Occident Ex-PressCosa si nasconde dietro la rosa di un “Bangla”?

Palazzi milanesi della famiglia Gucci, società rumene e operazioni di sorveglianza delle moschee. Quando compriamo una rosa per strada da un “bangla” (che magari è del Pakistan) c'è un po' di tutto questo

«Capo, venti euro tutte rose!». Lo avrà detto un’altra trentina di volte in questo sabato sera. Lui o qualcun altro come lui. In Porta Romana, in corso Como, all’Arco della Pace. Non ha ancora finito la frase che già sul suo viso si intravede una smorfia di delusione per il rifiuto categorico del “capo”. «No grazie» gli rispondiamo quando va bene. «No sparisci» quando va male, magari condendo il tutto con epiteti e sarcasmo non proprio gradevoli.

Li chiamiamoBangla”. Un po’ in tono dispregiativo, un po’ perché non conosciamo la geografia e nemmeno ci interessa colmare questo vuoto. Vengono da Pakistan, Sri Lanka, India e sì, certo, anche Bangladesh. Camminano per le strade delle nostre metropoli e vendono rose a San Valentino (e tutto l’anno), mimose a prezzo di saldo per l’8 marzo, istantanee fotografiche sgranate ai ragazzi che festeggiano la laurea nei locali, cartine e filtri per i fumatori con problemi di memoria che si sono dimenticati a casa la materia prima. I “bangla” sono insistenti, non demordono, dei piazzisti dal talento innato che sognavano di fare un altro mestiere. Come quelli che sono arrivati negli anni ottanta-novanta, prima che “immigrato” diventasse una brutta parola, che l’italiano ora lo masticano alla grande – qualcuno s’è pure fatto la partita Iva ed è a tutti gli effetti imprenditore. Che lavora, che produce, che fa affari.

«Capo, venti euro tutte rose!» Li chiamiamo “bangla”, un po’ con disprezzo. Vendono rose e sigarette per le strade della città. Dove vivono? In una casa della famiglia Gucci

Gli “affari” dei rosai di oggi invece sono diversi. E fra quelli di Milano compaiono anche cognomi di grido e gente altolocata, di quella che non incontri al supermercato. Addirittura gli eredi della famiglia Gucci, i consanguinei che amano spendere il proprio denaro in parcelle di avvocati per suonarsi grandi mazzate in tribunale. Già, perché sono centinaia i “bangla” che vivono in una delle loro proprietà: via Bruschetti 11. Un bel palazzone: 100 locali fra appartamenti, box e negozi ormai caduto in disgrazia. Quartiere degradato – si penserà all’istante. Non proprio. Siamo a quattro passi da quella via Gluck che scatenava la nostalgia di Adriano Celentano perché “là dove c’era l’erba ora c’è una città”. A dieci minuti da stazione centrale, a 100 metri dalla discoteca “Tunnel”, a dieci metri, di numero, dallo storico pub “Rock’n’Roll”– in passato un tempio di birra e metallari meneghini.

La proprietà? Silvana Barbieri Reggiani attraverso le sue società controllate, la Mauzia e la VOR. Se questi nomi non vi dicono nulla forse vi dirà di più il nomignolo che le hanno affidato le cronache: “Nonna Gucci”. Madre di quella Patrizia Reggiani che è uscita settimana scorsa da San Vittore dopo essere stata condanna a 26 anni di carcere – scontati a 17 – come mandante dell’omicidio di suo marito, Maurizio Gucci, ucciso a pistolettate nel 1995 in via Palestro.

Fin qui la proprietà. E quanto pagano i “bangla” in via Bruschetti al civico 11? 150 euro al mese per l’alloggio, altri 100 mensili per il vitto. Con il servizio in camera, visto che ogni appartamento è munito di un “bangla-cuoco”. Mica male la vita del rosaio, verrebbe da dire. Peccato che per abitare nel luogo del cuore del “molleggiato” ci siano dei compromessi da accettare: per esempio quello di dormire su turni, mangiare su turni e pregare su turni. Già, perché 150 euro a Milano sono un affare da non lasciarsi scappare. Lo sono meno, però, quando scopri che il trilocale va diviso con altri 15 come te, tutti “regolarmente” sub-affittuari in nero di quello col contratto. Si rischia la scabbia ogni giorno – è stato rilevato il primo caso (noto) pochi giorni fa. Al mattino c’è da fare carico-scarico con i sacconi di riso e spezie che sono il piatto forte (e unico) del menù di questo “ostello” per poveracci.

