La rivoluzione digitale permea ormai tutte le frontiere del business e ha subito un’accelerazione fortissima nell’ultimo decennio, coincidente con l’apparizione dell’iPhone e con i primi scricchiolii del mercato finanziario poi trasformatosi nello tsunami che conosciamo. È stata un’accelerazione che ha colto di sorpresa il sistema delle imprese, obbligate a ridefinire il modo di conversare con i consumatori.
Da messaggi monodirezionali si è passati a conversazioni orizzontali, peer to peer. Il potere si è trasferito alle persone, con i rischi connessi per le imprese di perdere il controllo delle informazioni che le riguardano. Nell’infosfera e nella società sempre connessa (il 74% degli italiani lo è dal lunedì al venerdi e il 69% nel weekend, secondo Ipsos) i social media dettano l’agenda.
Ma qual è il livello di interazione con questi canali da parte delle imprese? Qual è l’efficacia dei social media nelle strategie aziendali? Una risposta è arrivata, durante l’assemblea Ibc (Associazione delle Industrie Beni di Consumo), da Guido Di Fraia, direttore esecutivo del master Iulm in social media marketing, che ha illustrato i risultati dell’indagine condotta sul grado di socialmediability di un panel di imprese di diversi settori, tra i quali il largo consumo, le cui attività digitali sono state osservate nei mesi di gennaio e febbraio.
Troppa autoreferenzialità sui social
Per quanto riguarda le attività web, delle 310 aziende indagate (cinquanta per settore più dieci della Gdo), solo il 4% non ha un sito di brand o istituzionale e il 31% non è presente in un social network, con differenze importanti tra i vari settori: se tutti i dieci retailer della Gdo hanno una presenza social, il 15% delle aziende alimentari, il 48% di quelle del cura persona e il 63% del cura casa non ce l’hanno. Abbastanza simile è la situazione riguardo all’integrazione tra sito web e canale social.
Ovviamente Facebook, YouTube e Twitter sono i canali più utilizzati, ma l’8% del panel delle aziende e il 13% di quelle del largo consumo non è stata attiva su Facebook nei mesi di osservazione, percentuale che cresce al 14% e al 19% su Twitter. E quando lo sono – in maniera non strategica, continuativa e coordinata – adottano un atteggiamento autoreferenziale, più incline a parlare di sé (66%) e a promuovere il prodotto (48%) che a invitare a fare qualcosa (27%) e a generare engagement (18%). Il tutto con un linguaggio più pubblico e sociale, tipico della pubblicità classica sui mezzi tradizionali, che intimo e personale, adatto alle conversazioni sui social.
Figura 1 – Strategia di gestione della pagina Facebook (sul totale delle aziende che usano Facebook)
«Essere presenti sui social e non essere attivi è peggio che non esserci. Per questo mi sento di dire a chi guida le imprese: se non siete preparati all’esperienza social, tenetevi lontani fino a che non avrete messo in campo le giuste risorse e la giusta preparazione»
«Da un lato è preoccupante vedere tante aziende presenti sul web che non hanno un canale social», commenta Luca Colombo, country manager Facebook Italia. «Ma essere presenti sui social e non essere attivi è peggio che non esserci. Per questo mi sento di dire a chi guida le imprese: se non siete preparati all’esperienza social, tenetevi lontani fino a che non avrete messo in campo le giuste risorse e la giusta preparazione».