Il mestiere della traduzione è uno di quei mestieri che si pratica nell’ombra, quasi sempre nella solitudine delle case private dei traduttori stessi, freelance per eccellenza, da sempre. La loro presenza è data talmente tanto per scontata da noi lettori che probabilmente solo in pochi, tra noi, leggendo un libro straniero, ci ricordiamo che qualcuno si è messo in mezzo tra noi e l’autore, qualcuno che ha dovuto interpretare il testo originale, capirne il funzionamento e renderlo per noi in italiano.
Eppure il lavoro di traduzione è un lavoro autoriale e assolutamente necessario all’intera industria. Un mestiere che non ha regole precise, ma che non è affatto automatico che richiede anni di esperienza, tecnica, creatività e duro, durissimo lavoro. Ma il lavoro dei traduttori, proprio per la sua natura solipsistica che si riflette in una totale atomizzazione dei lavoratori della categoria, è anche uno dei mestieri più in difficoltà in questi anni di crisi e precariato.
In questo contesto, alcuni lavoratori del settore si sono uniti e, dalla primavera del 2016, hanno attivato la sezione traduttori editoriali “Strade” all’interno di Slc-Cgil. L’obiettivo principale è chiaro: la “salvaguardia e la promozione del lavoro di tutti i traduttori che operano, in via esclusiva o parziale, in regime di diritto d’autore”, ma di lavoro da fare ce n’è tantissimo, tra diritti negati e compensi insostenibili che rischiano di strangolare la categoria, condannando molti di loro a un futuro la cui unica certezza è il non avere alcuna copertura pensionistica.
In particolare sono due le battaglie che Strade porta avanti da anni e che porterà anche a questa edizione di Più libri più liberi con 4 eventi sul tema. Da una parte l’istituzione di un fondo che possa aiutare gli editori a sostenere le spese di traduzione, dall’altra la diffusione di un vademecum che sopperisca a uno dei più grandi problemi del settore: la scarsa conoscenza degli stessi traduttori editoriali dei propri diritti.
«Tradurre non è semplicemente sostituire parole con altre parole», mi racconta Marina Pugliano, che da 17 anni traduce libri dal tedesco ed è tra le personalità del settore più attive sul fronte sindacale. «Dipende dal talento del traduttore», continua, «perché esistono mille modi di tradurre una espressione, immaginati quanti di tradurre un libro: non ci sono modi giusti o modi sbagliati, tutto dipende dalla chiave interpretativa. Tradurre è un lavoro continuativo di scelta incessante».
In tedesco si usa un espressione che significa “Lavoro che porta il pane”, ecco, qui in Italia portare a casa il pane traducendo è sempre più difficile.
Quali iniziative state portando avanti?
Il vademecum è un’iniziativa che portiamo avanti da qualche anno e quella che presenteremo a Roma a Più libri più liberi ed è uno strumento utilissimo, perché la traduzione si insegna da un paio di decenni, al contrario del passato, in cui tutti si formavano in maniera autodidatta, leggendo e iniziando a tradurre. Ora invece l’offerta è quasi fin troppo ricca, tanto che l’Italia è uno dei paesi al mondo in cui si fa più formazione…Però paradossalmente è uno dei paesi in cui la situazione è più difficile, giusto?
Sì, esatto, noi siamo il fanalino di coda per quanto riguarda i compensi e le condizioni contrattuali, soprattutto in confronto con l’Europa settentrionale, per non parlare degli Stati Uniti, dove i traduttori sono riconosciuti come professionisti e hanno dei guadagni assolutamente degni per vivere del proprio mestiere. In tedesco si usa un espressione che significa “Lavoro che porta il pane”, ecco, qui in Italia portare a casa il pane traducendo è sempre più difficile.Qual è la maggior difficoltà che incontrate?
Senz’altro economiche. Noi siamo autori di seconda mano, ma siamo pur sempre autori. Tra di noi ci sono alcuni nomi più conosciuti, certo, ma nessuno raggiunge livelli di introiti di alto livello. Nessuno è mai diventato ricco traducendo. Eppure è un lavoro che richiede un livello di tecnica e di padronanza della scrittura veramente a livello autoriale, che non è affatto scontata, del tutto pari alle competenze che deve avere uno scrittore. In tutte queste scuole in cui si crescono nuovi traduttori, tutti questi aspetti di tutela legale del nostro lavoro — perché una legge c’è, la 633, che regola la nostra professione e la inquadra come professione autoriale — tutte queste informazioni non vengono date.La nostra situazione è sempre stata debole rispetto ai nostri committenti. Il fatto che adesso le condizioni precarie si siano espanse a moltissimi altri lavori, soprattutto quelli intellettuali, lo fa sembrare normale, ma una precarietà del genere non può diventare la normalità, perché andando avanti così questo lavoro rischia veramente di sparire
Qual è il vostro obiettivo?
