“Lavorare di più, lavorare in pochi”, ecco la formula che sta distruggendo l’occupazione giovanile

In molti Paesi europei si tende ad avere stipendi orari minori per poter favorire l'assunzione di nuovi dipendenti. Ma in Italia questo non accade quasi mai

Lavorare di più, lavorare in pochi. Questa appare la versione italiana del “lavorare meno, lavorare tutti” che a più riprese ha attraversato molti Paesi, anche il nostro.

In Italia (diversamente dal Nord Europa) non è mai stato accettato che, pur di occupare il maggior numero di persone, si potesse anche guadagnare di meno “spalmando” il monte salari su più lavoratori. I modi sono molteplici: aprire un maggior ricorso al part time, lavorare meno ore, acconsentire aumenti meno ricchi per i già occupati a favore di nuove assunzioni.

A fine anni ‘80 e nei primi anni ‘90 il nostro tasso di occupazione era arrivato al 51%, 7 punti meno di ora nonostante la crescita del PIL di quegli anni, e 15 punti in meno di altri Paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

Il risultato lo vediamo oggi: stipendi medi orari che nel caso degli ultra 50enni italiani (coloro che trent’anni fa godevano di grandi aumenti salariali in presenza di bassa occupazione) sono superiori a quelli medi UE, 16,38€ contro 13,06€ se parliamo di over 60enni. Gli under 30 invece risultano decisamente sotto il livello europeo, 7,91€ contro 9,46€.

Basterebbe quindi imitare il modello del passato per avere sempre buoni stipendi? Non proprio: questo schema ha provocato non solo bassa occupazione generale, ma anche anche disuguaglianze maggiori.

Lo osserviamo misurando quanto il salario medio orario supera quello mediano, cosa che accade tanto più quanto maggiormente i pochi ricchi guadagnano rispetto alla massa di lavoratori a basso stipendio.

Ebbene, questa misura è ai minimi nei Paesi scandinavi, Paesi Bassi, Svizzera, e Germania, mentre vede i livelli più alti a Est, nel Regno Unito, e anche in Italia, che supera di 5 punti la media UE. La supera inoltre per tutte le fasce di età, in particolare tra i 50 e i 59 anni, con 21% di divario media-mediana contro il 14,9% europeo.

E’ evidente come questa disuguaglianza tra gli stipendi degli italiani è minore, anche se rimane superiore a quella della maggior parte degli altri Paesi, laddove l’occupazione è maggiore tra i 30 e i 49 anni, e più grande proprio in quei segmenti di età dove a lavorare sono in pochi.

Questa relazione vale anche a livello di Stati: quelli in cui l’occupazione è inferiore si confermano anche tra i più ineguali ed è evidentissimo soprattutto se prendiamo il gruppo di Paesi occidentali con un modello economico omogeneo, di tipo solidaristico, di cui l’Italia fa parte storicamente.

Strettamente collegata a questa disuguaglianza tra lavoratori, e in un certo senso provocata da questa, vi è quella tra le generazioni.

Per farla breve, siamo il terzo Paese con il maggior divario tra tra lo stipendio di un ultra 60enne e un under 30. Ben il 42,2% contro il 25,9% della Germania.

Le scelte del passato, con rinnovi di contratto molto generosi per le generazioni precedenti, hanno creato un peso del costo del lavoro per i dipendenti più anziani che ha reso veramente difficile poter pagare bene un giovane assunto, anche se ben istruito.

D’altronde, siamo uno dei Paesi in cui vige indisturbato il modello della crescita dello stipendio collegata a quella dell’età. Non è così in Germania e Regno Unito, dove il salario medio scende dopo i 50 anni. Che sia un caso che in questi ultimi Paesi l’occupazione sia anche decisamente maggiore non solo a quella italiana ma anche spagnola e francese?

Sembra di no. Italia e Grecia giacciono nell’angolo dove è tanto alta la differenza tra i salari di giovani e anziani e tanto bassa l’occupazione in una fascia di età cruciale come quella tra i 25 e i 29 anni, che è invece maggiore laddove quel divario è un po’ minore.

Non si tratta qui di prendere i 50enni e 60enni, cancellare gli scatti del passato e ridurli a stipendi da fame. Anche perchè le maggiori disuguaglianze sono nelle mansioni più redditizie, nei lavori più remunerativi. Tra tutti i lavoratori non manuali un 60enne prende il 37,5% in più della media europea, un 30enne il 16,9% in meno. In quelle che Eurostat definisce invece occupazioni più elementari si va da un +7,7% a un +0,1%, c’è quindi più equilibrio.

Tra i manager e i professionisti, al contrario, si spazia da un +46,7% rispetto ai colleghi europei per gli over 60 a un -36,3% per quelli più giovani.

E’ allora tra le classi dirigenti che ci deve essere un cambiamento per il futuro. Nel settore dei servizi avanzati, del terziario.

Il timore di assumere più lavoratori, di promuovere un giovane, solo per garantire rinnovi di contratto o premi più ricchi agli insider, ha prodotto già abbastanza danni per tutti.

X