Via Bruschetti 11: là dove c’era l’erba ora c’è un ostello per poveracci e nuovi schiavi. 150 euro al mese a testa, in 15 in un trilocale. La proprietà? Silvana Barbieri Reggiani, “Nonna Gucci”, madre di quella Patrizia Reggiani uscita dal carcere settimana scorsa

Un ostello redditizio però. Al commissariato di Polizia di Garibaldi-Venezia, dove di questa situazione borderline sono informati da diversi mesi, hanno preso una calcolatrice e si sono fatti due conti. Hanno scoperto che quel palazzo rende ogni anno più di un milione di euro. Strano. Perché “Nonna Gucci” nelle memorie difensive rilasciate ai magistrati milanesi il 7 luglio del 2015, per uno dei fascicoli della procura che la vedeva coinvolta in reati fiscali, non faceva altro che piangere miseria: “[…] A causa della crisi economica e la difficoltà a locare adeguatamente le unità abitative, il cespite di via Bruschetti e il capannone di via Fantoli (un altro degli immobili riconducibili alle sue società, ndR) hanno richiesto molte spese, per cui ho dovuto non solo rinunciare ai miei emolumenti come amministratore ma anche finanziare con il mio personale patrimonio la società Mauzia […]”. Il riferimento è a 400mila euro che Silvana Barbieri avrebbe dovuto sborsare di tasca propria, nel 2010, per coprire i buchi della società.

“Ho ricevuto ultimamente (2015 ndR) ottime offerte per via Bruschetti ma ho comunque deciso di non venderlo per il valore affettivo che tale immobile riveste per me”


Silvana Barbieri Reggiani, “Nonna Gucci”, memorie difensive

Il mattone non rende insomma. Ma di provare a vendere non se ne parla proprio. “Ho ricevuto ultimamente (2015 ndR) ottime offerte per via Bruschetti ma ho comunque deciso di non venderlo per il valore affettivo che tale immobile riveste per me” si legge in un altro passaggio del memoriale.

L’arzilla novantenne con una memoria di ferro – così giura chi la conosce – si meraviglierebbe nello scoprire di non essere l’unica persona affezionata a via Bruschetti. Un signore, che abita all’ultimo piano del complesso, ha trovato in questo pregiato immobile milanese la sua nuova dimora. Si è fatto edificare una sorta di attico pacchiano, con vista sul Pirellone. Lui, nel palazzo, fa il bello e il cattivo tempo. Tanto che un giorno si è svegliato e ha fatto installare nell’atrio del cortile una stella gigante. Una stella in simil-oro appesa alla volta d’ingresso. È un’altra pacchianata assurda ma un motivo c’è. Quello è il suo simbolo visto che già in Romania era proprietario di una società chiamata Star Entertainment. Il settore di lavoro? “Modelle, spettacolo e intrattenimento” recitava la ragione sociale nell’iscrizione alla Camera del Commercio di Bucarest. Prima che la società fosse liquidata in fretta e furia fra il 25 maggio e il 2 giugno dell’anno scorso. Ma i contatti con le ex dipendenti sono tutt’altro che conclusi a giudicare da quanto usa il telefono

Società rumene domiciliate a Bucarest di “Modelle, spettacolo e intrattenimento”. C’è spazio anche per queste nell’immobile di via Bruschetti

Bene, all’ombra delle rose abbiamo a che fare con un mix di schiavismo, abusivismo e degrado. Di chi sono le colpe? Come al solito di nessuno. Le Reggiani e il loro Amministratore di condominio – Adriano Massano, incaricato dalla famiglia poco meno di quattro anni fa, proprio quando Patrizia Reggiani cominciò a fare dentro-fuori dal carcere grazie al regime di libertà vigilata e affidamento ai servizi, sperperando una fortuna in estetisti e sartorie ad ogni sua uscita dalla cella – giura(va)no di non saperne niente. Mai visti i “bangla”, mai sentito parlare. Strano anche questo. Visto che da anni ricevono segnalazioni da quei pochi inquilini regolari del condominio.

