piaceva a molti. Ma che è stata poi improvvisamente scartata dall’emendamento Ferranti, calato dall’alto a sorpresa all’interno della riforma del processo civile firmata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.

Il disegno dell’emendamento è questo: ci saranno le sezioni specializzate circondariali, istituite nel tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello, che si occuperanno di divorzi, rapporti tra famiglia e minori e diversi procedimenti civili; e le sezioni specializzate distrettuali, istituite presso le corti d’appello, che si occuperanno, tra le altre cose, di adozioni, minori richiedenti asilo e anche dei procedimenti penali a carico dei minorenni. In pratica, il tribunale ordinario si occuperà di tutto. Unica “accortezza”: bisognerà istituire sezioni specializzate per minori e famiglie.

Nella legge delega sulla riforma del processo civile, la presidente della Commissione giustizia della Camera Donatella Ferranti ha presentato un emendamento, approvato a fine gennaio, che prevede l’abolizione dei tribunali e delle procure per i minorenni

Come tutta la giustizia italiana, anche i tribunali per i minorenni in questi anni hanno sofferto di forti carenze d’organico e da tempo chiedono un potenziamento. I dati del Dipartimento della giustizia minorile dicono che in totale ci vorrebbe almeno il 28% del personale in più. A Bologna si registra il tasso di scopertura record del 48 per cento. E nemmeno a Milano se la passano bene, visto che ci vorrebbe almeno il 15% di personale in più. Ma la riforma Orlando «non prevede alcuna spesa aggiuntiva per il personale», spiega Joseph Moyersoen, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano. «È una riforma ordinamentale a costo zero, che ha un valore analogo a zero. E non tiene conto dei problemi di organico».

Problemi che in questi anni hanno portato anche la giustizia minorile ad accumulare ritardi su ritardi. Prendiamo le adozioni nazionali: la legge prevede che il periodo per effettuare i controlli che portano il tribunale a decidere sull’idoneità dei genitori non debba superare i 120 giorni, ma i due terzi delle coppie impiegano tra uno e due anni.

«Con una tale carenza di organico, si riescono a gestire solo le questioni urgenti», ammette Moyersoen. «Le altre passano in secondo-terzo piano». Tranne per qualche tribunale, come Firenze, che si è ingegnato con formule organizzative da equilibristi, i fascicoli spesso finiscono per impolverarsi. In alcuni casi manca addirittura chi smista la posta. Solo a Milano, ad esempio, si celebrano circa 4mila procedimenti civili l’anno, a cui si deve aggiungere il carico penale, amministrativo e la gestione delle adozioni (nazionali e internazionali). Una mole di lavoro enorme. Il tutto per 16 giudici togati, presidente compreso, e 64 onorari. La situazione peggiora a Roma dove, dice Melita Cavallo, ex presidente del tribunale per i minorenni della Capitale oggi in pensione, «avevamo una scopertura del 40% del personale amministrativo». Cose che in termini pratici significa: ritardi nelle comunicazioni e nella consegna al giudice delle richieste delle parti, e relazioni dei servizi che non possono essere visionate in tempo utile. «Tutto ciò si ripercuote sui provvedimenti, che quindi non possono essere immediati, producendo così ritardi nelle decisioni», dice Cavallo.

Certo, i tribunali per i minorenni italiani, nonostante l’encomio da diverse parti del mondo, non sono perfetti. «Soprattutto nell’ambito civile, nei procedimenti sulle situazioni di pregiudizio del minore, dette di volontaria giurisdizione», dice Moyersoen, «non ci sono norme procedurali chiare, precise e dettagliate come invece accade per esempio per i procedimenti civili ordinari di separazione e divorzio, in cui viene rispettato il principio del giusto processo sancito dalla Costituzione. Questa carenza di norme procedurali è il vero nodo, che ha visto sollevare molte critiche, anche condivisibili, da parte degli avvocati». In tema di adozioni, ad esempio, ogni tribunale adotta i propri criteri. E anche nel funzionamento, da Nord a Sud, la situazione è a macchia di leopardo. «La carenza di personale interessa tutti. Ma ci sono i tribunali più virtuosi e quelli meno virtuosi», spiega Samantha Tedesco, responsabile advocacy della onlus Sos Villaggi dei bambini. «E anche per quanto riguarda le procedure di vigilanza sulle strutture di accoglienza, c’è chi lo fa davvero e chi invece si accontenta solo delle certificazioni che riceve».

Ecco perché tutti dalla riforma si aspettavano un miglioramento delle procedure. E invece, davanti alla scarsità di personale nel sistema giustizia, si è pensato di razionalizzare la spesa, recuperando organico dai tribunali dei minorenni e accorpando il tutto nei tribunali ordinari. «I tribunali per i minorenni andavano rafforzati, non depotenziati», commenta Tedesco. «Così si aggraverà la situazione: i fascicoli dimenticati aumenteranno e ci sarà ancora meno controllo. A scapito di una eccellenza italiana riconosciuta dall’Europa stessa».

Non solo. In questi anni, in zone di frontiera ad alta densità mafiosa come Napoli o Reggio Calabria, i tribunali per i minorenni sono stati anche uno strumento di prevenzione e rieducazione per i più piccoli. Non a caso più volte sono stati presi di mira da proiettili e intimidazioni. «Con l’accorpamento nei tribunali ordinari, si creerà un distacco maggiore che renderà più complicato il lavoro di prevenzione», dice Tedesco.

