Alitalia e altri disastri: perché si dice che pagherà Pantalone?

Le origini del modo di dire sono legate alla celebre maschera della commedia dell’arte veneziana. Ma forse sarebbe nata in tempi piuttosto recenti, cioè nel XIX secolo

Alitalia è una vicenda piena di misteri: come hanno fatto a buttare tutti quei soldi, come hanno fatto a fallire tre volte in otto anni, chi sono i responsabili, e soprattutto come andrà a finire. Sono questioni dibattute. Nessuno però si concentra su un particolare importante e ricorrente, che emerge nelle dichiarazioni degli interessati, nei commenti, negli articoli di giornali: chi sia Pantalone. E, soprattutto, perché debba sempre pagare lui.

Lo dice chiaro e tondo lo stesso ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda: “Un pezzo di sindacato ha fatto circolare l’idea che poi alla fine paga Pantalone”. Lo si ripete qui, addirittura nel titolo: Alitalia/Pantalone paga per evitare guai in campagna elettorale. Repubblica, qualche giorno dopo, dà una linea diversa: Pantalone non paga più. Ma, come spiega Massimo Giannini, solo perché “è morto”. Povero Pantalone.

Ma perché paga sempre? Il detto significa, nel caso specifico, che finora è stato lo Stato a far la parte di Pantalone, cioè quello che ha dovuto versare i soldi per ripianare le perdite della compagnia. Pantalone è il riccone, cornuto e mazziato, costretto a pagare di tasca propria anche per altre perso. Sembra facile, eppure la questione è più complicata.

Pantalone era una maschera della commedia dell’arte, nata a Venezia e chiamata a rappresentare la figura del mercante vecchio, avaro e lussurioso. Quest’ultimo è il tratto dominante delle origini. Pantalone (nome tipico dei giovani della Venezia bene del periodo) veniva ritratto spesso nell’attività, poco nobile, di inseguire fanciulle, di corteggiare le ragazzine e di porsi in rivalità con i protagonisti maschi nelle commedie amorose. Perfino Shakespeare ne utilizza uno: nella Bisbetica domata appare Gremio, vecchio riccone della città, pretendente di Bianca e destinato all’insuccesso. Nella didascalia iniziale viene definito “a Pantaloon”.

Solo con le commedie di Carlo Goldoni, cioè nel XVIII secolo, il personaggio perde i suoi caratteri più lubrichi e si trasforma nel tipico padre burbero e brontolone (come appunto Sior Todero Brontolon), restando sempre vivo nel quadro della commedia dell’arte, fino addirittura a raggiungere il dramma borghese (al prezzo, però, della cadenza veneziana). Pantalone è uno dei pochi personaggi (ex maschere) che riesce a sopravvivere a tre secoli di teatro. Addirittura, è dal suo nome che deriva la parola “pantaloni”, per indicare i calzoni (attraverso la mediazione dei rivoluzionari francesi, che si ispirarono ai vestiti della maschera per dare il nome al nuovo capo).

Insomma, una celebrità. Ma nonostante tutta questa fama, perché alla fine è lui che deve farsi carico delle spese degli altri? Secondo alcune ricostruzioni tutto risalirebbe alla fine del XIV secolo, quando per le spese di guerra sostenute da Pisa, Ferrara e Napoli contro i francesi e contro i turchi (anche se non è ben chiaro di quali guerre si tratti) dovette intervenire Venezia, ricchissima, a salvarle dal dissesto.

Molto più probabile, in realtà, che il detto sia più recente e che risalga all’inizio del XIX secolo. Sarebbe stato ispirato a una vignetta satirica – una di quelle, moltissime, che si diffusero al tempo della caduta della Repubblica di Venezia. Venivano raffigurati i patrizi di Venezia che fuggivano da un’osteria di Campoformio (ora Campoformido, dove si firmò il trattato che sancì la fine di Venezia contro Napoleone), e l’albergatore che li aveva alloggiati che li inseguiva: “Chi mi paga?”. Gli rispondeva, dalla serpa della carrozza, Pantalone in persona, “Amigo, pago mi!”. A indicare che dei danni degli aristocratici che fuggono dovranno occuparsi gli altri, cioè quelli che restano, cioè il popolo.