Che i clan della ‘ndrangheta fossero arrivati in Valle d’Aosta non è certo una novità. E l’operazione antimafia “Geena” della Dda di Torino, alle prime luci dell’alba del 23 gennaio, lo dimostra. Diversi gli arrestati tra Aosta, Torino e San Luca, tra i quali ci sarebbe anche il consigliere regionale Marco Sorbara, dell’Union Valdôtaine. Dalle indagini è emerso «uno scenario di pervasiva infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale a partire dal 2014», come diretta emanazione della cosca Nirta-Scalzone di San Luca. E il sodalizio era anche coinvolto nell’importazione di grosse partite di cocaina tra Spagna, Calabria e Piemonte.
Il Consiglio regionale della Vallée già nel 2012 aveva costituito la Commissione consiliare speciale per l’esame del fenomeno delle infiltrazioni mafiose in quella che è la regione più piccola d’Italia, nella quale però i clan sono riusciti a farsi spazio da tempo. «Qui le infiltrazioni mafiose sono un fatto storico che risale agli anni Ottanta», diceva allora il questore di Aosta, Maurizio Celia, in un territorio che però sembrava voler negare la presenza della criminalità organizzata.
Nel dicembre 2011 nell’operazione “Tempus Venit” erano state arrestate quattro persone per estorsione ai danni di un imprenditore edile di origini calabresi. La percentuale pretesa, il 3 per cento dei lavori, era la stessa che le ‘ndrine chiedevano alle ditte di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria. Mille chilometri di distanza e regole identiche. Con tanto di incendi agli escavatori e spari di avvertimento.
Ma la storia della presenza delle cosche nella Vallée è lunga. I Facchineri e i Iamonte in valle hanno trascorso parte della loro latitanza. E nel 1991 il pregiudicato Gaetano Neri, originario di Taurianova e vicino alla cosca degli Asciutto, venne ucciso proprio a Pont Saint Martin, dove era stato inviato in soggiorno obbligato. Tra le montagne della regione, all’inizio degli anni Novanta, i cugini Nirta di San Luca avevano addirittura messo in piedi il movimento politico Miv, Movimento immigrati valdostani, con l’obiettivo di rappresentare la comunità calabrese della Vallée. Diversi esponenti del partito, che tra l’altro era stato in grado di eleggere anche i suoi consiglieri comunali, finirono poi in manette con l’accusa di associazione mafiosa.
Dalle indagini è emerso «uno scenario di pervasiva infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale a partire dal 2014», come diretta emanazione della cosca Nirta-Scalzone di San Luca
Una comunità numerosa, quella calabrese, in Valle d’Aosta, e ben radicata. Su circa di 127 mila abitanti, 20-25 mila arrivano dalla punta dello stivale. Tant’è che le feste religiose calabresi sono tra le più popolate dell’estate valdostana. Un esempio su tutte è la festa di San Giorgio e di San Giacomo (santi patroni di San Giorgio Morgeto, Reggio Calabria), nel mese luglio: dodici giorni di processioni, musica e banchetti culinari con salsicce, peperoncino e nduja. In quei giorni sembra di stare in Calabria.
E oltre gli spettacoli pirotecnici, c’è chi fa affari. La logica è sempre stata più o meno questa, come spiegò il magistrato antimafia di Agrigento Salvatore Vella: «Giù si fanno i soldi, qui in Val D’Aosta si investono». E di settori in cui investire nella piccola regione di confine ce ne sono tanti. A partire dal casinò di Saint Vincent, da sempre meta ambita delle cosche per ripulire il denaro sporco proveniente dai traffici illeciti. Sul finire degli anni Novanta, a Saint Vincent vennero uccisi due presta-soldi. E nell’aprile del 2009, sulla porta del casinò vennero fermati due esponenti della cosca Marini di Cirò Marina (Crotone).
Ma il casinò non è l’unico settore preso di mira dalle cosche. La Valle d’Aosta è una delle mete turistiche privilegiate dagli amanti della montagna e dello sci. E anche da chi vuole investire nel cemento destinato agli alberghi, alle seconde case per le vacanze e ai ristoranti. Con enormi quantitativi di liquidità disponibili, come quelli che possiede la ‘ndrangheta che domina il narcotraffico, tramite i prestanome si entra così nell’economia legale.
Della presenza mafiosa nella regione più piccola d’Italia si parlava già negli atti del Rapporto annuale sulla criminalità organizzata del ministerno dell’Interno del 2000. Altre conferme si trovano nei documenti della Commissione parlamentare antimafia del 2002-2003. Mentre negli atti della Direzione investigativa antimafia, da tempo veniva messo in evidenza «il sospetto della presenza di uomini di fiducia delle cosche nell’apparato amministrativo locale». Ecco perché l’operazione “Geena” non deve sorprendere. Anche la piccola valle i clan non ha resistito alla colonizzazione dei clan.