Come tutta la giustizia italiana, anche i tribunali per i minorenni in questi anni hanno sofferto di forti carenze d’organico e da tempo chiedono un potenziamento. A Bologna si registra il tasso di scopertura record del 48%, a Roma 40%

Finirà tutto in una sottosezione di un tribunale ordinario. E senza risorse aggiuntive. La riforma d’altronde, almeno per il momento, è a costo zero. «Di fatto in questo modo si perde l’autonomia del presidente del tribunale», dice Nicoletta Grieco, referente giustizia della Fp Cgil. «Tutto dipenderà dalla sensibilità del procuratore capo. E in una situazione di carenza d’organico generalizzata, il rischio è di far passare in secondo piano una materia delicata come quella relativa ai minori». E anche «la specializzazione dei magistrati che lavorano in questo campo finirà per perdersi. In presenza di altre necessità e di carenza d’organico, potrebbero essere usati come jolly in altri settori. Così viene meno la centralità del minore».

Non a caso, contro l’emendamento Ferranti sono intervenuti tutti i protagonisti della giustizia minorile italiana. Dall’Associazione italiana magistrati minori e famiglia all’unione delle camere minorili, dagli assistenti sociali agli psicologi. Ed è stata lanciata anche una petizione su Change.org, che ha raccolto l’adesione di nomi noti come Giuliano Pisapia e Gherardo Colombo. La riforma renderà la giustizia minorile incapace di trattare bambini e adolescenti come tali, ha detto il magistrato di Mani Pulite, assimilandoli agli adulti. E riportandoci di fatto indietro di 50 anni.

«L’emendamento dice che le questioni minorili vengono affidate alle sezioni specializzate», spiega Paolo Tartaglione, pedagogista e promotore della petizione. «Chiunque lavora nei tribunali davanti a questa affermazione si fa una grossa risata. Le sezioni speciali non le ha mai fatte nessuno. Prendiamo la legge del 2012 che equipara i figli naturali, legittimi e adottivi. Anche in quel caso si parlava di sezioni speciali. Ma a distanza di quattro anni, la sezione speciale c’è solo a Milano. Il risultato è che a occuparsi di separazioni molto delicate sono giudici che non hanno nessuna specializzazione sui minori. Un giorno si occupano di incidenti stradali o aziende e il giorno dopo di bambini. La stessa cosa accadrà sulla legislazione minorile se la riforma dovesse passare anche al Senato».

I tribunali italiani dovranno quindi occuparsi di tutto, dove tutto il resto è preponderante rispetto alle questioni dei minori. Che diventeranno solo fascicoli qualsiasi in mezzo al caos. Servono magistrati specializzati, ripetono tutti. «I casi di violenza sessuale su un bambino o la decadenza della responsabilità genitoriale sono cose che cominci a imparare dopo dieci anni che fai solo questo», spiega Tartaglione. «Ma in un tribunale per minori un giudice può lavorare anche per 30 anni. In quelli ordinari ogni dieci anni si è costretti a cambiare».

Lo conferma anche Melita Cavallo, che per trent’anni si è occupata di minori, avendo anche presieduto la Commissione per le adozioni internazionali: «Il rischio che si corre con questa riforma è soprattutto la perdita di specializzazione», dice. «Servirebbe una formazione continua di coloro che vanno a lavorare nei tribunali ordinari in modo da essere sicuri che sarà salvaguardato l’interesse superiore del minore, indicato come obiettivo prioritario dalle convenzioni internazionali che abbiamo ratificato». In questo campo la competenza è centrale. E non basta un corso di formazione. Bisogna saper parlare con i bambini, interpretare segni e comportamenti. E soprattutto, aggiunge Melita Cavallo, «si impone che il presidente del tribunale ordinario sia sensibile alle tematiche che coinvolgono e incidono sulle famiglie e i loro figli». Quando la Cavallo ha assunto la presidenza del Tribunale per i minorenni di Roma, ha chiesto che la procedura per decidere l’adottabilità del bambino venisse svolta davanti al collegio – composto da due giudici togati e due onorari – e il pubblico ministero, anziché davanti a un unico giudice delegato. In questo modo, a giudicare con attenzione la vita delle persone, c’erano quattro giudici e il pubblico ministero, che potevano ascoltare e guardare in faccia gli interessati. Cosa di non poco conto quando si trattano materie così delicate. «Ma se fossi stata presidente della sezione in un tribunale ordinario, il presidente avrebbe potuto non approvare la mia proposta, contestandomi che tutto questo non era possibile per questioni di organico», dice Cavallo. Ecco qual è la differenza.

«Quello che speriamo», continua, «è che almeno i giudici onorari esperti restino numerosi nei tribunali distrettuali. Per il resto i tribunali ordinari non distrettuali, per assumere le loro decisioni, non avendo esperti in materia, delegheranno le decisioni ai consulenti tecnici d’ufficio, con aggravio di spesa per lo Stato e per le parti, costrette a sostenere l’onere di un consulente tecnico di parte». Tutt’altro che una razionalizzazione della spesa.

Servirebbe una formazione continua di coloro che vanno a lavorare nei tribunali ordinari in modo da essere sicuri che sarà salvaguardato l’interesse superiore del minore, indicato come obiettivo prioritario dalle convenzioni internazionali che abbiamo ratificato

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