Qualche dubbio lo hanno avuto un po’ tutti. Perfino lui. Quando l’Accademia di Svezia, un po’ a sorpresa (e un po’ no) ha deciso che il Nobel per la Letteratura per il 2016 andasse a Bob Dylan, lo stesso cantautore, preso alla sprovvista (e dal carattere un po’ burbero) ha aspettato prima di rispondere. Poi, alla fine, lo ha accettato. Ma tenendo vivi tutti gli interrogativi del caso.
Il 4 giugno, dopo qualche mese, è arrivato all’Accademia di Svezia (era ora) il suo discorso di accettazione del premio. In cui, tra varie circonlocuzioni, alla fine la domanda appare: “Ma le mie canzoni sono letteratura?”. La questione non è semplice. Perché – lo sanno tutti – la letteratura nasce come poesia, cioè come una forma di recitazione che accompagna la musica. Ma nel corso dei secoli le due discipline si sono separate, hanno preso strade diverse e hanno conosciuto forme e formati diversi. Fino a questo momento, la letteratura premiata da Stoccolma ha sempre avuto, per capirsi, la forma-libro. Quella di Dylan che forma ha?
Se lo chiedono tutti. Va bene, Omero era prima recitato e poi scritto. “L’Odissea”, spiega Dylan, “è un grande libro i cui temi sono riusciti a filtrare nelle ballate di molti cantautori”. Ma la similitudine si ferma qui: “Le canzoni non sono come la letteratura. Sono fatte per essere ascoltate, non lette”. Ah.
“Le parole delle opere di Shakespeare erano fate per essere recitate sul palcoscenico”, e allora non per essere lette e analizzate da gruppi di studenti in classi scomode. Vero. Però il premio Nobel è andato anche ad autori teatrali (come Dario Fo), e nessuno si è risentito. Come lo si spiega? Forse c’entra la forma libro, forse il fatto che la musica è ancora vista come un’arte ormai troppo lontana dalla letteratura. In ogni caso, anche se Bob Dylan, che pure è Bob Dylan e dal 2016 è anche un premio Nobel, sostiene che a canzoni non si possa far poesia, non è detto che abbia ragione.