Un grande spazio senza pareti, ma pieno di tavoli, affollati di decine di ragazze e ragazzi davanti alle proprio postazioni, agli schermi di computer giganti, attorniati di disegni e illustrazioni un po’ dappertutto. In un piccolo e silenzioso cortile interno del quartiere Isola, a Milano, attorniato dai grattacieli della Nuova Milano, intorno alla passione e all’esperienza di Bruno Bozzetto, classe 1938, si è formata negli ultimi anni una vera e propria bottega artigianale, ma trapiantata perfettamente nel XXI secolo.
Bruno Bozzetto è un signore distinto, elegante e sorridente. Somiglia a Dino Buzzati e, nonostante di anni ne abbia già compiuti 80, quando parla del suo lavoro sprigiona l’entusiasmo di un ragazzino. E come un ragazzino non smette di accettare sfide, visto che giusto pochi mesi fa, all’inizio dell’estate, ha fatto il suo esordio — una parola che fa sorridere se accostata a un personaggio con la sua esperienza — come autore di una graphic novel intitolata MiniVip e SuperVip: Il Mistero del Via Vai, edito da Bao Publishing e realizzata insieme al disegnatore Grégory Panaccione su un vecchio progetto di lungometraggio che, purtroppo, mi racconta, aveva dovuto abbandonare per mancanza di fondi e di interesse da parte dei produttori.
Appena ci sediamo, in una stanza piena dei suoi personaggi, con un videoproiettore che non smette mai di irradiare immagini sul muro, quel che viene spontaneo chiedersi non appena varcata la porta di quello spazio luminoso e affollato di creatività è un semplice e forse un po’ ingenuo: «Ma come siete arrivati fino a qui?», gli chiedo con la curiosità di un bambino che è appena entrato in un parco giochi.
«Eh eh eh, è una storia lunga», fa sorridendo, «perché il primo studio l’ho fondato nel ’60 ed è durato 40 anni, visto che poi nel 2000 l’avevamo chiuso. Nel 2007 invece l’abbiamo riaperto con mio figlio e con Pietro Pinetti, eravamo in Melchiorre Gioia che non è molto lontano da qui»
E questo spazio?
Questo spazio in realtà è una cosa molto recente, nata da pochi mesi, e riguarda non solo il nostro studio. Abbiamo deciso di iniziare a collaborare con un’altra casa di produzione italiana, la Movimenti Productions, per rafforzare la nostra immagine sui mercati internazionali e per riuscire a creare una struttura permanente di produzione anche in Italia. Così è nata MOBO Digital Factory, una terza società condivisa al 50/50 tra Studio Bozzetto e Movimenti per condividere investimenti, knowhow e progetti internazionali. Sai, all’epoca ci dedicavamo a lungometraggi, cortometraggi, ma soprattutto pubblicità, che allora era molto più fiorente e ci dava da vivere.
E oggi invece, che cos’è cambiato?
Oggi è cambiato un po’ tutto. Ci si butta di più sulle serie televisive e su altri tipi di lavori. Però per poter far questo occorre una continuità di lavoro, perché le persone che hai visto entrando qui sono tutte iper specializzate. Imparano con gli anni e se quando finiamo un lavoro non siamo in grado di assicurare continuità questi se vanno a Londra, in Spagna, in Francia. Li perdiamo in un batter d’occhio. Per questo ci siamo uniti e abbiamo fondato in questo spazio la MOBO, con l’idea di collaborare in più gruppi per riuscire a prendere anche lavori più grossi, gli unici che ci permettono di dare continuità al nostro lavoro. Queste tre società sono poi rappresentato sui mercati internazionali dal
brand ForFun Media che utilizziamo come ombrello per la comunicazione. Quando eravamo solo la Bozzetto era più difficile, perché se io ho il mio piccolo studio e, non appena finito un lavoro non ne parte un altro, io sono fermo. Quando alla Bozzetto finimmo Topotip eravamo in 45. Poi siamo stati due anni fermi e li ho persi tutti. Siamo rimasti in 9. È molto triste, ma purtroppo questo è il mercato.
Come è cambiato il lavoro da quando hai cominciato negli anni Sessanta?
È cambiato senz’altro molto dal punto di vista del prodotto. Perché se all’epoca facevo un video pubblicitario che durava 30 secondi avevo un impegno grosso da affrontare, ma almeno mi dava da guadagnare per due mesi. In un certo modo ero a posto. Oggi, invece, dovendo affrontare lavori molto più lunghi le cose diventano più difficili, perché è vero che un episodio di una serie televisiva dura 10 minuti, ma se alla fine se sono dieci episodi io in tutto devo animarne 100. È come un lungometraggio, è un grosso impegno. È cambiato molto anche il modo con cui si realizza questo tipo di lavoro: se prima mi bastavano 3 animatori, oggi ne ho bisogno di 40. Addirittura, per certi lavori, ne servirebbero 100.
