La questione Eastwood è proprio molto semplice: Clint è sempre Clint, siamo noi che abbiamo perso la brocca. Per capirlo basta leggerla veramente quell’intervista di Michael Hainey pubblicata su Esquire che in queste ore sta facendo indignare ogni anima bella e professoressa democratica del Belpaese. Anzi, probabilmente non serve nemmeno andare oltre la prima domanda, quando il giornalista di Esquire gli chiede se, per i tempi che stiamo vivendo, necessitiamo di uomini integri come il Sully, pilota eroe protagonista del suo ultimo film.
«Be’, certo», risponde Eastwood, «se ne sente parecchio la mancanza oggi. Qua fuori è proprio una casa di matti. Come fai a stupirti? Ma che cazzo! Sully dovrebbe correre per la presidenza, mica questa gente». E quando Eastwood dice questa gente, intende sia Trump che Clinton. È per questo che, qualche domanda più in là, è molto esplicito nel negare l’endorsement a entrambi: «I haven’t endorsed anybody. I haven’t talked to Trump. I haven’t talked to anybody».
L’unica cosa di cui c’è da stupirsi, se proprio non ci riesce di star calmi nemmeno ad agosto, al limite è proprio il mancato endorsement ufficiale e la diserzione della convention repubblicana da parte del più repubblicano dei registi americani, quello stesso Clint Eastwood che sostenne Nixon e Eisenhower e che, nel 2012, mise in piedi lo spettacolino della sedia vuota per perculare Obama. Spettacolino che, altro motivo di potenziale scoop, se proprio ne siete in cerca, in questa stessa intervista Eastwood rinnega in parte e bolla come “silly thing”, una cazzata, insomma.
Non c’è niente in questa intervista che faccia emergere un Clint Eastwood diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere negli anni. Al contrario, è tutto talmente eastwoodiano che verrebbe voglia di alzarsi e andargli a stringere la mano, a Clint, per quanto riesca sempre ad essere coerente con se stesso.
Insomma, Clint è sempre Clint, ed è sempre rimasto lì, seduto sulla robusta sedia a dondolo della sua coerenza, con le sue idee e il suo winchester a portata di carezza, a scrutare i confini della sua proprietà e ad aspettare la notte.
Forse siamo noi, quelli che si stupiscono e si indignano, che nel frattempo ci siamo spostati. Siamo noi che siamo ormai consumati da anni di faide da tastiera. Siamo noi ad essere in piena sindrome traumatica da flame, con i nervi ormai scoperti a furia di quotidiane scaramucce contro l’esercito invisibile dei viet-troll. Siamo noi che non riusciamo più a toglierci di dosso la divisa da professionisti dell’indignazione, o, per dirla come la dice Eastwood con un linguaggio preso in prestito da Gunny, una “kiss-ass pussy generation”, una generazione di fighette e di baciaculi.
«Vedi», diceva un impolverato e Biondo Clint Eastwood a un altrettanto impolverato e Brutto Eli Wallach alla fine di quel capolavoro de Il buono, il brutto, il cattivo, «il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi». Sono passati cinquant’anni da quei giorni, il mondo si divide ancora nelle stesse due parti, la pistola ce l’ha sempre lui e a scavare sono sempre gli stessi minchioni.