ParadossiIl nuovo leader di una sinistra in crisi nera? Berlusconi

Non era quello del conflitto di interesse? Delle “cene eleganti”? Del ”sistema prostitutivo”? Non era il Mussolini mediatico? Bene, ora che c’è Salvini il Cav è l’esempio di statista. E a dirlo è il Pd

Travolti da un insolito Salvini, i sopravvissuti della sinistra si avviticchiano a Silvio Berlusconi in un torbido e tardivo innamoramento fra sconfitti. Ed è così che l’ex arcinemico di Arcore, l’ex socio del Nazareno scaricato per via giudiziaria nella scorsa legislatura a trazione lettian-renziana, oggi diventa uno statista per mancanza di alternative, un punto di riferimento nella prospettiva incerta e sfocata di un Partito democratico in confusione pre congressuale.

Non che il Cavaliere se la passi meglio, è chiaro, ma lui in ottantadue anni ha dimostrato d’avere più vite (anche politiche) di tutti i gattini randagi rottamati dall’autolesionismo goscista. Il primo a capirlo, nell’anno primo dell’èra populista consacrato dalle ultime elezioni politiche, è stato nientemeno che Eugenio Scalfari: il suo autodafè televisivo (poi emendato per iscritto su Repubblica ma senza una vera smentita), nel quale ammetteva di preferire Berlusconi a Di Maio, era soltanto il prologo di ciò che pochi giorni fa ha dovuto verbalizzare il povero Matteo Renzi: “La dico grossa: dobbiamo chiedere scusa a Silvio Berlusconi che faceva le norme ad personam più assurde… Rispetto alle norme ad personam che Salvini ha fatto, Berlusconi era un pischello”.

L’adorabile bugia, con un fondo limaccioso di verità, offre la misura degli spasmi politici nei quali si dibatte il partito che nacque a vocazione maggioritaria e adesso agonizza nello scissionismo forsennato di cui è ammalata la sua classe dirigente.

È il momento nostalgia di una sinistra politica abbandonata da popolo che viene posseduta da un’emotività consolatoria, la sinistra che può soprassedere di fronte ai colpi di coda giudiziari sulle cene eleganti di Arcore e sulle relative olgettine

Ma risparmiamoci le tristezze residuali di una nomenclatura in cerca d’un remoto futuro di rivincita, e concentriamoci sul dato più rilevante: la popolarità a sinistra delle ultime esternazioni berlusconiane. Nell’arco di pochi giorni, motteggiando seriamente sulle svenevolezze social di Salvini così come su Brexit e altro, il Cavaliere s’è guadagnato i classici novanta minuti di applausi (metafora).

Fra confidenze elargite ai propri parlamentari, tuìt estemporanei e parole d’accompagnamento alla presentazione del solito libro annuale di Bruno Vespa, Berlusconi ha chiarito, nell’ordine: che le foto postate in modo compulsivo dal vice premier Matteo sui social, “tutte queste cose, quello che mangia, che fa, sembrano tutte stronzate, ma evidentemente funzionano”; che “accendo ogni sera una candela perché si possa fare un altro referendum e che l’Inghilterra resti nell’Unione europea”; che “non è vero che non ho mai scelto un delfino, ma ogni volta che si sono presentati si sono rivelati tutti sardine”.

Risultato: valanghe di apprezzamenti da parte piddina, entusiastici retuìt, lacrime di rimpianto a incrinare sorrisi commossi. Un trionfo, quindi, nel quale di punto in bianco svapora il ventennio di odio incendiario e invidie corrive. È il momento nostalgia di una sinistra politica abbandonata da popolo che viene posseduta da un’emotività consolatoria, la sinistra che può soprassedere di fronte ai colpi di coda giudiziari sulle cene eleganti di Arcore e sulle relative olgettine, sulle compravendite trascorse e sulle eterne accuse di maschilismo sudamericano che tante battaglie innescarono nel Gruppo Espresso. Di una sinistra che seppellito il perturbante di un Veltroni che in campagna elettorale non nominava mai Berlusconi, al massimo lo denotava “Il principale esponente dello schieramento a noi avverso”.
Piaccia o no, per il Pd adesso Berlusconi non è più il titolare di un bordello politico concepito per placare le sue voglie fisiche e affaristiche, è diventato invece il patrono angelicato di un mirabile convento in cui Mara Carfagna, eccelsa vice presidente della Camera e prossima risorsa della Repubblica, combatte per la difesa del corpo delle donne, per i diritti degli orfani dei femminicidi, per l’equità di genere e altre giuste cause sinceramente democratiche. È la rivincita del valore aggiunto di un berlusconismo al femminile che seduce a sinistra, in quella morta gora ove i refoli moralisti del #metoo si alternano in forma schizofrenica alle tempeste ormonali provocate dalla subcandidatura alle primarie del belloccio Matteo Richetti.

Agli occhi cisposi di una sinistra che vive di ossessioni curiali per il pop e il vintage (nannimorettismo e figurine Panini più elettrificazione), il Cavaliere può finalmente apparire per ciò che è, o che dovrebbe essere: un furbo e mite liberale

La sopraggiunta moderazione naturale di Berlusconi, di questo attempato figlio non più illegittimo dell’europopolarismo, incoraggia dunque donne e uomini dispersi nei banchi dem a ricercare o perpetuare il vecchio accordo di Palazzo con Forza Italia per mantenere almeno l’impalcatura di un’opposizione.
Se non proprio il germe di un futuro rassemblement anti populista. E questo è il solo fatto politico che rilevi: di fronte alle intemperanze di Salvini, al cospetto dei trotzkisti pentastellati, il Pd riconosce che non era lui, non era Berlusconi il vulnus della democrazia italiana. Al contrario. Agli occhi cisposi di una sinistra che vive di ossessioni curiali per il pop e il vintage (nannimorettismo e figurine Panini più elettrificazione), il Cavaliere può finalmente apparire per ciò che è, o che dovrebbe essere: un furbo e mite liberale che non erutta come Salvini, non sputacchia come Grillo, sa dove e come sedere a tavola e inclina all’animalismo se non già al vegetarianesimo. Si commuove per i naufraghi migranti e accende moccoli sotto il santino dello spread.
Verità indicibile: Meglio di Berlusconi, visto da sinistra, ci sarebbe solo un Berlusconi con vent’anni di meno cui dolcemente affidarsi.

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