Una lettera l’hanno ricevuta anche dal Sunia, il sindacato inquilini della Cgil. Che conosce bene il plesso visto che fino al 2007 – quando ancora questa situazione non esisteva – era posseduto da una curiosa alleanza: quella fra le eredi di Maurizio Gucci e la Finsoe, la finanziaria che controllava la Unipol di Giovanni Consorte e che si trovava a braccetto con la Cgil di Guglielmo Epifani, per esempio, nell’azionariato del Centro congressi romano di via Frentani. “Come avranno fatto le coop rosse a trovarsi in affari con Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci” si domandava Sergio Rizzo all’epoca nella sezione economia del Corriere della Sera. Bella domanda. E come avranno fatto le Reggiani e il loro Amministratore di condominio a ignorare la situazione attuale? Le prime due hanno delle attenuanti: Patrizia era in carcere mentre la madre era così affezionata all’immobile di via Bruschetti da essersi trasferita a Montecarlo – dal ’76 ha la cittadinanza monegasca – dove si era ritirata in un esilio d’oro per sfuggire alle pressioni dei processi e delle beghe familiari. Meglio la piacevole compagnia del Principe – racconta lei stessa.

Nel 2007 il palazzo era gestito a metà dalle Reggiani e la Finsoe, la finanziaria che controllava Unipol. “Come avranno fatto le coop rosse a trovarsi in affari con Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci” si domandava Sergio Rizzo sul Corriere

E l’amministratore del condominio? Anche lui non sapeva nulla?. Parrebbe di sì. Troppi i chilometri che separano via Bruschetti da viale Papiniano, dove il signor Massano ha l’ufficio. Non se ne è proprio accorto. Oggi invece è stato informato. Dalla polizia del commissariato di Garibaldi. Alla presenza di un avvocato. E ha preso dei provvedimenti immediati: disporre la revoca del contratto d’affitto. Un’ottima mossa. Solo che lo ha fatto nei confronti di due dei regolari inquilini che avevano denunciato per mesi, assieme ad altre 12 famiglie sia italiane che straniere, il racket e l’abusivismo che avveniva da quelle parti. Ha preferito fare orecchie da mercante.

E la polizia allora? Interverrà la cavalleria dopo le denunce? Anche qua: non proprio. Ci sono equilibri a Milano. Equilibri che non possono essere turbati. Quelli del famoso “modello Milano”, città calorosa e accogliente con i migranti, almeno nella narrazione. E far emergere la polvere da sotto il tappeto può creare più di qualche imbarazzo e fastidio anche ai livelli alti. Al neo Questore Cardona, al Prefetto, all’assessore Rozza alla sicurezza. Di avere altri 500 stranieri per strada – anche se dove stanno ora vengono trattati come bestie – proprio non va a nessuno. Non in zona stazione Centrale, luogo principe della propaganda della Lega Nord milanese e dei vari grupposcoli dell’estrema destra. E allora meglio un basso profilo e operazioni di intelligence, come le chiamano gli agenti: il dossier su via Bruschetti è sulla scrivania del dott. Massimo Cataldi, primo dirigente, ma sono altri a fare il lavoro sporco – “sbirri” di strada più che da scrivania. E l’intelligence? Ecco: i “bangla” non vendono solo rose. Ma vanno a pregare in moschea: in zona stazione Centrale, in Ripamonti, un tempo in via Quaranta. Alla sera. Sono dei buoni e ferventi musulmani e la comunità è molto attiva dal punto di vista religioso. E qualcuno nelle forze dell’ordine ha pensato, dopo la schizofrenia e i sospetti che il caso Anis Amri, il terrorista di Berlino ucciso a Sesto San Giovanni ha sollevato in Lombardia, che sia una buona idea seguire quel “filone” per vedere dove conduce.

Per il momento conduce solo a un «Capo, venti euro tutte rose!»

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