Il Vittoriale senza sole non riesce ad essere malinconico. Il Garda giù dalla collina nemmeno si vede immerso nella bruma, sì; l’albero maestro della nave Puglia non è rosso come dovrebbe, vabbè; le scolaresche fanno il solito casino infernale fuori dal Bookshop, dove è molto gettonato il libro con le lettere di Aélis Mazoyer, la governante-amante di D’Annunzio, che gli lavava e profumava le donne (“badesse”) di passaggio e sopportava, per espresso desiderio del Vate, non solo la convivenza ma anche la conversazione e l’amicizia con la ultima compagna ufficiale, la pianista Luisa Bàccara. Be’ è così: D’Annunzio amava moltissimo, ma non le donne, e nemmeno gli uomini. Si definiva “technikòs” già dal liceo: amava la costruzione delle cose.
L’anfiteatro aspetta (ancora qualche giorno) Primavera, sorvegliato da un cavallo blu di Mimmo Paladino, un’aggiunta recente. In estate qui suonerà tra gli altri Jeff Beck, al festival Teneramente. E intanto le coperture in plastica dei sedili risuonano dei plock di gocce di pioggia, più rade/men rade.
La “Prioria”, vale a dire la casa di D’Annunzio, è indifferente alla luce, quindi perfetta anche in una giornata così. D’Annunzio era diventato fotofobo dopo l’incidente del ’16 durante un ammaraggio in idrovolante. Che 1) Lo fece infuriare perché il desiderio del Vate era morire in guerra, e non fracomarsi l’occhio destro in un “banale cozzo”. 2) fu l’occasione per scrivere, al buio completo, su striscioline di carta ritagliate dalla figlia Renata, il Libro Segreto, capolavoro di sperimentazione, flashback e frasi brevi. 3) fu il motivo per il quale D’Annunzio, messo buono al Vittoriale da Mussolini, decise di ristrutturarsi una casa/mausoleo con poche finestre e poca luce.
Il sincretismo di D’Annunzio è interamente cinetico. Il suo gusto dell’accumulo non è antiquariato o archeologia. È crossover
Della Prioria si sa tutto. Il catalogo in vendita è splendido e esplicativo, foto comprese. Al visitatore in un giorno di pioggia non resta che notare l’aria postmoderna del sincretismo dannunziano. Ogni frase dipinta o scritta o cesellata o incastonata o istoriata gioca su un “mot” già dato, ma variato, alterato, o rovesciato: il francescano “pax et bonum” diventa “malum et pax”. Ogni simbolo religioso è allo stesso tempo antireligioso in quanto citazione, messa in questione. Tutto è totem, dagli elefanti d’argento alle tartarughe, all’organo Estey costruito a Brattleboro (Usa), al cesso blu persiano, alle statue dei Santi; e tutto è anti-totem, perché fuori contesto. Perfino la cabina telefonica insonorizzata (il numero privato di D’Annunzio è 104, per chi volesse).
D’Annunzio si ritirò al Vittoriale dal 1931 al 1938, anno della morte, una volta combattute le battaglie, con la vena letteraria e poetica esaurita, la cocaina, le donne. Non avendo che scrivere, si mise a costruire la sua “ultima opera in sassi, per non morire, per non dormire”, Il Vittoriale appunto. E non c’è niente di decadente né di tradizionalista nell’ultima opera dell’unico poeta che sia stato anche capo di Stato. Il suo sincretismo è interamente cinetico. La sua casa è fatta di non accasamenti semantici. Il suo gusto dell’accumulo non è antiquariato o archeologia. È crossover.
“Quella di D’Annunzio solo decadente, con gli occhi sulla nuca è una favola, venuta fuori dopo, più che altro su basi ideologiche” racconta Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione del Vittoriale dal 2008. “Il più grosso lavoro che mi è toccato fare in questi anni -continua- è svecchiare l’immagine di D’Annunzio, vale a dire riportarla alla vitalità che aveva”. Guerri lo conosciamo per i saggi storici, per le sue incursioni giornalistiche, per le sue apparizioni televisive. Ha l’aria rock ’n roll che serve, ma col gusto dell’analisi e della lettura calma. “Oggi assistiamo a una rinascita di D’Annunzio. Una nuova biografia in Inghilterra, una appena uscita in Francia. La prima traduzione in inglese dopo quasi un secolo de Il Piacere. Si figuri che quella vecchia, realizzata in epoca vittoriana, aveva ancora le parti oscene censurate”. Nella generale D’Annunzio Reinassance, certificata anche da un anti-dannunziano come Alberto Arbasino, c’era da mettere mano al monumento, cioè al Vittoriale. “Ecco -continua Guerri- farlo diventare da posto grigio un posto fico. In questo sono stato aiutato dalla zona. Il Garda ospita 21 milioni di visitatori all’anno, è il terzo distretto turistico italiano. In più ho dovuto metterci delle cose”. Cosa? “Ho dovuto far passare l’idea che un museo è anche un’azienda, che è stata anche la grande intuizione di Franceschini come ministro della Cultura. Appena arrivato ho dovuto chiedere di far spegnere le luci nel parco di giorno! Dal 2010 il Vittoriale è una fondazione di diritto privato, non prende un soldo statale. Quando sono arrivato era a carico dello stato, invece. Ci lavoravano 43 persone, e faceva 146 mila visitatori l’anno”. E adesso? “Ci lavorano le stesse persone, ma facciamo 258 mila visitatori all’anno” Fatturato? “Circa tre milioni, con un guadagno tra i due e i 300 mila euro l’anno, completamente reinvestiti. Abbiamo anche istituito un premio al “Genio vagante”, cioè ai nostri cervelli in fuga. Quest’anno la cerimonia di premiazione sarà a Washington. C’è una ricercatrice Nasa italiana, Eleonora Troja, che ha scoperto in base a quali fenomeni si formano l’oro, l’argento, il platino”.
