In Francia lo hanno chiamato Vincent l’Africaine, nell’Africa centro-occidentale dove possiede piantagioni, miniere, porti e società di trasporto, per tutti è Bolloroi. Ma quel che viene definito le coeur noir, il cuore nero, del suo impero economico si è trasformato in una vera e propria maledizione che rischia di far cadere fragorosamente Vincent Bolloré dalla vetta del capitalismo francese. Se è davvero così, s’innesca una reazione catena destinata a cambiare molti snodi chiave anche ai vertici del capitalismo italiano. Intendiamoci, finora c’è solo un fermo e un interrogatorio a Nanterre, nei dintorni di Parigi. Ma le accuse sono pesanti: tangenti, corruzione, in combutta con alti dirigenti politici del Togo e della Guinea, per ottenere generose concessioni portuali.
Il gruppo Bolloré smentisce formalmente di aver commesso irregolarità in Africa attraverso la sua filiale africana SDV Afrique, secondo quanto si legge in un comunicato diffuso dal gruppo a Parigi, ma l’inchiesta non è un fulmine a ciel sereno: va avanti da anni e s’incrocia con molte altre. Le Monde era da tempo su questa pista e ha realizzato lo scoop. Ora sottolinea che Bolloré doveva già aver avuto sentore di quel che gli stava rovinando addosso quando lo scorso 19 aprile, chiudendo l’assemblea di Vivendi la società di media che in Italia controlla Tim, ed è il “coeur blanc” dell’impero, ha annunciato tra la sorpresa generale che dal prossimo anno passerà la presidenza al figlio Yannick. Tutte le operazioni africane, delle quali la logistica rappresenta gran parte sono già gestite dal secondogenito Cyrille, seguendo le regole fissate oltre un secolo fa dalla famiglia di uomini d’affari radicati in Bretagna. L’altra coincidenza, per così dire, è che la mannaia giudiziaria cade dopo che Nicolas Sarkozy, ex presidente francese grande amico di Bolloré, nonché suo vero protettore negli affari africani, è finito nelle grinfie dei magistrati accusato anch’egli di tangenti, questa volta in Libia.
«Quando Bolloré si installa da qualche parte, prende possesso di tutto: in particolare delle infrastrutture strategiche nei trasporti, e usa il presidente francese come il suo commesso viaggiatore di lusso».
Tutto comincia nel porto di Conakry, capitale della Guinea. Lunedì 8 marzo 2011 la televisione pubblica del paese annuncia che la concessione portuale che tre anni prima era stata affidata a Getma, società del gruppo francese Necontrans, è stata revocata. La sera stessa nella sede della compagnia arrivano i militari armati di tutto punto. Due giorni dopo un decreto presidenziale il terminal passa al gruppo Bolloré. Il presidente della Guinea Alpha Condé sostiene che è tutto regolare, il finanziere francese aveva le migliori credenziali. Ma poi si lascia andare: “Vincent è un amico e io aiuto gli amici. Che male c’è?”. Condé ha trascorso molti anni a Parigi prima di tornare vincitore nel suo paese nel 2010, e ha trovato in Bolloré un sostegno di lunga data. Jacques Dupuydauby 69 anni, uomo d’affari franco-spagnolo, vi ha trovato un “gangster corruttore”: parole amare di un fiero nemico. Al sito di inchieste Mediapart ha raccontato le pressioni di Sarkozy in Togo, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Congo a favore di Bolloré, senza dimenticare la Libia (il porto di Misurata). L’accusa è davvero pesante: «Quando Bolloré si installa da qualche parte, prende possesso di tutto: in particolare delle infrastrutture strategiche nei trasporti, e usa il presidente francese come il suo commesso viaggiatore di lusso».
Secondo le indagini, la corruzione in Guinea e in Togo (anche qui si fa il nome del presidente Faure Gnassingbé) sarebbe passata attraverso Havas, la concessionaria pubblicitaria che fa capo a Vivendi e anche per questo ieri il titolo del gruppo è crollato dell’8 per cento. L’uomo chiave è Jean-Philippe Dorent, responsabile internazionale del gruppo, il quale avrebbe utilizzato fondi neri creati attraverso false fatture.
Gli affari africani sono stati a lungo il vero polmone finanziario che ha consentito a Bolloré di lanciarsi in scorribande finanziarie non tutte di successo. All’assemblea di Vivendi molti azionisti hanno recriminato pesantemente per le pesanti perdite subite dalle operazioni italiane, per sentirsi rispondere che “i conti si fanno solo alla fine della fiera” e lui in Italia vuole restare perché guarda ai suoi investimenti con un’ottica a lungo termine. L’Africa però, almeno da un paio d’anni, sta appesantendo i conti del gruppo: il crollo dei prezzi del greggio, delle materie prime e dei minerali ha provocato perdite consistenti e anche la logistica, i trasporti marittimi e via terra, la distribuzione petrolifera, ne sono appesantiti. Insomma, VB (VèBé) come lo chiamano gli amici, non è più “il piccolo re del cash flow”, l’appellativo che si era meritato vent’anni fa alla borsa di Parigi grazie alla sua capacità di mettere mano con fulminea rapidità a grandi pacchi di contanti.