Entrando non ho visto tutte queste persone però…
Ora siamo in una fase di lancio di questa nuova operazione imprenditoriale e siamo circa in 60?. Già nei prossimi mesi dovremo però aumentare il team di lavoro perché, stanno partendo 5 differenti produzioni in ForFun Media e saremo costretti a cercare nuovi spazi qui in zona. Tra l’altro inizierà una produzione in animazione 2D che verà prodotta interamente in Italia, anche l’animazione.
È una questione strutturale? C’è qualche cosa che si potrebbe fare?
Il cinema d’animazione artigianale costa ma per fortuna da qualche anno ci sono degli aiuti nazionali dedicati alle case di produzione
come la nostra. La legge sull’audiovisivo ci permette di recuperare un credito di imposta fino al 30% dei soldi spesi in produzioni Italiane, Inoltre ci sono altri bandi per finanziare progetti seriali o di lungometraggi. Diciamo che è un momento positivo per il rilancio del settore in Italia. Ma solo fino a un certo punto, perché ormai anche in Francia e in America molti si rivolgono alla Corea e all’India per alcuni lavori. Sono diventati troppi i minuti da riempire e l’animazione resta un lavoro artigianale.
A Shanghai anni fa vidi degli studi con corridoi lunghi 100 metri dove in ogni stanza c’erano 30 animatori, uno dietro l’altro.
Perché in Estremo Oriente?
Guarda, qualche anno fa a Shanghai ho visto degli studi con corridoi lunghi 100 metri dove in ogni stanza c’erano 30 animatori, uno dietro l’altro.E come fanno?
Li pagano poco. Non avranno i sindacati, non avranno problemi di sicurezza e di regole, per cui riescono a tenere bassi i prezzi.A livello artigianale sono all’altezza?
Il problema non è tanto tecnologico quanto di mentalità. Ricordo quando lavoravo in The Animation Band, qualche anno fa, prima dell’esperienza di MoBo. Avevamo fatto fare alcune delle animazioni in Corea del Nord e questi non capivano quando gli dicevo cose come un night club. Mi chiedevano “Ma cos’è?”. “E Superman, cos’è?”. Non lo sapevano! E il tango, come si balla il Tango? Non lo sapevano! Bisognava mandargli dei video per fargli vedere che cos’era il Tango. Quindi no, direi che di problemi tecnici non ce ne sono, perché dal punto di vista tecnologico un computer forse costa anche meno la che da noi e ne hanno anche di migliori. Però di problemi culturali ce n’erano eccome, come quelli che ti ho detto, problemi di conoscenza della nostra società e dei nostri costumi, ma anche altre cose dell’animazione che ho sempre trovato divertenti, al limite del ridicolo.Quali, me li puoi raccontare?
Certo, ricordo — ma parlo di anni fa eh, ora grazie anche al fatto che ci stiamo ingrandendo e che è un periodo molto positivo riusciamo a tenere quasi tutto in casa — che le loro animazioni erano divertentissime perché quando un personaggio parlava loro gli facevano muovere tutte le braccia in un modo assurdo. Se io sto parlando con te, per esempio, ora ho mosso le braccia così. Loro in questo caso, invece, mi avrebbero riempito di movimenti senza senso, perché loro per far vedere che personaggio era vivo gli facevano muovere le braccia. Una roba da ridere. Sembrano piccole cose, queste, ma non sono facili da controllare quando uno fa l’animazione in India e io sono qui a Milano. È difficile e allora bisogna piano piano insegnargli e correggere. Quando ho cominciato io queste cose erano fantascienza, non esistevano le coproduzioni e facevamo tutto in casa, con delle amiche a colorare il Signor Rossi tavola dopo tavola, in rosso e in nero. Ricordo ancora il primo esperimento che ho fatto, quello di Donald Duck…Come è andata, me lo racconti?
È stato il primo esperimento di animazione della mia vita, l’ho disegnato su un bloc-notes come quello che hai tu in mano ora. Sono partito dall’ultima pagina e ho disegnato Paperino. Ho fatto il disegno sull’ultimo foglio poi ho preso il penultimo e, in trasparenza, vedendo qualcosina del disegno che c’era sotto, ho ricopiato Donald Duck e l’ho modificato in modo che camminasse, che è la cosa più difficile al mondo da fare, e infatti faceva schifo. Però poi ho fatto un esperimento: l’ho messo su una sedia sdraio, l’ho fissato con lo scotch e poi con la macchina davanti ho fatto una foto all’ultimo foglio, poi al penultimo, poi al terzultimo e così via. Erano altri tempi, ho fatto tutto da solo.