C’è una cosa che l’Isis e un piccolo quotidiano online come Linkiesta hanno in comune. E c’entra il marketing. Detta così è forte, ma rischia di essere l’unico modo di provare a rendere più comprensibile, e nello stesso tempo più preoccupante, la dinamica terrorista che sta investendo mezzo mondo e che sempre più spesso ci sta colpendo vicino.
Ciò che unisce il più importante nemico dell’ordine mondiale delle ultime tre generazioni e uno dei tanti piccoli media online che cercano di sopravvivere alla crisi del giornalismo? La strategia delle cosiddette “interazioni spontanee”, una strategia che fa parte del marketing ai tempi del web e che Roberto Recchioni, mettendole proprio in relazione con il terrorismo, ha definito qualche giorno fa come «le attività nate spontaneamente attorno a un prodotto o un’opera. Tipo quando un fumettista fa un disegno dedicato a un film e lo condivide solo perché gli è piaciuta la pellicola e non perché è pagato».
Interazioni spontanee, ovvero il metodo migliore, per il marketing del giornalismo come per quello del terrorismo, di massimizzare la propria resa a parità di sforzi.
Partiamo da Linkiesta, che per raggiungere il proprio obiettivo, che è la diffusione massima dei propri contenuti sul web, pubblica ogni giorno decine di post su Facebook. Facebook, per sua strategia, limita quanto possibile l’interazione dei post della pagina de Linkiesta a una parte minima del suo pubblico di likers. La strategia di limitazione del bacino di utenza della pagina de Linkiesta su Facebook viene aggirata solo in un caso: quando si diffonde grazie alle interazioni spontanee degli utenti.
L’algoritmo di Facebook, infatti, appena aggiornato per favorire i profili personali rispetto alle pagine, può tenere a bada facilmente le interazioni dirette tra la pagina ufficiale de Linkiesta e i suoi fan. Quello che non può fare è tenere a bada quegli stessi contenuti quando sono postati in maniera indipendente dai singoli utenti che, apprezzando il contenuto, lo fanno girare tra la loro cerchia di amici. Queste sono interazioni spontanee e sono allo stesso tempo imprevedibili, sincere e persuadenti. Se poi queste interazioni superano la massa critica necessaria diventano virali, e Facebook, in teoria, non ci può fare quasi niente.
Passiamo all’Isis, il cui obiettivo invece è quello di terrorizzarci fino a farci implodere in un calderone autoritario. Per terrorizzarci l’Isis può organizzare direttamente attentati, ma costituire delle cellule direttamente collegate con la base, addestrarle, armarle e farle agire comporta tanto tempo, tanti soldi e tanto rischio di venire fermati dai servizi segreti di mezzo mondo. Senza contare che in Siria e in Iraq le cose per loro si stanno mettendo male: hanno meno territorio, raccolgono meno tasse, vendono meno petrolio, hanno meno soldi. Ormai ha un solo modo per vincere la guerra, per risparmiare tempo, denaro e rischi inutili: puntare sulle interazioni spontanee.
Per i nostri apparati di sicurezza, sventare un attacco come quello a Charlie Hebdo, dove c’era un obiettivo noto anche alle forze di sicurezza francesi e un commando di persone che erano state in Siria ad addestrarsi e che quindi avevano lasciato tracce dei loro viaggi, rientra nel campo delle possibilità. È difficile, richiede intelligence, cooperazione tra polizie e un sacco di altre cose, ma si può fare, è il loro lavoro.
Quello che i nostri apparati di sicurezza non possono prevedere né sventare sono gli attentati che l’Isis, semplicemente, non organizza, ma che cavalca. Quelli portati a termine da individui singoli, solitari, disagiati, spesso emarginati dalla nostra società, gente che poco ha a che fare con lo Stato islamico, ma sicuramente carica di rabbia e frustrazione. Ingredienti che rappresentano il perfetto innesco per la follia omicida che c’è dietro a un attentato come quello di Nizza, per esempio.
Proprio per quanto riguarda Nizza. È notizia di poche ore fa che, dopo 36 ore dai fatti, il servizio di comunicazione dell’Isis ha pubblicato un messaggio che non rivendica la preparazione e la messa in atto, ma semplicemente si intesta l’ispirazione. Per l’Isis è stato comodo: si è trovata una strage già fatta, quasi cento morti durante la notte del 14 luglio in Francia, la notte della festa nazionale, della Liberté, Egalité, Fraternité. Un colpo durissimo. E poco importa che se la sia trovata già fatta ad opera di un personaggio che, tra la giungla di disagi da cui era afflitto, non sembrava molto credibile come integralista islamico.
Perché anche nei casi in cui l’attentatore si dovesse rivelare completamente estraneo all’Isis, il risultato non cambia. Perché, sempre prendendo in prestito dalle tecniche del web marketing, anche con il terrore basta fare della content curation, ovvero sfruttare il lavoro fatto da altri, ripubblicandolo mettendoci sotto la propria firma.
L’importante, per l’Isis, non è certo la purezza dei propri martiri, tanto più se questi hanno fatto tutto da soli. L’importante per l’Isis è conseguire l’obiettivo: il nostro terrore. E a giudicare da come ce la stiamo raccontando in questi giorni, sembra che non riusciamo a fare nulla per evitarlo.