Diffondere tra i nostri colleghi la conoscenza dei nostri diritti per evitare, quando firmiamo contratti con gli editori, di firmare delle clausole capestro o che non riconoscono la componente autoriale del lavoro che facciamo, visto che molto spesso capita che per le traduzioni letterarie gli editori propongano contratti simili a quelli delle traduzioni tecniche, come traduzione di servizio, senza la parte morale.Che differenza c’è?
Nella traduzione letteraria noi non vendiamo la nostra traduzione all’editore, ma cediamo il diritto di utilizzarla, senza che questa possa essere modificata e stravolta. Noi cediamo i diritti patrimoniali, ma non quelli morali, che sono inalienabili. La nostra situazione è sempre stata debole rispetto ai nostri committenti. Il fatto che adesso le condizioni precarie si siano espanse a moltissimi altri lavori, soprattutto quelli intellettuali, lo fa sembrare normale, ma una precarietà del genere non può diventare la normalità, perché andando avanti così questo lavoro rischia veramente di sparire.Esistono libri di serie a e libri di serie b per un traduttore?
Il libro facile facile non esiste. Nemmeno il romanzo rosa o il porno soft, che ora vanno molto, lo sono, esattamente come non sono letteratura da disprezzare, visto che, tanto per dire, gli italiani hanno imparato a leggere su Grand Hotel, mica sulla Divina Commedia. In ogni caso, capita veramente di tutto, persino di trovarsi a correggere alcuni passi dell’originale che, in qualche caso — a me è capitato con alcuni romanzi gialli — tradiva il fatto di essere stato scritto velocemente anche dall’autore stesso, e quindi era pieno di errori. E una cosa del genere trasforma un libro all’apparenza semplice in un libro proprio faticoso.Ma a parte gli errori degli autori, che altre difficoltà puoi incontrare?
Di tutto, veramente di tutto. Ogni libro contiene insidie sempre nuove. Un esempio su tutti? Mi sono trovata a tradurre l’autobiografia di Conchita Wurst, un personaggio dello spettacolo, una roba che sulla carta potevo pensare mi prendesse pochissimo tempo. E invece anche in quello ho trovato insidie molto complicate.Per esempio?
Beh, Conchita Wurst è un personaggio molto bizzarro. È un travestito, ovvero un uomo che si veste da donna, e per questo motivo non solo gioca tantissimo sulla indeterminatezza di genere, ma lo fa appoggiandosi a una particolarità del tedesco, che oltre al maschile e al femminile ha il neutro. In Italiano però non c’è il neutro e quindi ho dovuto inventarmi capriole e salti mortali per tradurre un libro che, a un primo sguardo, avevo pensato di poter fare molto veloce. Un altro problema della categoria, che è anche una di quelle che ha ispirato l’idea del fondo per i traduttori che noi sosteniamo, è che le cose negli ultimi decenni è cambiata totalmente. Dai tempi di Pavese e Vittorini che traducevano gli americani sembrano passati secoli e ora l’editoria è un’industria colossale.Il modo con cui si produce l’oggetto libro, che è poi un oggetto commerciale e quindi deve essere venduto esattamente come un tubetto di dentifricio, è cambiato totalmente.
Cosa è cambiato?
Il modo con cui si produce l’oggetto libro, che è poi un oggetto commerciale e quindi deve essere venduto esattamente come un tubetto di dentifricio, è cambiato totalmente. Prima di tutto all’epoca c’erano redazioni complete, con redattori, correttori, revisori, spesso anche gli stessi redattori avevano competenze di più lingue straniere di partenza. Tutto questo, soprattutto a causa dell’accelerazione e l’aumento senza senso della produzione libraria — siamo arrivati a circa 66mila titoli all’anno — sono diventati decisamente troppi e non si riesce, anche volendo, a lavorarci con la stessa cura.Sì, anche se sappiamo tutti benissimo che il motivo per cui si stampano così tanti libri, più che per venderli è per fatturarli…
Esatto, questo è un meccanismo talmente assurdo che si fa fatica anche solo a capire. Però sì, le politiche editoriali si fondano sull’indebitamento e ovviamente in un contesto del genere è chiaro che molto spesso la cura di ogni libro passa in quarto piano. Queste politiche stanno creando una gigantesca bolla che un giorno è destinata ad esplodere, ma gli editori, soprattutto i grandi, purtroppo sono ancora legati a questi sistemi, al pensare a sopravvivere fino a domani, senza pensare a come arrivare a dopodomani, figuriamoci ai prossimi anni. Senza contare che le redazioni si stanno letteralmente svuotando, perché in moltissimi soprattutto i medi e piccoli, non hanno abbastanza risorse per coprire tutti i ruoli e, quando ce la fanno, lo fanno a spese proprie, lavorando con stipendi da fame.Quanto guadagna un traduttore in media?
