Benedetta Cina, non ci fa dormire. A dire il vero anche President Trump coopera, ma non sottilizziamo. Insomma, sta per finire la guerra commerciale tra Cina e USA o continuerà ancora alimentando dubbi, incertezze e portando legna al focolaio della recessione che è solo europea per ora (soprattutto italiana) ma che può diventare mondiale? Difficile da dirsi, ma vediamo di mettere alcuni paletti per imprecisi che siano. Incominciamo da due fatti abbastanza scontati. La crescita economica cinese ha spiazzato migliaia di imprese e milioni di lavoratori nel mondo occidentale e questi, incazzati, esigono vendetta. Molto certamente ne ha favoriti altrettanti ma chi sta bene non protesta avendo altro da fare, come ben sappiamo. Che esista quindi un vasto supporto politico (e non solo negli USA) per una restrizione del commercio con la Cina, non vi è dubbio alcuno.
Trump ha costruito la sua fortuna politica su due messaggi molto semplici: dagli all’immigrato e dagli ai cinesi. Onore al merito: lo sta facendo, costi quel che costi. Siccome il suo stile di negoziazione, come abbiamo appreso da due decenni di reality tv, consiste nel fare accordi che poi straccia per chiedere di più, non c’è di che sorprendersi che usi lo stesso metodo nel ruolo di Potus e con il “nemico” (dichiarato) principale. Tutto questo implica che qualsiasi accordo o scambio di promesse tra USA e Cina potrebbe forse durare qualche anno ma, con altrettanta probabilità, potrebbe essere rimesso in discussione in ogni momento. Tutto dipende dai voti che Trump decide di poterci guadagnare e dalle pressioni che le varie lobby anti-cinesi eserciteranno sul narciso della Casa Bianca. E dipende, ovviamente, anche dai gesti di “concessione” che i governanti cinesi saranno disposti a compiere a fronte di ogni successiva richiesta americana o occidentale. Tutto questo va accettato senza perderci il sonno.
Per almeno una generazione, probabilmente due, la Cina non costituisce una minaccia militare reale per il mondo occidentale. Sono troppo indietro e lo sanno.
Le domande che vale la pena porsi sono altre. Fra queste, a mio avviso, le seguenti sono le principali. Cosa cerca per davvero l’amministrazione Trump (ed i gruppi d’interesse che in questa battaglia lo appoggiano) dalla guerra/negoziazione con la Cina? Che probabilità vi sono che la Cina ceda sui punti essenziali, piegandosi al volere di Trump e dei suoi supporter? Che conseguenze ne possono derivare? Esiste un metodo alternativo di gestire, per i decenni che verranno, la “questione cinese”? Queste domande non hanno risposta univoca, accontentiamoci di illustrare i pro e i contro. Cominciamo dalla fine: che atteggiamento prendere con la Cina? Dobbiamo fidarci o dobbiamo considerarli degli avversari tanto temibili almeno quanto la “migliore” URSS e certamente più astuti, oltre che più numerosi? Non lo sappiamo. Dentro al PCC e dentro alla società cinese si muovono forze, interessi e progetti culturali che danno a questa domanda risposte molto diverse.
Tre fatti sono chiari. Il sentimento comune alla stragrande maggioranza del popolo cinese è quello del ritorno al primato mondiale. Questo non implica necessariamente essere primi e dominanti ma implica certamente essere tra i primi al pari con gli altri. L’antica Cina imperiale aveva notizia dell’esistenza dell’impero romano e lo accettava come pari, forse un pelino inferiore perché non sufficientemente sofisticato. L’impressione è che valga, ceteris paribus, lo stesso: i cinesi manifestano grande rispetto ed ammirazione per la civiltà occidentale ma non gradiscono sentirsene inferiori. Continueranno a lavorare.
Secondo fatto: al contrario dell’URSS la Cina che risorge non ha praticamente mai aggredito militarmente nessuno. Ci provò con il Vietnam, prima di cominciare a risorgere, e prese una batosta. Altro non ha fatto.
Terzo fatto, documentato qui: per almeno una generazione, probabilmente due, la Cina NON costituisce una minaccia militare reale per il mondo occidentale. Sono troppo indietro e lo sanno.
Quarto fatto, soggettivo: nella cultura cinese, al contrario della russa, molto poco apprezzamento per violenza e dominio e molto per cooperazione e convinzione (della superiorità della cultura cinese). A me sembra sana competizione, ma forse mi sbaglio.A Washington DC, da molto tempo, domina l’idea che la Cina sia una grande minaccia alla supremazia mondiale USA e che i cinesi siano sistematicamente intenti a “rubare” tecnologia, conoscenze, informazioni economico-militari
Facciamo ora un salto indietro alla prima domanda: cosa cerca l’amministrazione Trump? A Washington DC, da molto tempo, domina l’idea che la Cina sia una grande minaccia alla supremazia mondiale USA e che i cinesi siano sistematicamente intenti a “rubare” tecnologia, conoscenze, informazioni economico-militari. L’evidenza suggerisce che vi è della verità in tutto questo: i cinesi, ogni volta che possono, copiano e quando non possono copiare legalmente molti di loro sono disposti a farlo anche violando le regole. Ed il PCC ama controllare ciò che i cittadini cinesi si dicono e quel che fanno. Tutto coordinato da Xi Jinping? L’evidenza dice di no, l’imprenditore cinese cerca di capire come funzionano le cose sempre e comunque, senza che il PCC glielo dica ed anche senza alcuna intenzione di dirglielo. Semplicemente per far soldi. Sono un popolo affamato. Nel caso vi ricordino gli italiani di qualche decennio fa, moltiplicati per dieci, avete colto il punto.
Implica questo che dovremmo tollerare persistenti violazioni del sistema di proprietà intellettuale occidentale (chi scrive ne è, da due decenni, un critico implacabile ma questo è altro tema) da parte di imprese private ed agenzie statali cinesi? Assolutamente no. Da questo punto di vista la battaglia iniziata da Trump (ma anche da Merkel e dalla UE) appare assolutamente salutare. Si tratta di convincere il governo cinese di due cose: che l’intrusione statale negli affari privati deve avere dei limiti e che i criminali economici cinesi sono anzitutto criminali ed in secondo luogo cinesi. Ovvero: il governo cinese deve cooperare con gli altri paesi quando qualche impresa cinese viene pescata a far giochetti strani. Questo, sino ad ora, non è accaduto ed è bene venga compreso a Pechino. Tutto questo forse non è di grande aiuto per prevedere cosa possa succedere in futuro, anche se permette di comprendere dove sia il vero punto del contendere. Ovvero, dal punto di vista occidentale, nella supremazia militare. La questione quindi diventa – come definita dalle due domande intermedie non ancora affrontate – cosa sta cercando la dirigenza cinese? Cosa vuole il PCC? Vuole dominare il mondo fra un secolo, realizzando il “sogno imperiale” dei Ming? O vuole “solo”, come Jinping Xi ama ripetere, pace e prosperità per tutti? Ne riparliamo fra un paio di giorni.