No, gli italiani non hanno cercato impingement su Google. Nel delirio politico degli ultimi giorni ha trovato posto anche quello che ormai è un genere letterario, già proposto per esempio quando Donald Trump vinse le primarie del partito repubblicano e si disse che gli americani si fossero riversati su Google cercando “how to move to canada”, come trasferirsi in Canada.
Sembra che orde di italiani, dopo aver sentito Luigi Di Maio valutare l’ipotesi di impeachment contro Sergio Mattarella, abbiano chiesto lumi a Google sulla messa in stato d’accusa, con un po’ di fantasia: “è impingement la parola più cercata della crisi politica”, “impingement al posto di impeachment: l’errore degli italiani”, recitano alcuni articoli online. I soliti italioti ignoranti? No, non è così, ma vuoi mettere la sensazionalità della cosa? Tanto che prima che potesse essere anche solo verificata o precisata, la notizia aveva già fatto il giro del web.
In realtà, come si vede dal grafico in basso, i vari “impingement”, “impicment” e soci hanno avuto volumi di ricerca praticamente irrilevanti se confrontati alla corretta grafia “impeachment”. Qualche errore c’è stato, certo, ma sembra essere del tutto fisiologico, soprattutto se pensiamo che il termine entra di rado nel dibattito pubblico e che gran parte della popolazione, compresa quella anziana, ha molta più dimestichezza con Google che con la lingua inglese. Ma ormai è troppo tardi. Su Twitter la notizia viene diffusa in principio da Luca Alagna, che specifica soltanto diverse ore più tardi, sollecitato da alcuni utenti, che la sua analisi restituiva dati altissimi per gli strafalcioni degli italiani soltanto perché non raffrontati con il volume di ricerca del corretto “impeachment”.
Il timore è che questo fatterello, smentito dai numeri, nasconda un sottotesto spiacevole. Si tratta del fascino del piedistallo, quello da sopra cui gli elettori di Movimento 5 Stelle e Lega da anni vengono derisi e classificati come un gregge di pecore ignorante. La storia dell’impingement era solo l’ultima occasione per dire che gli italiani non sanno di cosa parlano quando si tratta di politica, ma il loro voto vale quanto il nostro, di noi acculturati e ben pensanti. Questo modo di pensare, per quanto rassicurante, preferisce sbeffeggiare milioni di persone piuttosto che provare a capire il perché trovino risposte in partiti non tradizionali. Il risultato è che qualcuno poi, cadendo dalle nuvole, si ritrova al 18% (o al 4, o al 3, a seconda dei casi) e blatera di periferie, territori e rabbia sociale, senza avere la minima efficacia nell’arginare i cosiddetti populismi. Se poi sopra il piedistallo ci sono i pure i pop corn, chi li smuove più da lì?