Tieni conto che l’ultimo sondaggio che abbiamo fatto all’interno della categoria — una categoria che, puntualizzo, è talmente atomizzata e disgregata che non sappiamo nemmeno quantificare esattamente il numero dei traduttori in Italia — è emerso un dato veramente drammatico, ovvero che un traduttore con dieci anni di carriera alle spalle che vive all’85 per cento sui propri lavori di traduzione (quasi nessuno riesce a fare il traduttore puro) può contare, a fronte di 5 giorni di lavoro per 12 mesi all’anno, visto che non abbiamo diritto né a ferie né a malattie, su una media di 15mila euro lordi all’anno di entrate. Non siamo al limite della povertà, ma ci andiamo molto vicino.E come fate a campare allora?
Molti fanno formazione, altri hanno un’altra occupazione e traducono come secondo lavoro. Ci si deve arrangiare, ma è molto difficile, anche in previsione futura, visto che non abbiamo una cassa previdenziale. E non si può nemmeno mettersi a lavorare 18 ore al giorno, perché anche volendo dopo un po’ il tuo cervello si ferma, non funziona più e devi prenderti delle pause, perché il pericolo vero è andare in sovraccarico e rischiare di non riuscire a lavorare lucidamente.Ai giovani che iniziano a tradurre ora e che sono pronti a tutto per entrare nel mercato, propongono anche 5 o 6 euro a cartella, mentre gli editori considerano dignitosa una cifra a partire dai 12 euro, tutto lordo, ovviamente, pagati oltretutto a 90 giorni dalla consegna. Insomma, alla fine è meno di quanto si prende per pulire le scale.
Quanto riesce a lavorare al giorno un traduttore?
Noi siamo pagati a cottimo, sempre. L’unità di misura è la cartella, che è di 2000 battute. Quindi costruiamo il nostro stipendio a seconda di quanti tasti pigiamo sulla tastiera. Ma il problema di un lavoro come questo è che il rapporto tra lavoro e tempo non è quantificabile, perché banalmente dipende da che libro stai traducendo. Anche parlando con i sindacati sono emerse difficoltà di comprensione di questa cosa, perché quando ti chiedono, “Ma tu quanto ci metti a tradurre una cartella”, io non so proprio cosa rispondere, visto che dipende da talmente tante variabili che è inquantificabile. Diciamo che un traduttore può tradurre sulle 7-8 cartelle al giorno, la media che San Girolamo diceva di impiegare per la sua traduzione della Bibbia, ma per alcuni libri non riesci ad andare oltre le 3 cartelle.Quanto viene pagata mediamente in Italia una cartella?
Dipende dalla lingua, per intenderci: una traduzione dal cinese costa di più di una traduzione dallo spagnolo, dal francese, dall’inglese o dal tedesco, che sono considerate lingue veicolari, più diffuse e più conosciute. In base all’indagine di cui ti parlavo prima, i compensi a cartella da queste lingue variano dal gratis — è il caso degli accademici, che legano le traduzioni alle loro ricerche, ma di cui anche molte case editrici si avvalgono dato che hanno anche competenze sulle loro materie molto alte — fino ai 20-22 euro a cui ogni tanto riesco ad arrivare io, che ho 54 anni e traduco da 17 anni, ma diciamo che anche la mia media è intorno ai 15-16. Ma attenzione, ai giovani che iniziano a tradurre ora e che sono pronti a tutto per entrare nel mercato, propongono anche 5 o 6 euro a cartella, mentre gli editori considerano dignitosa una cifra a partire dai 12 euro, tutto lordo, ovviamente, pagati oltretutto a 90 giorni dalla consegna. Insomma, alla fine è meno di quanto si prende per pulire le scale.E all’estero?
In Francia prendono da 30 a 33 euro a cartella, di media, per esempio, e loro hanno la copertura previdenziale. In Germania, dove hanno un sistema di previdenza diverso dal nostro, siamo intorno ai 20 euro a cartella. Diciamo che la cifra francese è quella a cui dovremmo puntare noi per sperare di avere un minimo di copertura pensionistica nel futuro.Che futuro c’è per questo mestiere?
Guarda, secondo i dati AIE le traduzioni letterarie nel 2016 erano circa l’11 per cento, circa la metà del 22 per cento, cifra a cui eravamo dieci anni fa. Di più, gran parte di quell’11 per cento è legata agli incentivi alla traduzione degli stati esteri o dei centri culturali, cosa che solleva gli editori che riescono a usare quei fondi dalla spesa di traduzione, che per loro è un costo a perdere, visto che non possono rivenderne i diritti. Insomma, se andiamo avanti di questo passo tra altri dieci anni noi traduttori rischiamo di sparire.