L’uomo è un animale strano, per certi versi incomprensibile anche ai suoi simili. Tende, per dire, a creare realtà alternative, spesso in solitaria o in micro-comunità, finendo poi per crederci al punto di dare per scontato che anche gli altri esseri umani comprendano tic, entusiasmi, disperazioni, insomma, il linguaggio e le posture che solo chi a quella micro-comunità appartiene, in verità, può decifrare.
Pensateci, tornate alla gita della terza media. C’eravate voi, consci che dall’anno successivo la faccenda sarebbe in qualche modo cambiata, sparpagliati fuori dal quartiere, in scuole diverse, con gente diversa. Consci, si fa per dire. Avevate intuito che la faccenda sarebbe cambiata, ma ancora non ne conoscevate bene le dinamiche, gli equilibri. Comunque quella era la vera ultima occasione per divertirvi coi vostri amici, con quelli coi quali avevate conosciuto l’adolescenza, con tutto quello che ciò comporta. Avevate quindi, inconsapevolmente, deciso di dar vita a dei tormentoni usa-e-getta, roba buona solo per i corridoi dell’albergo e per le ultime file del pullman che vi aveva portato da Ancona a Trani, ogni riferimento è puramente casuale. Dicevate una certa frase e via, tutti a ridere, anticipando di anni, decenni addirittura, quello che poi sarebbe stato Zelig, tanto voi avevate Drive In. Bene, nel mio caso c’era il compagno di classe casinista, Giampiero, che sapeva dire Abracadabra con un rutto, ben prima del Wyoming di Ovosodo. Ruttava Abracadabra e via, tutti a ridere. E tutti a provare a fargli il verso, senza per altro riuscirci. Ma grandi risate matte. Poi, ovviamente, una volta finita la gita, una volta tornati a casa, tutti a provare a ruttare a tavola Abracadabra, di fronte ai nostri cari agghiacciati da questo gesto ridicolo, se non schifati. E noi lì a spiegare loro che si trattava di una cosa divertentissima. Così non era, se non per noi, quelli della gita Ancona-Trani, delle ultime file del pullman.
Ecco. Torniamo a un discorso più generale. Le micro-comunità tendono a cantarsele e suonarsele da sole. E coi social tendono a cantarsele e suonarsele da sole, ma di fronte agli altri. Magari ad altri che li stanno pure a sentire, che credono loro.
Arriviamo al cuore della faccenda. La scorsa settimana è andata in scena la grande gita di terza media dell’indie italiano che risponde al nome di Mi Ami, all’Idroscalo di Milano. Un festival che imperversa da anni, in cui passano tutti quelli che, in un modo o nell’altro, sono diventati o stanno per diventare nomi che contano di quella scena, che proprio al Mi Ami si autoalimenta. Per altro inscenando meccanismi perfettamente simili al mondo che in qualche modo indica, o almeno indicava, finché i protagonisti dello stesso Mi Ami non hanno cominciato a tenere i piedi nelle tradizionali due paia di scarpe, come il mondo a loro alternativo, se non antagonista, quello dei talent. In sostanza, ti racconti che Tizio è un talento, un artista, una star. Fai girare il nome, lo gonfi, ne impari tic e ritornelli, finché Tizio non diventa un talento, un artista, una star. La differenza è solo nei numeri, ovviamente, e in alcuni casi nell’incidentale talento di chi transita in un mondo più frequentemente che nell’altro. Ma la storiella è la medesima, che si tratti di Rockit o di Maria De Filippi.
Ma Liberato ha dalla sua una carta, nessuno sa chi è. Non nel senso che nessuno se lo caga, anche. Ma nel senso che è un personaggio misterioso. Non sappiamo il suo vero nome, la sua faccia. Così cantandosela e suonandosela ecco che i tre o quattro gatti che animano la scena fanno crescere l’hype del progetto Liberato
Quest’anno la gita della terza media del Mi Ami aveva come suo picco di interesse lo svelamento del mistero Liberato. Chi è costui? A saperlo. Nei mesi scorsi sono usciti due singoli di questo rapper/cantante presumibilmente napoletano, Liberato. 9 maggio, prima, e Tu t’e scurdat’ ‘e me. Due canzoni anche caruccie, melodie tipicamente partenopee, suoni contemporanei, roba interessante. Ma niente di eccezionale. Per dire, Anna se sposa del primo Gigi D’Alessio aveva un testo decisamente più interessante, con quel potentissimo ritornello “Anna si è ‘o vero t spuse/ cu nato int’a chiesa faje scem’a Gesù/ Nun te scurdà quaa vote ‘e pregato pe’ mme/ Chillo s’incazza all’inferno si more/ decide che t’ha da mannà/ e manco chiù in Paradio cu me mano a mano te pozzo tenè”, è molto più sperimentale e letterario di Liberato. Ma Liberato ha dalla sua una carta, nessuno sa chi è. Non nel senso che nessuno se lo caga, anche. Ma nel senso che è un personaggio misterioso. Non sappiamo il suo vero nome, la sua faccia. Così cantandosela e suonandosela ecco che i tre o quattro gatti che animano la scena fanno crescere l’hype del progetto Liberato. Ne parlano, ne fanno parlare. Non tanto, intendiamoci, ma abbastanza perché dopo averne parlato Rockit e Rolling Stone, come dire tre dei quattro gatti, ne parli anche Radio Deejay, che passa quei brani. Madonna, manco fosse stato a cantare alla finale del Superbowl, tutti i soliti quattro gatti a parlare di tormentone, di fenomeno. Ripeto, proprio come in un talent. Sia come sia, arriviamo al Mi Ami, e Liberato è in cartellone. Chi sarà mai sto cazzo di Liberato? Arriva la serata, e cosa succede, sul palco a cantare salgono Calcutta, Izi, Priestess, con alla consolle Dj Shablo. Playback di Calcutta? Forse. Autotune? A manetta. Trollata o Liberato è davvero un progetto collettivo senza neanche un napoletano in line-up? Non è dato saperlo.
Nei fatti il mistero non è svelato.
Ma il mistero vero resta perché si debba parlare di fenomeno per un cantante o quel che è che ha sfornato due canzoncine carine, ma niente di che, con novemila follower su Facebook, neanche mezzo milione di visualizzazioni su Youtube, e un paio di passaggi a Radio Deejay.
La trollata, è chiaro, è idea carina, ma non esattamente una novità, state leggendo uno che se ne intende, e più in generale gli Spinal Tap sono ancora lì che ridono.
A me, personalmente, fa ridere come si tenda a dar credito al primo che passa. A pensare davvero che basti un paio di canzoni per fare un artista, e che però se l’artista è Alvaro Soler è una merda, se invece è Levante o Liberato si tratta di grandi artisti.
Siete ancora alla gita della terza media, ragazzi, e state ridendo di Giampiero che dice Abracadabra con un rutto. Voi ridete e provate a imitarlo, ma gli altri vi guardano come foste dei cretini che ruttano.
ABRACADABRA.