Nel 2016 il Financial Times ha definito Milano la “capitale delle startup”. Il quotidiano economico inglese ha lodato la capacità del capoluogo lombardo di attirare talenti e di fornire le condizioni necessarie per lanciare una giovane impresa. Anche se già lo faceva nel 1400.
Lo rivela Maria Paola Zanoboni, studiosa di storia medievale all’università degli Studi di Milano che presenterà la sua ricerca nel dibattito “Startup medievali: Milano e la nascita del Made in Italy”, uno dei tanti incontri del Festival del Medioevo, l’evento culturale dedicato all’Età di mezzo che si terrà dal 27 settembre al 1 ottobre a Gubbio, in Umbria.
“Sono partita dalla definizione della legge italiana sulle startup del 2012”- dice Zanoboni – “cioè una società che investe nelle nuove tecnologie e assume lavoratori specializzati per creare prodotti innovativi, ad alto valore tecnologico. E l’impresa di Giovanni da Montaione aveva tutte queste caratteristiche”.
Originario di un borgo della Valdelsa, a pochi km da Firenze, Giovanni da Montaione è stato il precursore dello startupper moderno. A partire dal 1454 si buttò nel mercato di uno dei materiali più importanti all’epoca: il vetro. Riuscì a sviluppare la tecnologia del vetro cristallino, variante pregiata molto richiesta dalle corti italiane ed europee. Più o meno come se oggi avesse scoperto e commercializzato i televisori a cristalli liquidi.
Per farlo assunse i migliori artigiani dell’epoca, facendoli trasferire in gran parte da Altare, un piccola città vicino Savona, dove la conoscenza del lavoro del vetro era stata trasmessa dai monaci normanni all’inizio dell’XI secolo. Non è partito da un garage come Steve Jobs ma da una bottega in rovina ereditata dal padre, vicino alla Chiesa di S.Raffaele, a due passi dal Duomo di Milano.
Nel giro di pochi anni divenne leader di tutto il mercato della Lombardia e Italia settentrionale. “Si dice che il vetro di cristallo sia stato inventato a Venezia e Murano, ma reperti come il calice Sforzesco (conservato nel museo delle arti applicate dell’omonimo Castello) ci dicono che potevano essere tranquillamente dei prodotti delle fornaci di questo Giovanni da Montaione”, afferma Zanoboni.
Il vetro di cristallo era richiesto non solo per i calici ma anche per la produzione degli occhiali, usati da monaci amanuensi nella scrittura dei sermoni e dalle monache nei lavori di ricamo.
Giovanni da Montaione è stato il precursore dello startupper moderno. Riuscì a sviluppare la tecnologia del vetro cristallino, variante pregiata molto richiesta dalle corti italiane ed europee. Più o meno come se oggi avesse scoperto e commercializzato televisori a cristalli liquidi.
A Milano nella seconda metà del Quattrocento “start up” come quella di Giovanni da Montaione erano la regola. Dal ricamo all’oreficeria passando per la manifattura del vetro a quella della seta, fino all’industria militare, il ducato di Milano accolse artigiani da tutta Italia ed Europa, attirati dagli sgravi fiscali concessi dalla famiglia degli Sforza, a capo della città dal 1450.
Si creò così un ambiente competitivo, formato da centinaia di piccole attività, soprattutto nelle nuove arti, dove si sperimentava molto alla ricerca del prodotto innovativo. C’erano il capitale umano, il rischio imprenditoriale e la domanda di beni. Chi apriva una nuova attività nel Ducato aveva il diritto di esclusiva per un certo periodo di anni.“Certo, le invenzioni medievali non sono idee rapide ed estemporanee che hanno garantito il successo alle start up di oggi, ma pur sempre il risultato di un processo lungo, un mix tra ricerca, trasmissione dei saperi e circolazione dei lavoratori specializzati. Ma a differenza di quanto pensiamo del Medioevo, in realtà le invenzioni come quella del vetro di cristallo erano una risposta a quello che chiedeva il mercato”, dice Zanoboni.
Le botteghe, anche quelle di artisti come Leonardo da Vinci, presentatosi come ingegnere militare a Ludovico il Moro, con una lettera di impiego nel 1482, erano punti di ricerca e sperimentazione che rispondevano alla domanda di mercato. E a Milano ce n’era tanta.
I prodotti più richiesti dalle corti erano i drappi auroserici, cioè vestiti con fili d’oro lavorati col martello dai battiloro, artigiani specializzati. L’arte del battiloro era già conosciuta in altre città come Bologna e Lucca dal 1200, ma dal 1455 la tecnologia fu sviluppata e migliorata proprio a Milano da altri due “startupper” dell’epoca, Baldassarre Porri e Gasparino Rotulo che assunsero la miglior manodopera da Genova, Spagna e Germania.
Anche artigiani di basso livello che lavorano nel settore del metallo o ricamatori si buttarono su questa “bolla tecnologica” e fecero in pochissimi anni affari d’oro come Porri e Rotulo. “Ma c’erano anche i nobili milanesi che creavano le “società in accomandita” cioè formate da un socio finanziatore e un artigiano. Gli aristocratici non si accontentavano di pagare per le materie prime e basta: assumevano il maestro e mandavano in bottega i loro figli a imparare l’arte per poi crearsi da solo una loro azienda” dice Zanoboni che al festival parlerà anche della nascita di un “Made in Italy” medievale.
I prodotti delle “start up” milanesi e italiane erano un marchio di affidabilità in tutta Europa, ancor prima delle tre F (food, fashion e furniture) che tengono in piedi le esportazioni italiane oggi.
I drappi auriferi di Milano spopolavano nelle fiere internazionali di Ginevra e Lione, gli occhiali prodotti a Firenze arrivavano fino a Costantinopoli, la carta di Fabriano era l’unica ritenuta affidabile per i documenti ufficiali. La bravura italiana non era quella di creare una materia prima, ma di perfezionare quelle che esistevano già, creando un prodotto unico nel mercato. Come le start up vincenti.