La scalata alle vette della finanza era cominciata sotto gli auspici di Antoine Bernheim, grande socio di Lazard, che aveva aiutato il giovane Bolloré a riprendersi dai Rothschild la cartiera di famiglia fondata nel 1822 per costruirci attorno un vero impero franco-africano. Un legame inossidabile finché il 24 aprile 2010 Bolloré non volta le spalle al suo mentore, votando per la decadenza di Bernheim da presidente delle Assicurazioni Generali. Il vecchio Toni non glielo ha mai perdonato: «L’ho accompagnato lungo tutta la sua carriera poi mi ha tradito», dichiara nel 2011 un anno prima di morire. Un amico non è per sempre, Vincent se lo rea sentito sempre ripetere da papà Michel. Vale anche per Sarkozy ospite insieme alla moglie Carla Bruni a bordo del Paloma lo yacht del finanziere bretone il quale, però, alle ultime elezioni parigine ha confessato di aver votato per la socialista Anne Hidalgo. Ora il figlio Yannick mostra di avere buoni rapporti con Emmanuel Macron.
Bolloré è maestro nella tattica del cavallo di Troia che ha sperimentato al meglio con il conte Edouard de Ribes, nobiltà napoleonica, il quale guidava, insieme al conte Jean de Beaumont ex olimpionico di tiro, il gruppo Rivaud, vera potenza finanziaria coloniale con al centro una banca proprietaria di piantagioni in Asia e Africa per milioni di ettari e filiali in tutti i paradisi fiscali. Nel 1987 il fascinoso Vincent viene invitato a entrare per difendere il gruppo dai molti predatori. Nove anni dopo, mentre i due vecchi aristocratici inciampano nella giustizia fiscale, Bolloré s’impadronisce del gruppo grazie al quale compie il gran salto.
Le privatizzazioni imposte dal Fondo monetario internazionale ai paesi oberati dai debiti sono l’occasione per estendere l’originario insediamento africano. In particolare, il nuovo patron s’aggiudica porti e ferrovie, crea compagnie di trasporti su quattro ruote. Le sue navi container solcano i sette mari. Su un fatturato di dieci miliardi di euro, la logistica e i traporti petroliferi fanno ancor oggi 8,2 miliardi.
Se Bolloré uscisse di scena aprirebbe Mediobanca come una scatola di sardine
Le partite italiane sono numerose intrecciate l’una con l’altra. È in corso lo scontro con il fondo Elliott, sostenuto dalla Cassa depositi e prestiti, per il controllo di Tim della quale Vivendi possiede il 24% circa e nomina gli organi di gestione. La resa dei conti è rinviata all’assemblea straordinaria del 4 maggio, per ora i francesi hanno vinto un round perché il tribunale ha riconosciuto che l’attuale consiglio è decaduto e dovrà essere rinnovato con il voto di lista, il che può avvantaggiare il socio di riferimento.
Vivendi è il secondo azionista di Mediaset con il 29 per cento del capitale e ha trasferito al blind trust Simon Fiduciaria il 19,59% dei diritti di voto. L’Agcom aveva dato un anno di tempo al gruppo francese per scegliere tra la partecipazione in Tim e quella nella società televisiva, ma la quota è destinata a uscire dal perimetro del gruppo in tempi stretti. Bolloré esercita un ruolo chiave anche in Mediobanca fin da quando nel 2002 venne chiamato come cavaliere bianco contro la doppia offensiva di Unicredit amministrato da Alessandro Profumo e della Banca di Roma guidata da Cesare Geronzi. Oggi è il secondo socio dopo Unicredit. Mediobanca a sua volta è l’azionista numero uno con il 12% delle Assicurazioni Generali.
Sia Unicredit sia le Generali sono guidate da manager francesi che hanno buoni rapporti con Bolloré: si tratta di Jean-Pierre Mustier nella banca e di Philippe Donnet al vertice della compagnia di assicurazioni. Non c’è nessun “legame pericoloso” e l’uomo d’affari bretone possiede solo uno 0,13% delle Generali, tuttavia questo triangolo transalpino al vertice della finanza italiana ha suscitato più di un sospetto e in molti casi una chiara avversione politica e nel mondo degli affari. Se Bolloré uscisse di scena aprirebbe Mediobanca come una scatola di sardine. Alle Generali è in corso già un rafforzamento delle posizioni di soci italiani come Caltagirone, Benetton e Del Vecchio, mentre in molti, compresi Caltagirone e Benetton, stanno cercando di convincere il patron di Luxottica a diventare l’aggregatore di un nocciolo duro italiano. L’operazione doveva servire a controbilanciare Mediobanca, adesso tutto potrebbe essere rimesso in discussione. Nuove alleanze, geometrie variabili del capitale mentre alleanze e geometrie variabili possono essere sperimentate anche in politica. Il laboratorio Italia ribolle di alambicchi fumanti.