D’Annunzio è anche il primo vero intellettuale engagé. La linea è D’Annunzio, Curzio Malaparte, Pier Paolo Pasolini
Sì, d’accordo, la valorizzazione, il bookshop, il museo “D’Annunzio Segreto” con i capi di abbigliamento del Vate che anche quelli sono arte, ma non c’è anche la ricerca da portare avanti? “Pensi che qualche anno fa, guardando negli archivi, ho trovato una lettera di D’Annunzio a una sua amante. E insieme alla lettera c’era un fazzoletto [qui il visitatore in un giorno di pioggia spera che non si arrivi a parlare del contenuto del fazzoletto, ma Guerri, implacabile, continua] che non era stato evidentemente usato per pulirsi il naso”. Ebbene? “Ebbene da quel campione di sperma abbiamo estratto il dna di D’Annunzio. Il mio sogno è avere tanti piccoli cloni del Vate che facciano da accompagnatori alle visite”. Ecco.
“Ma abbiamo diversi convegni di filologi dannunziani e critici letterari che si svolgono ogni anno, abbiamo due collane per specialisti, abbiamo un tesoro di manoscritti che, fazzoletti o meno, è di valore inestimabile per la letteratura italiana”. Per diversi decenni D’Annunzio è stato volontariamente evitato dalla critica. Che sia, insieme a Pascoli, l’estradosso del linguaggio poetico del Novecento pare fuori discussione. Chiaro che contro di lui ha giocato il pregiudizio/identificazione col fascismo. “Quello è un grande equivoco -spiega Guerri- è il fascismo che in origine è stato dannunziano. Ha preso riti, modi, simboli da D’Annunzio. Il discorso al balcone, il “me ne frego”. Ma è cosa nota che D’Annunzio era un incontrollabile e un libertario: basta vedere la carta del Carnaro. Fiume è stato più libertario del ’68. D’Annunzio parlando del fascismo diceva “camicie sordide”. Non ha mai preso la tessera del Pnf. E poi qui c’è stato, ha visto, ha controllato. Non c’è un solo simbolo che rimandi al fascismo”. Vero. Non c’è. C’è il modello di un artista sincretico/postmoderno. “E anche il primo vero intellettuale engagé -aggiunge Guerri-. Ci pensi. La linea è D’Annunzio, Curzio Malaparte, Pier Paolo Pasolini”. Sì, D’Annunzio come iniziatore della linea pasoliniana, coi sui tempi e i suoi modi, è un’idea praticabile.
Abbiamo trovato una lettera di D’Annunzio a una sua amante. C’era dentro un fazzoletto che non era stato evidentemente usato per pulirsi il naso. Da da quel campione di sperma abbiamo estratto il dna di D’Annunzio
Ma intanto qui si organizza una festa, perché il multiforme artista richiede una promozione multiforme. Il 12 marzo era il compleanno del Vate, e siamo agli 80 anni dalla morte. Per il 17 marzo è prevista l’iniziativa “Capolavorando”, con la presentazione di alcune opere d’arte contemporanee (quella del dialogo col contemporaneo e un’idea fissa, e crossover, di Guerri) e dell’edizione nazionale delle opere di D’Annunzio.
Guerri, con foga dannunziana non si fermerebbe mai nel raccontare il “suo” Vittoriale degli italiani. Finché non si rivolge con un riso strano a una turista piuttosto insolita. Assomiglia decisamente ai dagherrotipi di Eleonora Duse. Capelli grigi come Eleonora Duse. Tinti? Naturali? Il visitatore in un giorno di pioggia pensa con una vaga apprensione a visioni simbolico/totemiche (i ritratti della Duse sono dappertutto nella Prioria) e con panico preciso alla faccenda della clonazione. Guerri scrive un biglietto/souvenir alla visitatrice: “A Eleonora, un nome qui fatale”. Ecco.